Una nuova voce inedita approda in Terrarossa Edizioni. Ilaria Grando, nata nel 1992 e storica dell’arte, trova un porto sicuro alle delicate parole che formano il suo romanzo d’esordio, Lettere minuscole, nella collana Sperimentali dove l’editore punta a investire in una “ricerca stilistica originale”. E non potrebbe essere altrimenti. Grando accoglie i lettori nel suo mondo letterario costruito minuziosamente – dove ogni parola ha il suo perché, dove ogni spazio bianco rappresenta una cura – con una prosa stilistica melodiosa, poetica. Le frasi sono ritmate, equilibrate, tanto che viene naturale leggerle ad alta voce per assorbirne i suoni: «squarcia le labbra nel luogo del bacio, quello che tutto ha cominciato, e poi famelico punta allo sterno per rivelare al mondo un inferno».
Da uno squarcio comincia la storia che l’autrice ci racconta – frammenti di buio e di luce, di oblio e di ricordi. La protagonista ci porta nel suo mondo di rimpianti e ci svela la sua fragilità, permettendoci di vedere sotto un cuore coraggioso, con una gran voglia di vivere e di trovare un luogo di pace. Il tempo in Lettere minuscole non è lineare: entriamo in un movimento temporale rappresentato come un gioco di specchi, dove ogni superficie è un capitolo o un paragrafo che riflette un luogo, una persona, una parola, un non detto, un sentimento. «Ti scrivo. Lo faccio tra parentesi (nel luogo preferito della lingua). Ti chiudo lì (fermo)»: l’intero romanzo è cadenzato da parole e frasi chiuse in parentesi tonde, dove finisce tutto quello che si vorrebbe dire ma che solitamente risulta superfluo e viene infine definitivamente eliminato. Ma se si concentrasse lì dentro, invece, la chiave per aprire le porte giuste, per dare un senso alle cose?
Così inizia il tentativo della voce narrante di trovare un significato ai pensieri che popolano la sua mente. La protagonista ha vent’anni, un lavoro e poche certezze. Ha studiato a Venezia, lavora a Milano, vola spesso a New York e in Francia. In questa geografia sentimentale si inseriscono elle, esse ed emme: non vengono mai chiamati interamente per nome, solo con lettere minuscole scritte per esteso, e si muovono con la protagonista in fasi temporali diverse, uno di seguito all’altro (nella linea temporale) e tutti insieme (nei frammenti che compongono il romanzo). La protagonista vive in un mare di rimpianti, ferma tra quello che è stato e non sarà più, in capitoli interrotti sedati da pastiglie d’iperico, da 25 grammi di Sertraline e da terapie con la psicologa. Si copre di tatuaggi, sperando che l’inchiostro nero possa coprire i centimetri di pelle che scompaiono con la mancanza di cibo. Si guarda allo specchio e si chiede cosa significhi per lei essere donna e cosa questo comporti, cosa dovrebbe indossare per arrivare a quell’ideale irraggiungibile che elle, esse ed emme si portano via, lontano da lei. Così la voce della protagonista ci porta all’interno della sua mente, dove si originano i pensieri e i rimpianti; dove nasce la voglia di andare avanti, timida, coraggiosa e imperterrita che ci mantiene in vita, anche dopo le cadute.