Questo libro parla di me. O meglio: parla di una donna che ho riconosciuto con una precisione che non mi aspettavo. Non pensavo di essere la madre di questo romanzo. Mi collocavo ancora, più o meno, dalla parte della figlia Miranda, attrice di mezza età, voce narrante del romanzo. Invece no. Sono come la madre: una donna che ostenta sicumera e, nello stesso tempo, lascia intravedere una fragilità che non sa come nominare o, peggio, della quale non è consapevole. In una parola, una povera vecchia.
Nel romanzo, la madre deve affrontare un’operazione ortopedica. Nulla di eroico, nulla di tragico. Le figlie, senza particolare rispetto, si scrivono fra loro per organizzarsi per aiutarla, e nell’oggetto della mail compare una sintesi implacabile: “operazione anca sbilenca”. In quella formula c’è già tutto. Il corpo materno ridotto a problema pratico, l’ironia che sfiora il sarcasmo, lo scarto fra l’immagine che la madre ha di sé e quella che le figlie restituiscono, senza cattiveria ma con insofferenza e senza riguardo. Per capire perché questo dettaglio mi ha colpita così a fondo, bisogna dire che tipo di romanzo è Il solito desiderio di uccidere.
Il romanzo racconta una famiglia inglese trapiantata nella campagna francese: due genitori ultraottantenni, un padre ex professore di filosofia e una madre autoritaria e sarcastica, due figlie adulte e una nipote adolescente. La casa in cui vivono i genitori è un accumulo di oggetti, animali fra i quali due lama, cibo congelato e rancori sedimentati. Il tempo sembra essersi addensato nelle stanze, come una polvere che nessuno ha più voglia di togliere. Ogni visita riattiva nelle figlie quello che il titolo chiama “il solito desiderio di uccidere”, un impulso che non ha nulla di omicida e tutto di affettivamente disperato e fatalista. La narrazione procede per scene, dialoghi, email, ricordi, piccoli scarti temporali. Non c’è una trama nel senso classico, ma una serie di movimenti minimi che ruotano attorno a un evento mai chiarito del passato, “l’Inconveniente”, e a un fatto presente che incrina l’equilibrio precario: l’intervento all’anca della madre. È in questo spazio di sospensione che la famiglia si ricompone e si scompone, mostrando le proprie linee di frattura senza mai nominarle davvero.
La madre occupa la scena con una sicurezza quasi ostinata. Parla molto, afferma, corregge, detta al marito ricordi e predilezioni e sostiene senza ombra di dubbio che il padre – che porta l’apparecchio acustico – non sente niente solo perché non si impegna. Ha opinioni nette, una memoria selettiva, una fiducia non negoziabile nella propria versione dei fatti. È una donna che si percepisce ancora come centro e misura, e che fatica a riconoscere il lento slittamento verso una posizione marginale. Le figlie la osservano con una miscela di affetto, insofferenza e distanza. Non c’è un conflitto aperto, ma una frizione continua, una dissonanza a volte più sottile a volte meno che attraversa ogni dialogo. Accanto a lei, la figura del padre appare quasi per sottrazione. Nonostante la formazione filosofica, le citazioni e i giochi logici, il padre coincide esattamente con ciò che mostra. Non sembra esserci una storia interna che preme per emergere, nessuna rivelazione tardiva. La sua mitezza e la sua ironia non nascondono altro. È un personaggio che coincide con la propria superficie e che dichiara di essere ormai arrabbiato solo con se stesso. Forse come concludono le figlie è un po’ autistico.
La vera rivelazione del romanzo – almeno per me – non sta tanto nei genitori, né nei loro segreti, quanto nell’effetto che producono su chi legge. Mi aspettavo di riconoscermi nelle figlie, nella pazienza forzata, nel giudizio impietoso verso una madre ingombrante, in quel gesto trattenuto che accompagna l’insofferenza. Invece no. La sorpresa, ahimè, è stata un’altra: mi sono riconosciuta nella madre. Mi sono detta: sono uguale. Quand’è che si diventa così? Quand’è che l’ironia si trasforma in sicumera, la competenza in arroganza, la lucidità in una forma di potere esercitato sugli altri? Chissà quante volte i figli alzano gli occhi al cielo mentre io “so”, mentre correggo, mentre ho ragione. Camilla Barnes costruisce però una figura materna che non si esaurisce nel rapporto con le figlie o con il marito, ma si definisce come soggetto di una relazione profonda e irrinunciabile con se stessa. Una relazione forgiata nella forza e nella determinazione con cui ha attraversato una solitudine radicale, che le figlie non conosceranno mai e che, con ogni probabilità, neppure il marito ha mai davvero intuito. È in questa storia non condivisa, ostinata e opaca, che il romanzo trova la sua verità più scomoda e insieme più dolceamara.
Non è secondario inoltre che Miranda sia un’attrice shakespeariana e che stia lavorando a Re Lear, di cui cura una nuova traduzione e un adattamento in francese, recitando la parte del Matto. Il padre parla di Lear con una familiarità disarmante, lo definisce semplicemente “la storia di un vecchio” e dice di conoscerlo quasi a memoria; anche se non sente più bene, gli basta vedere muovere le bocche per sapere cosa sta succedendo. La madre, al contrario, lo difende come testo intoccabile e usa Shakespeare per rimettere la figlia al suo posto. In filigrana, Re Lear diventa così una riflessione silenziosa sulla vecchiaia e sulla perdita di centralità, che il romanzo affida anche allo sguardo della nipote adolescente, Alice, capace di osservare nonni e madre con la stessa comprensione affettuosa e distaccata, come se tutti appartenessero già a uno tempo che non la riguarda.
Il solito desiderio di uccidere è un romanzo tragicomico, costruito su dialoghi affilatissimi, che racconta la famiglia come campo di battaglia linguistico, il matrimonio come lunga guerra di posizione e la vecchiaia come smascheramento finale. Non parla di uccidere davvero, ma di quel desiderio oscuro e quotidiano che nasce quando l’amore e l’irritazione convivono nello stesso spazio. L’umorismo che lo attraversa si muove dentro una tradizione inglese che risale almeno a Jane Austen, ma senza alcuna nostalgia o volontà di misura.


