Ciao gi. Ricordo di Gilberto Severini

Qualche settimana fa è morto a 84 anni Gilberto Severini, scrittore raffinato e schivo, capace con pochi tratti di raccontare la provincia italiana e le sue trasformazioni. Amato dalla critica ma lontano dalla ribalta, ha costruito un’opera intensa e rigorosa, mai compromessa con le mode editoriali. I suoi romanzi brevi restano come schegge luminose che interrogano il tempo, la memoria e ciò di cui tutti, in fondo, siamo orfani.

Si è spento a 84 anni Gilberto Severini, uno degli scrittori più significativi dei nostri tempi. Dotato di uno stile elegante e raffinato, di una essenzialità straordinaria, non ha fatto mai niente per accattivarsi i lettori, il suo pubblico che lo ha seguito fedelmente in più di quaranta anni di attività. Osannato dalla critica, definito da Piervittorio Tondelli “lo scrittore più sottovalutato d’Italia”, etichetta che disturbava da tempo l’autore marchigiano che detestava la retorica, ma che fa capire come lo scrittore riminese sia stato il primo a comprenderne le potenzialità. Finalista allo Strega nel 2011 con A cosa servono gli amori infelici i suoi romanzi, insieme ai pochi purtroppo racconti che ha scritto, sono viaggi nel paesaggio interiore ed esteriore della provincia italiana. Era nato a Osimo, dove ha passato buona parte della sua vita, un piccolo paese in provincia di Ancona che era il suo luogo di osservazione privilegiato: negli ultimi anni affermava che la tecnologia e la digitalizzazione avevano reso anche la periferia centro.

La qualità della sua scrittura proveniva dalla sua personalità. Uomo sempre elegante e raffinato, nei modi, nei gesti e nel parlare, riusciva a esprimere le proprie idee, scritte o comunicate a voce che fossero, con una precisione chirurgica. La ricerca delle parole giuste, della musicalità della lettura sono sempre state le sue priorità, e quando revisionava i testi lo faceva sottraendo, ogni parola superflua che eliminava era una gioia per lui. Non a caso, alcuni dei suoi passaggi letterari di una o due righe spalancavano a riflessioni e mondi a cui altri autori sarebbero occorse più pagine.

Conoscevo e frequentavo Gilberto da più di trenta anni. Un martedì al mese ci ritrovavamo a casa sua – le abitudini rendono la vecchiaia più sostenibile, affermava – a chiacchierare di letteratura, politica, psicologia, filosofia, tecnologia, attualità e musica: ogni volta che uscivo dal suo studio, tappezzato da migliaia di libri, mi sentivo più ricco, sia culturalmente che umanamente. A essere sincero io più che altro ascoltavo e quando si scusava per essere stato prolisso io gli sorridevo. A volte andavamo a pranzo anche con Claudio Piersanti, uno dei suoi più cari amici e penna sopraffina contemporanea, ed era una gioia ascoltarli.

Mancherà molto ai lettori Gilberto e a me mancheranno anche quei martedì che con cadenza periodica e precisa riempiva un mio spazio prezioso. Uomo e persona sobria, non amava la ribalta, le sue apparizioni e le presentazioni dei suoi romanzi erano un evento raro: non voleva che il pubblico confondesse l’immagine con il contenuto e non gli importava cosa i lettori volessero leggere. Ha sempre scritto cose che lo interessavano non scendendo mai a compromessi neanche con le case editrici più grandi– tra cui Rizzoli e Mondadori –, che spingevano per un suo presenzialismo maggiore. Nemico del politicamente corretto, della retorica, del pressapochismo culturale, non lesinava frecciate, fatte sempre con garbo, alla società e alla letteratura contemporanea. Imperdibile, oltre A cosa servono gli amori infelici, Congedo ordinario, riproposto nel 2011 da Playground, la casa editrice che meritoriamente sta riproponendo le sue opere dopo aver pubblicato tutti i suoi ultimi romanzi dal 2009 in poi. Una narrativa che a distanza di anni mantiene intatta una attualità strabiliante, come tutte le opere di un certo spessore. Nella sua carriera quarantennale Severini ha partorito una dozzina di titoli che andrebbero letti. La sua dimensione è stata sempre il romanzo breve perché la sua capacità di sintesi gli permetteva di dire tutto quello che voleva in poco spazio.

