La “T” è il centro del campo di squash, dove i giocatori tornano a turno, dopo aver colpito la palla. È uno sport particolare, lo squash. Poco frequentato da noi, se si toglie un breve periodo degli anni ’80 in cui era stato adottato su imitazione degli yuppie americani. Roba da film ormai, e che è passata senza lasciare il segno. Nello squash entrambi gli avversari sono insieme nel campo, un campo piccolo e chiuso, con una parete di vetro a completare il quadrato. È intimo e claustrofobico, la vicinanza tra i due avversari ricorda le arti marziali ma la tecnica è piuttosto una variante del tennis.
Dopo tutta questa premessa, devo ovviamente dire che T non è un libro sullo squash. È un libro sulla sopravvivenza, su come trovare un centro o una direzione quando il mondo intorno a te è andato in pezzi. Un romanzo delicato e apparentemente semplice, che nasconde molti temi e molte riflessioni e molte domande e molto dolore e molta vita.
Il mondo di Gopi, che ha dodici anni, è andato in pezzi con la morte della madre. Con il papà sono rimaste lei e le due sorelle. Certo, intorno c’è la comunità indiana a cui la famiglia appartiene. E in particolare ci sono due zii, affezionati e affettuosi, che si propongono da subito come genitori adottivi per Gopi. Però nessuno è pronto a un passo così definitivo, anche perché gli zii abitano a Edimburgo. Gopi e le sue sorelle sono nate a Londra, parlano inglese; il Gujarati, la lingua dei genitori e della comunità intorno a loro, la devono studiare con altri giovani indiani. Gopi sta in mezzo a due culture, non si pone il problema di scegliere ma fa convivere la sua vita quotidiana da ragazzina inglese con le tradizioni dell’India, il modo di cucinare e di mangiare, i rapporti con i molti parenti, il comportamento in pubblico, le regole per le ragazze e per le donne.
Dopo la morte della madre, il padre porta Gopi e le sorelle a giocare a squash in un centro sportivo vicino a casa. Lui e lo zio giocavano quando stavano in India, e l’idea di insegnarlo alle figlie nasce così, senza premeditazione e senza una finalità precisa. Però poi lo squash diventa quel momento in cui si pensa solo allo squash. Come tutti gli sport fatti seriamente, l’allenamento, l’azione, la prestazione sono tutti momenti in cui il resto del mondo, e quindi anche i dolori, le preoccupazioni, i timori e le paure restano fuori dalla nostra mente, che finalmente riesce a concentrarsi su una cosa sola. Per Gopi, ma anche per suo padre e le sue sorelle, lo squash è una tregua, un cessate il fuoco e poi una terapia.
Nella palestra in cui gioca Gopi incontra un ragazzino inglese, Ged, che si allena anche lui da solo, perché la madre lavora nel bar del centro sportivo. Sono entrambi bravi. Gopi si allena un po’ con il padre e le sorelle e un po’ da sola. Pian piano entra nella logica del gioco, e la sera, spesso insieme al padre, guarda alla televisione i video dei grandi giocatori indiani. Studiano i colpi e le strategie, analizzano e rianalizzano le vittorie e le sconfitte. Qualche volta Gopi e Ged giocano insieme. E poi qualcuno butta lì l’idea di far partecipare i ragazzini a un campionato che si svolge a Durham. Una trasferta. Partite con persone sconosciute. Un viaggio, un’avventura, un altro passo verso il ritorno alla vita. È con grande gioia che vediamo Gopi comprare una racchetta nuova, alzarsi presto per andare ad allenarsi prima di scuola. Con altrettanta gioia tifiamo per lei nelle partite che gioca a Durham, trepidiamo e ci esaltiamo per la vittoria. Siamo un po’ preoccupati quando, dopo parecchie insistenze, Gopi accetta di andare a vivere con gli zii a Edimburgo. Zio Pavan e zia Ranjan non sono riusciti ad avere figli, e desiderano ardentemente “adottare” Gopi. Ci sarà affetto e calore, ma bisognerà lottare per continuare a giocare a squash, uno sport non certo ritenuto adatto a una ragazza indiana. Eppure chiudiamo il libro con la certezza che, tra il ruolo di mediazione dello zio e la determinazione di Gopi, lo squash sarà salvo (e Gopi con lui).
Fanno da sottofondo a questa trama il razzismo sonnolento degli inglesi, lo sforzo degli indiani di non perdere il loro passato e le loro tradizioni, e la capacità di navigare tra le due culture che la generazione nata nel paese di migrazione può mettere in atto. Una capacità però che non è scontata, e che in Gran Bretagna riesce forse a manifestarsi ora, dopo anni e anni di fatiche, di lotte, anche di scrittura e contaminazioni un po’ forzate e un po’ felici. Un romanzo breve e intenso, che rimane impresso in modo indelebile grazie all’universalità del tema centrale. A chi non è crollato il mondo che credeva stabile e solido? Chi non ha sperimentato che la salvezza arriva spesso dalla parte da cui meno ci se lo aspetta? Prendiamo al volo tutta la speranza, afferriamo tutte le possibilità che la vita ci può offrire. E che la letteratura, nutrendo la nostra immaginazione, ci aiuta a trovare.