Enzo Fileno Carabba / Quanti diluvi?

Enzo Fileno Carabba, L’arca di Noè, Ponte alle Grazie, euro 16,90 stampa, euro 10,99 epub

Sul finire del Quattrocento Leonardo da Vinci pose un’obiezione di tipo scientifico al Diluvio raccontato nella Genesi. Se è stato universale, a un certo punto la superficie esterna della Terra è stata tutta acqua: e poi quell’acqua che fine ha fatto? Come e dove si è ritratta? Questo era il primo problema, che anche altri dopo Leonardo si posero, mentre il secondo era: da dove sono arrivate le acque che hanno completamente sommerso la Terra? La pioggia da sola non poteva essere bastata.

Sulla scia della “dubitazione” di Leonardo si situano le varie teorie sulla formazione della Terra elaborate nel Seicento. Una delle più celebri è quella del reverendo Thomas Burnet che scrisse Telluris theoria sacra: una geologia biblica, nella quale cerca di spiegare gli eventi sacri in modo scientifico, razionale, mediante processi naturali come la pioggia e l’evaporazione. Burnet era uno di quelli che non credeva che l’innalzamento del livello dell’acqua degli oceani potesse da solo spiegare il Diluvio universale, e scrisse a un contemporaneo: “Posso credere che il mondo potrebbe essere inondato dalle acque che vi si trovano quanto al fatto che un uomo possa essere sommerso dalla propria saliva” (la citazione è riportata da S. Jay Gould, Il piccolo sporco pianeta del reverendo Thomas, in Questa idea della vita. La sfida di Charles Darwin, Codice edizioni, Torino 2015, 1° ed. 1977).

Oggi i tentativi di spiegare scientificamente il Diluvio universale possono far sorridere eppure sono il segno non solo di contesti e condizionamenti religiosi e culturali del passato, ma anche di quanto certe storie siano necessarie tanto che si fa di tutto per non buttarle via: di quanto siano archetipiche e moderne, e si possano continuamente raccontare da capo, come ha fatto Enzo Fileno Carabba proprio con una delle storie bibliche (e non solo) più note, quella del Diluvio e dell’arca di Noè. Anche perché, come scrive l’autore-narratore, “Se siamo qui, è grazie a individui in cui non crediamo più”. Carabba racconta la storia come un romanzo, diviso in tre parti: Fuori, ovvero fuori dall’arca, prima del Diluvio; Dentro, e poi di nuovo Fuori, dopo il ritorno alla terraferma.

Un racconto di distruzione e di morte ma anche di rinascita, con una guest star unica, un seicentenario di nome Noè. Un uomo grottesco che progetta di navigare su un mare inesistente e che affronta con preoccupazioni tutto sommato leggere la solitudine dell’essere stato prescelto, l’attesa di una catastrofe e l’impresa per tutti insensata che ha messo in atto. Non è facile scegliere come agire quando si è l’unico ad aver sentito una voce potente e ad aver visto un angelo, e non si sa neanche esattamente perché arrivi il Diluvio (Dio come sempre è di poche parole). La principale virtù di Noè era “la capacità di concentrarsi su un punto fino a farlo diventare gigantesco” e tutto ruota intorno a quel punto, a quello spazio visivo, anche le relazioni non sempre facili con i figli (che qui sono quattro e non tre come nel racconto biblico) e il rapporto con la moglie Naama (menzionata un’unica volta nella Genesi, ma che nel romanzo invece assurge a ruolo di coprotagonista), l’unica a non giudicarlo mai.

Carabba prova a raccontare i 40 giorni e le 40 notti dentro l’arca, dei quali la Bibbia nulla dice. La convivenza forzata al chiuso, senza luce, mentre sette metri di acqua sommergono le cime più alte della Terra – compreso il Paradiso terrestre – determinò comportamenti non convenzionali di uomini e animali, nonché una grande confusione, perché gli animali non erano ancora stati classificati dagli umani e a Noè (“un uomo del fuori, non del dentro”) capitava anche di usare nomi diversi per le stesse creature. Carabba scombina e allarga il racconto originale. La storia ufficiale dice che sull’arca non salirono cuccioli di nessuna specie: vogliamo credere che sia perché “i piccoli in certe situazioni diventano velocemente adulti”. Noè proibì gli accoppiamenti? Probabilmente perché sapeva bene che “certi divieti aumentano l’interesse per l’atto vietato”. Il problema era che gli uomini si potevano spaventare con la questione della colpa, della loro tracotanza, della necessaria punizione, ma queste cose agli animali non si potevano raccontare.

Il Fuori, però, la prima parte del libro, resta la più riuscita, anche perché animata dal problema centrale di tutta la storia, il più misterioso: la questione della selezione. Noè viene scelto, e a sua volta deve scegliere chi salvare e far salire sull’arca. Nella finzione di Carabba accade però che questi animali, che chiaramente l’autore ammira come li ammira lo stesso Noè, un po’ si scelgano da soli, iniziando a mettersi in fila per entrare nell’arca ben prima degli uomini, per lo più stolti e scettici. L’unica cosa che Noè fa, oltre a costruire l’arca, è cercare di riconoscere le manifestazioni del male presenti sulla Terra, così da non portarsele in mare.

Gli animali diversamente dagli umani preveggono la pioggia, o forse semplicemente hanno una idea del futuro più marcata rispetto agli umani. Credono nella salvezza insensata su un improbabile barcone di legno e nel ritorno a terra dopo il lavaggio del mondo. “Forse dopotutto il messaggio dell’arca per noi è questo: è proprio a bordo del ridicolo e dell’assurdo che ci salveremo. Perché i molti che hanno provato a salvarsi con troppa serietà sono finiti nella tristezza, che quando sale alla gola è anche peggio del diluvio di acqua”. In questo romanzo ironico e profondo, tutto animale e umano e dove la divinità è assente, il futuro di Noè (e di noi lettori) si dispiega inaspettato sul finale, sulla linea dell’orizzonte di quel nuovo mondo finalmente tornato asciutto e assolato.

Leonardo da Vinci si chiedeva: come hanno fatto a scendere le acque, se non c’era un solo punto della Terra dove potessero scendere? Le prime due risposte che gli vengono in mente, e che gli sembrano improbabili, sono che l’acqua sia evaporata tutta oppure che sia accaduto un miracolo (che è poi quel che si dice nella Genesi: Dio fece soffiare un vento sulla Terra e le acque si abbassarono). Leonardo propende per una terza ipotesi, che in fondo è la stessa alla quale arriverà il naturalista Georges Cuvier, partendo da tutt’altre osservazioni, quasi tre secoli dopo: il Diluvio non è stato universale, ci sono stati tanti diluvi di dimensione piccola e locale. Non è una affermazione di poco conto ed è molto di più che una spiegazione empirica e razionale: significa la speranza che altri si siano salvati, che le salvezze e le arche siano state più di una e parallele, ciascuna a insaputa dell’altra. O che esistano luoghi che non sono stati sommersi dal male, dalla rabbia, dalle acque; e soprattutto, la speranza che possano essere esistite più persone che come Noè tutte si sono concentrate su un singolo punto – mettere in salvo gli altri – sino a farlo diventare gigantesco.