Waguih Ghali “Egiziani molto intelligenti”

Waguih Ghali, Una birra al circolo del biliardo, tr. Ada Arduini, Brioschi Editore, pp. 261, euro 18,00 stampa

Il rituale amoroso è questo: Edna si scioglie i capelli lunghissimi, si accoccola fra le gambe di Ram dandogli le spalle e lui la pettina accuratamente, le fa le trecce fissandole in fondo con dei piccoli spaghi. Che immagine impensata e straordinaria. Come in effetti è straordinario questo libro che riemerge dalla seconda metà dell’altro secolo molto distante e molto vicino a noi perché ci parla di ciò intorno a cui ancora oggi ci arrovelliamo, dividiamo, irrigidiamo, combattiamo – l’identità, le migrazioni, il rapporto fra il mondo di centro e il mondo di periferia, – e in particolare, essendo l’autore egiziano, il ripresentarsi delle speranze di libertà e di una vita più giusta ben presto strozzate. Sono due i grandi cicli che scandiscono la modernità dell’Egitto; il primo, l’epoca del libro – che è ambientato fra il 1956/1958 – con la salita al potere di Nasser, la nazionalizzazione del canale di Suez e la riforma agraria di ispirazione socialista, il secondo nel 2011 con le rivolte di piazza Tahrir. Grandi aperture immediatamente soffocate dall’irrigidirsi del potere e dalla feroce repressione.

Per questo Una birra al circolo del biliardo è sorto a nuova vita ed è diventato un libro di culto per i manifestanti di piazza Tahrir; lo spiega Elisabetta Bartuli nell’interessante postfazione che ricostruisce le vicende editoriali del libro e la vita di Ghali.

Se una figura come quella di Ram, ma anche degli amici e specialmente delle donne che compaiono nel romanzo tutti in “transizione” identitaria e ideologica, come scrive la Bartuli, sono un “modello” in cui riconoscersi per i protagonisti delle rivoluzioni arabe del primo decennio del secolo, sono ugualmente sorprendenti e interessanti per noi europei che, con supponenza, schiacciamo l’identità delle persone di quei Paesi secondo categorie molto stereotipate modellate sostanzialmente sulla nostra idea della religione islamica che, a sua volta, schiacciamo sulla storia di quei Paesi.

Ram – una specie di Somerset Maugham immerso nel magma “rivoluzionario” degli anni Sessanta del Novecento – ha una cultura politica e letteraria occidentale up tu date e un legame indissolubile con l’Egitto; legato all’Inghilterra dove ha frequentato l’università, ma assolutamente consapevole del colonialismo e delle sue strategie di potere, e del razzismo spicciolo come in questo siparietto tragicomico quando cerca casa a Londra.
“- Sei di colore? – mi domandò. Io mi guardai le mani per vedere se erano di colore oppure no. (…)
– Non lo so – risposi.
Era una grassona che impugnava uno spazzolone.
– Io non c’entro, tesoro. Mi hanno detto che se sei di colore devo dirti che la stanza è già stata affittata. A me sembri abbastanza bianco, ma non si sa mai.
– Sono egiziano – dissi.
Lei mi chiese di aspettare un momento e chiuse la porta.
Signora, egiziano va bene? – la sentii urlare.”
La signora in questione dirà poi soavemente a Ram che quando lei e il marito erano stati in Egitto avevano “conosciuto una quantità sorprendente di egiziani molto intelligenti.”

E ancora, Ram è nazionalista ma legato alla comunità cosmopolita de Il Cairo, appartenente a una minoranza copta ma con un legame inesistente con le religioni, comunista disilluso, nonostante abbia partecipato al movimento studentesco per la decolonizzazione dell’Egitto, apertamente critico verso Nasser e attivo nel trovare prove delle torture nelle carceri.

Anche i suoi rapporti con le donne sono improntati a questa sua indecidibilità che ne fanno un uomo del tutto contemporaneo: “Sono egiziano (…) e a un tratto mi ritrovo qui, e dopo tre settimane finisco a fare questa strana vita in cui incontro una ragazza e mi sembra naturale andare a letto con lei alla fine della giornata (…) Cose del genere in Egitto non succedono, e allora com’è che io vengo qui e vivo in maniera completamente diversa eppure ho la sensazione di averlo fatto da sempre?”.
Al che Edna – un’indimenticabile figura di donna, emancipata e fedele a se stessa – risponde: “Sei quello che sei; e cioè un essere umano nato in Egitto, che ha frequentato una scuola privata inglese, che ha letto un sacco di libri e che è dotato di una certa immaginazione. Ma dire che tu sei questo o quello o egiziano, è un’assurdità”.

Il libro e con lui il suo protagonista vivono proprio su questo crinale di indecidibilità e in definitiva di grande apertura. Intanto la storia macina le sue vittime e le ragioni di stato prendono il sopravvento con tutti i tragici paradossi del caso; per esempio i partititi comunisti sostengono il “socialista” Nasser che a casa sua li sta massacrando e torturando. I cinque capitoli che compongono il romanzo  si alternano saltando avanti e indietro per la storia e spazialmente fra Londra e Il Cairo. Un puzzle allegro e triste, lieve e profondo dove uno straniato Ram passa, riflette, dà giudizi, discute di politica, legge compulsivamente, lascia amori e convinzioni per rifugiarsi sempre al circolo del biliardo dove finisce per ubriacarsi.

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