L’invasione delle fantascientiste

Aa. Vv., Materia Oscura, Emanuela Valentini (a cura di), Delos Digital, pp. 300, euro 3,99 ebook

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un nuovo corso di impronta femminile (e femminista) che coinvolge la società a tutti i livelli, articolato in un ventaglio molto ampio di ribellioni, proteste, prese di posizione che hanno profonde radici in un passato di lotta e, benché spesso canzonate, se non addirittura derise, sono già definite da molti come “rivoluzione”.

Il problema ancora irrisolto della parità di genere coinvolge il cinema, le istituzioni, il mondo del lavoro, addirittura il lessico e la grammatica. La letteratura, come sempre, ha in tutto questo un ruolo-chiave e, come scrivevamo nel reportage da Stranimondi 2017, anche la fantascienza italiana è diventata oggetto di discussioni: da tempo si parla dello squilibrio tra i due sessi nelle pubblicazioni del nostro Paese. Le autrici italiane di fantascienza sono in netta minoranza: durante le recenti polemiche sul Premio Urania che hanno accompagnato e in parte coinvolto le ultime due edizioni di Stranimondi, si è ribadita, infatti, l’oggettiva latitanza di scrittrici. Certo, è difficile credere che in Italia esista qualcuno (curatore o editore) che rifiuti coscientemente un racconto o un romanzo perché scritto da una donna. Eppure i riconoscimenti alle singole autrici sono rari e, in ogni caso, si continua a percepire un malessere di fondo, la sensazione che ci sia, in effetti, “qualcosa che non va”.

Gli addetti ai lavori, da anni, si chiedono perché le donne non scrivano fantascienza: alcuni rispondono che chi vuole esordire preferisce generi che abbiano un mercato più ampio e quindi esclude d’ufficio la fantascienza italiana. Altri fanno notare come il mondo della letteratura sia nel bene e nel male lo specchio della realtà in cui viviamo: ancora oggi, grattati via i proclami di parità e il politically correct di facciata, la discriminazione è ancora presente nella società italiana. A questo proposito, nel suo articolo apparso sul numero 82 di Robot, Anna Feruglio Dal Dan ha parlato della “minaccia dello stereotipo”: una riflessione interessante che, tra le altre cose, parla di quei meccanismi soprattutto inconsci che portano ad affermare in candida buona fede che “le scrittrici di fantascienza non ci sono, […] non è colpa di nessuno, […] le donne semplicemente non ci mandano i loro manoscritti e quindi come facciamo a pubblicarle?”. Nel testo si cita, inoltre, il problema ancora irrisolto dell’insegnamento delle materie scientifiche: troppo spesso le ambizioni in questo senso delle bambine prima e poi delle ragazze sono frustrate dal pregiudizio, come accade sempre “quando un qualunque gruppo di persone fa parte di uno stereotipo negativo”. Aggiungo: se nelle scuole si insegna già poco di statistica, matematica, fisica, etc., intese non solo in senso nozionistico (comunque fondamentale) ma come forma mentis, modo di ragionare e di essere, che cultura scientifica potranno mai avere quelle persone alle quali, sotto altre forme e modi, più pervasivi delle lezioni frontali, si ripete continuamente che la scienza “non è roba da femmine”? Se poi ci si mette anche l’opinione semplicistica che molti hanno della fantascienza, troppo spesso intesa dal grande pubblico solo ed esclusivamente come declinazione di astronavi e invenzioni futuristiche, forse ci avviciniamo a una spiegazione alla latitanza di scrittrici di fantascienza.

Ovviamente, si tratta di un problema complesso, che sarebbe arrogante voler analizzare in poche righe: moltissimi i fattori in gioco, le concause, alto il rischio di falsare le conclusioni attraverso la propria esperienza personale. Per questo motivo, mi limito a indicare come Feruglio Dal Dan, sempre nell’articolo di cui sopra, sostenga che le cosiddette “quote rosa” possano essere una soluzione: non ghettizzazione, quindi, ma opportunità.

