Non è sorprendente, e nello stesso tempo lo è, leggere la storia dei diritti delle donne: ovvero leggere quanto tempo ci è voluto perché quei diritti venissero riconosciuti, quantomeno formalmente, nelle leggi, nei regolamenti. Quanto alla messa in pratica, al rispetto quotidiano di quei diritti, certo siamo ancora parecchio indietro. Il lavoro di ricerca e di analisi condotto da Alessandra Facchi e Orsetta Giolo è bellissimo, prezioso, ammirevole. Il racconto che ne emerge è appassionante.
La ricerca va alle prime fondi del diritto, a quando ci si è posti il problema di cosa sono i diritti, su cosa poggiano, da dove derivano. E si scopre che nel lungo percorso che ha ci ha portato dai “diritti naturali” ai diritti come li conosciamo oggi, le donne sono sempre rimaste escluse. In principio erano appunto i diritti naturali, siamo nel Basso Medioevo (XI-XV secolo), in un tempo in cui ancora il concetto di diritto non è esplicito e formalizzato, e l’influenza della religione cristiana è quasi totale. Secondo l’interpretazione dominante della Bibbia la condanna dell’umanità ha origine nel carattere della donna, nella scelta scellerata di Eva che ci ha fatto cacciare dal paradiso terrestre. Che diritti potrebbe mai accampare la genia di una simile malfattrice? La donna si deve limitare a essere moglie e madre, che lì i danni si possono contenere. Oltre alla Bibbia, anche la scienza si ingegna per trovare nelle donne limiti invalicabili, cercando di dimostrare che la donna è incapace di giudizi equilibrati, così come nell’assoggettamento degli istinti e degli affetti che invece, come è noto, sono tipiche prerogative maschili. Non va molto meglio quando il diritto poggia sulla ragione. Perché se i diritti appartengono a chi è dotato di ragione, le donne ne sono subito escluse. La ragione, si sa, ce l’hanno gli uomini. E qui siamo già vicini a noi, 1600, 1700.
Poi finalmente arriva la Rivoluzione Francese. Che pur essendo esplosa con sorpresa di tutti, era stata preparata da studi e riflessioni e considerazioni sulle condizioni di vita e sulle disparità sociali, molte condotte anche da e sulle donne. Così che le donne entrano in quella rivoluzione se non come protagoniste sicuramente come compartecipi, con una certa voce in capitolo. E se la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789 non riconosce i diritti delle donne in modo esplicito, ci penserà due anni dopo, nel 1791, Olympe de Gouges con la Déclaration des droits de la femme e de la citoyenne, che rappresenta il documento fondativo dei diritti delle donne. Olympe fa una brutta fine, ghigliottinata durante il terrore, ma il suo lascito le sopravvive. Ed è a partire da quella grande rivoluzione, culturale oltre che politica e sociale, che le donne cominciano a prendere posizione in modo netto, finché la lotta per il diritto di voto diventa la base del grande cambiamento che viviamo anche oggi.
Uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpito, e che mi risuona forte anche quando penso ai nostri tempi, è il fatto che non solo alle donne non venivano riconosciuti i diritti determinanti per la loro esistenza, ma che si ribadiva e si istituzionalizzava il fatto che avessero bisogno della tutela maschile. Una sorta di beffa aggiunta al danno, e che forse ci fa capire come mai ci siano voluti secoli per uscire dalla condizione di sottomissione e sudditanza al potere maschile. Perché a noi donne nate nel Ventesimo secolo, che abbiamo partecipato alle lotte femministe e che in un certo senso ci battiamo tutti i giorni per difendere le conquiste fatte (che non possiamo purtroppo mai ritenere acquisite definitivamente), a noi donne sembra impossibile, o quantomeno strano, che ci sia voluto così tanto tempo e così tanta fatica. Ecco, è un po’ come se ci fosse stato impedito di crescere. Confinate alla sfera del privato, anche da una religione che vietava alle donne di predicare (mi sa che lo fa tuttora) e di insegnare. Dedite ai figli e alla casa, al marito.
Qui permettetemi una parentesi: ho riletto con orrore le parole di Jean Jacques Rousseau nell’Emilio: “tutta l’educazione delle donne dev’essere in funzione degli uomini: piacere e rendersi utili a loro, farsene amare e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne in ogni età della vita e questo si deve insegnare loro fin dall’infanzia”. Altro che censurare Roald Dahl!
Dunque le donne erano escluse dallo studio, dal sapere e dalla cultura, e non avevano né il tempo né gli strumenti per contrastare la credenza e le false affermazioni scientifiche sulla loro inferiorità. C’erano voci fuori dal coro, anche maschili, come Nicolas de Condorcet, uno degli enciclopedisti, o il filosofo e giurista Jeremy Bantham, ma chi volete che li ascoltasse. E c’erano voci di donne, ancora meno ascoltate. Tuttavia buona parte di quelle parole non ascoltate al loro tempo hanno lavorato e alla lunga portato risultati e cambiamenti. La lotta per i diritti delle donne ha proceduto, e continua a procedere, insieme alle altre lotte per un mondo più giusto: dall’abolizione della schiavitù alle rivendicazioni operaie, ai diritti civili, a quelli dei migranti.
Quello che dimostra questa storia dei diritti delle donne, non a caso intitolata Una storia dei diritti delle donne è che la progressiva complessità del mondo, l’allargarsi degli orizzonti, lo sviluppo dei viaggi e della comunicazione, l’evolversi della scienza, i miglioramenti nelle condizioni di vita delle persone hanno creato il contesto nel quale il diritto, quello delle donne ma anche quello di tutti gli esseri viventi, ha potuto trasformarsi e crescere. Una trasformazione tuttora in corso, ovviamente. Il libro riconosce anche i meriti del femminismo, da quello degli albori, concentrato sul diritto di voto, a quello contemporaneo, variegato e complesso del nostro tempo. Come dire che a un certo punto le donne si sono fatte carico del proprio destino. E questo è un bel messaggio, secondo me. Un nuovo modo di dire di “Yes, we can”. Dobbiamo solo rimboccarci le maniche e andare avanti.