Rimasto orfano di padre, morto in guerra quando aveva sei mesi e da lui mai conosciuto, nel 2013 pubblica Backstage, una lunga lettera al suo editore, Andrea Bergamini, in cui Severini gli comunica la sua impossibilità di scrivere un romanzo sulla condizione di orfano. Questo termine però assume, come spesso è accaduto nei precedenti suoi testi, un significato molto più ampio: non s’intende la sola mancanza di un padre, ma anche la mancanza della fede, della politica, di un avvenire e la progressiva scomparsa degli amici a cui si voleva bene. Attingendo dalle sue esperienze (ma attenzione a non considerare Backstage troppo autobiografico, ha dichiarato Severini in una delle rarissime presentazioni a cui ha partecipato), l’autore mette in campo anche le inquietudini che crea il passare del tempo, gioca sull’affermazione di Pietro Citati che dichiara che l’età massima per scrivere un romanzo è settantatré anni (smentito però da Carlo Fruttero che di anni ne aveva ottanta quando pubblicò Donne informate sui fatti), riflette sul senso di una vita che comunque va vissuta per tutto il tempo che si è vivi qualunque cosa accada, ritorna sull’amore come sentimento assoluto.
Severini, come già detto nella recensione al romanzo pubblicata in queste pagine, estrapola dai suoi ricordi alcuni frammenti che prende come spunto per illuminare il lettore, per regalargli schegge di luce che indagano sulla vita quotidiana. E ci accorgiamo, durante la lettura, che siamo tutti orfani di qualcosa.

“La maggioranza vince, ma non ha sempre ragione”, era uno dei suoi slogan preferiti. E non hanno ragione, lasciatemelo dire, coloro che l’hanno celebrato alla sua morte con ritratti che non rispondono a verità. Ho letto di “un comunista convinto” e di “uno scrittore di campagna”, due definizioni anni luce lontane dal personaggio. Che fosse di sinistra è fuori discussione ma era allergico agli estremismi. È stato il cantore della provincia italiana osservando, in ogni sua opera, i cambiamenti e l’evoluzione della società, puntando sui dettagli. Sono quelli che hanno annunciato le più grandi novità degli ultimi quaranta anni e a Gilberto non ne è sfuggito neanche uno. La sua riservatezza e il suo essere selettivo in ogni campo spesso sono state scambiate per presunzione ma chi lo ha conosciuto sa che era estremo rispetto per gli altri e per se stesso.

Ciao gi, in minuscolo come spesso si firmava a fondo alle e-mail. Ricorderemo la tua profonda sensibilità, il tuo stile e leggeremo ancora i tuoi testi che rimarranno scolpiti nella letteratura italiana di fine/inizio secolo e millennio.

Bibliografia di Gilberto Severini

Nelle aranciate amare (*), Il lavoro editoriale, 1981;
Consumazioni al tavolo, Il lavoro editoriale, 1982
Sentiamoci qualche volta, Il lavoro editoriale, 1984;
Fuoco magico, Transeuropa, 1988;
Partners (**), Transeuropa, 1988;
Un breve autunno, Transeuropa, 1991;
Congedo ordinario, Pequod, 1996; Playground 2011;
Feste perdute, Pequod, 1997;
Quando Chicco si spoglia sorride sempre, Rizzoli, 1998;
Capodanni, Pequod, 1999;
La sartoria, Rizzoli, 2001;
Ospite in soffitta, Pequod, 2002;
Ragazzo prodigio, Pequod, 2005;
Il praticante, Playground, 2009; Playground 2021;
A cosa servono gli amori infelici, Playground, 2011, 2024;
Backstage, Playground, 2013;
Dilettanti, Playground 2018;
Consumazioni l tavole/Sentiamoci qualche volta, Playground 2019:
La sartoria/Il praticante, Playground 2021;

(*) Nel 1997 è uscita una nuova edizione con l’aggiunta di nuove liriche: Nelle aranciate amare e altri refrain, Pequod;
(**) il volume raccoglie i tre romanzi: Sentiamoci qualche volta, Consumazioni al tavolo e Feste perdute;