In un passaggio verso il finale, Eva, la protagonista del romanzo della giovane scrittrice americana Clare Sestanovich, si trova in un vivaio a Los Angeles. Sta passeggiando con una vecchia collega ormai in pensione, che la incoraggia a provare a coltivare qualcosa di suo. Eva non sa nulla di giardinaggio e di piante, ma tenta ugualmente di costruire un’aiuola e ben presto sistema il giardino dell’appartamento in cui vive. Impara il significato del verbo coltivare: curare il terreno, dedicarsi a far crescere qualcosa. Ed è proprio imparando a coltivare le piante che Eva impara a nutrire sé stessa.
Pubblicato da NN Editore con la traduzione di Chiara Mancini, Chiedimelo ancora ci racconta le giovani domande di Eva mentre si affaccia nel complesso mondo adulto. Sestanovich assembla una storia costruita da punti interrogativi, dove ogni capitolo si apre con un quesito: Qual è il punto? Cosa vuol dire? È tutto qui? Posso chiederti una cosa? Quando la conosciamo, Eva sta per finire le scuole superiori e imbarcarsi per il college: quel momento in cui il potenziale sembra essere infinitesimale, migliaia di possibilità che potrebbero tradursi in realtà. Eva vaga da una possibilità all’altra, come saltando da un treno in corsa, e solo così riesce a comprendere la difficoltà di tradurre anche solo una strada potenziale in un sentiero solido da poter percorrere.
Il primo, grande punto interrogativo di Chiedimelo ancora è conoscersi. Eva desidera diventare giornalista e lavorare nella redazione di un giornale, e ci riesce – segue piste per articoli che si rivelano essere vicoli ciechi, si impunta a perseguire storie che si rivelano nella loro banalità, viene assegnata a sezioni del giornale in cui non ha nulla da offrire. Eva si innamora di un ragazzo, Eli, che non riesce ad avere legami stabili e duraturi – si legano al college, si ritrovano a Washington, si dividono a Los Angeles. Tutti potenziali pezzi del puzzle che evaporano piano piano nel corso del romanzo, dopo aver contribuito a costruire le fondamenta della vita adulta di Eva.
Il secondo, grande punto interrogativo del romanzo prende la forma di un ragazzo biondo. Jamie ed Eva si conoscono per caso nella sala d’attesa del pronto soccorso, mentre entrambi sono in attesa di una risposta sulla salute di qualcun altro. Da quel momento il loro legame li accompagnerà per tutto il romanzo, ma come due linee parallele le vite di Jamie ed Eva non si toccheranno mai veramente. Nel periodo iniziale di scoperta l’uno dell’altra il loro legame è molto forte, raggiugendo, forse troppo presto, l’apice: lo spazio che li separa è minimo, ma rimane sempre un’impossibilità nel raggiungersi. Jamie è sfuggente, schivo: volta le spalle ad una famiglia spezzata dalla sua stessa ricchezza, cercando in ogni luogo una povertà che lo purifichi. Tocca, quindi, ad Eva cercare di raggiungerlo nella sua mente – finché quelle due linee che scorrono parallele si allontaneranno sempre di più: “desiderava che lui tornasse indietro, o desiderava essere lei ad andare avanti?”.
Jamie è il grande potenziale di Eva: una strada, una possibilità così vicina, eppure così lontana, che non è riuscita a tradursi in realtà. Tutti noi, a qualsiasi età, dobbiamo fare i conti e portarci appresso il potenziale, ciò che avrebbe potuto essere o che avrebbe potuto realizzarsi, ma che non è stato. Probabilmente crescere e andare avanti è imparare a convivere con tutte le possibilità che sono rimaste tali. Il percorso di guarigione di Eva inizia quel giorno nel vivaio, quando prende consapevolezza che coltivare il suo futuro equivale a nutrire sé stessa. Sestanovich ci regala un romanzo di formazione pieno di tenerezza sul potenziale che è nelle nostre vite, chiedendoci (ancora) di vederci attraverso.