In questo senso, negli ultimi anni in Italia iniziano a esserci timidi tentativi, con antologie deliberatamente tutte al femminile: come Rosa Sangue (a cura di Donato Altomare, Altrimedia, 2016), che comprendeva anche racconti di fantascienza; nello stesso anno Gian Filippo Pizzo ha presentato Oltre Venere (La Ponga). A fine 2017, invece, è stato il momento di Delos Digital, che ha pubblicato Materia Oscura, a cura di Emanuela Valentini. L’antologia raccoglie alcune tra le più importanti autrici di fantascienza nel panorama italiano (Abbate, Amidani, Bianchini, Di Fazio, Dal Dan, Farris, Gubellini, Repetto, Scapellato, Scaramozzino, Simoncelli, Vallorani e Zunic’).

Dati i nomi coinvolti, è facile intuire il valore letterario di Materia Oscura, eppure il suo maggiore pregio non sono i singoli racconti, ma l’equilibrio che si viene a creare tra le autrici: stili differenti, diversi modi di approcciarsi alla fantascienza, che riflettono diverse visioni della scrittura, del mondo, della vita. Scegliendo di dare la massima libertà, Valentini è riuscita a ottenere ciò che troppo spesso si tende a dimenticare: l’importanza dell’armonia in una raccolta, grazie a un’eterogeneità che, come in un coro, arricchisce. Nell’antologia si passa dal tema spaziale (Anna Feruglio Dal Dan, “Stazione Tikuka”, Franca Scapellato “La seminatrice”) al particolarissimo racconto di Roberta Giulia Amidani (“Gaussiana”). Naturalmente, in ogni antologia c’è un racconto che si avvicina di più ai gusti del recensore: in Materia Oscura ne ho particolarmente apprezzato più di uno, ma in questa sede vorrei citare Elena Di Fazio. “Campi di fragole” è originale e ben scritto per stile e padronanza dell’architettura della trama: un gioco di specchi, basato sul cosiddetto “effetto Mandela”.

Curare un’antologia può sembrare un compito facile: al contrario, bisogna fare attenzione a guardare non solo alla qualità del singolo, ma anche all’insieme, appunto all’armonia. Proprio grazie alla decisione di non tracciare una linea netta, ma proporre alle autrici di far parte di una raccolta “senza temi, senza regole, senza altro strumento che la tastiera per creare storie libere, indipendenti le une dalle altre e uniche”, Valentini è riuscita dove molte volte altre antologie, nate da linee guida più “strutturate”, hanno fallito: dare voce alla singola persona, prima come tale e solo in un secondo tempo come autrice (“Liquefatio H.G.” di Abbate, “Di fango e di fuoco” di Zunic’).

Come già detto, Materia Oscura ha anche un significato civile. Nel corso dell’ultima edizione di Stranimondi, è stato chiesto a Pat Cadigan se avesse mai subito discriminazioni di genere durante la sua vita di scrittrice: in una lunga e articolata risposta, Cadigan ha sottolineato come i cambiamenti abbiano inizio con le persone comuni che si guardano attorno e si pongono delle domande. Sono passati molti anni da quando le scrittrici italiane di fantascienza si contavano solo sulle dita di una mano (Rambelli, Musa, Rinonapoli…), ma in qualche decennio le autrici sono passate da quattro a venti: si procede verso un equilibrio, ma troppo poco, troppo lentamente. Materia Oscura propone, chiede, tenta di rispondere a un bisogno sempre più urgente, nella speranza che presto cadano i muri delle differenze, nella luce di una società più giusta, più unita e quindi più forte, nella quale sarà davvero inutile discutere di “quote rosa” e si potrà parlare – forse per la prima volta – di bellezza, bravura, emozione, liberati dalla zavorra del pregiudizio che fin troppo spesso maschera l’incompetenza.

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