Michela Panichi / Corpi salmastri

Michela Panichi, La Cecilia, nottetempo, pp. 264, euro 15,90 stampa, euro 10,99 epub

La Cecilia è il romanzo di una giovanissima scrittrice napoletana, Michela Panichi, finalista nel 2024 al Premio Italo Calvino e vincitrice nel 2020 al Campiello Giovani, pubblicato da nottetempo che accoglie così l’arrivo della calda aria estiva. Panichi ci racconta della ribellione dei corpi mentre la vita più complessa bussa alla porta di chi sta crescendo. Appare sull’uscio una ragazzina che porta il nome di un anfibio, che decide di testare questa sua caratteristica di potersi adattare e vivere in due ambienti differenti.

Il contatto dell’aria salmastra con la pelle dei corpi che cambiano è diverso, l’anno in cui Cecilia compie tredici anni: è un contatto fremente, scattante, senza tregua. Cecilia, con sua madre e suo fratello, varcano la soglia della loro casa per le vacanze a Ischia per fuggire dall’opprimente caldo urbano di Napoli. Cecilia freme per il consueto soggiorno prolungato in città del padre, dovuto all’attesa della fine degli esami dei suoi alunni. È un’attesa sofferta che per Cecilia è inevitabile, sentendo con il padre un legame riempitivo della distanza comunicativa con la madre; un legame che colma i vuoti della sua giovane età, in bilico tra l’infanzia e la vita degli adulti. La lontananza dal lato femminile della famiglia sembra essere cristallino come l’acqua del mare – una lontananza esterna, visibile e corporea; ma allo stesso modo interna, dovuta a quello che Cecilia vede come un lontano, faticoso e ripugnante arrivo a quel movimento viscerale che tinge di rosso ogni mese. La vicinanza al lato maschile del mondo Cecilia la sente sulla pelle e dentro di sé, come conferma del legame che sente con suo padre.

Sembra facile, quindi, sgusciare da un corpo all’altro, in un’estate che conosce solo confini geografici: a Sant’Angelo, a casa sua, Cecilia deve essere femmina, ma ai Maronti, poco più in là, può usare un corpo ibrido come scudo e diventare maschio, Luca, come il fratello. Sì, perché il nome Cecilia deriva dal termine caeciliidae, che si riferisce a un anfibio, a un verme diffuso nel Sudamerica, dove non c’è differenza tra maschio e femmina. Cecilia decide di usare il proprio corpo – quello stesso corpo in cui non si riconosce, che sente come estraneo – come un mezzo per schermare la crescente confusione che sente venire dal mare e arrivare fino dentro le ossa, per essere libera nella terraferma, di fronte all’incontrollabilità dei sentimenti per Alba.

Il corpo, però, reclama sé stesso, come una forza inevitabile. Un giorno Cecilia comincia a sentire la sua femminilità a livello fisico, con concretezza, e vede, non ancora con chiarezza ma con un’intuizione fugace, un comun denominatore con la madre. Mentre cerca di districare i fili della lontananza dei corpi dei genitori, Cecilia sente che la cieca sofferenza della madre è una vicinanza alla sua stessa sofferenza interna, al contrario della crescente distanza con il padre, che è una lontananza sporca, frutto di corpi che non controllano i propri istinti. Cecilia, sia da femmina che da maschio, comincia a provare un’ostinata repulsione per gli istinti animaleschi che sentono i corpi salmastri. Vorrebbe non dover usare il proprio corpo come un mezzo per amare, perché sente che così si sporcherà come i suoi genitori, come il tradimento di suo padre, come Alba che vuole diventare grande. Cecilia deduce che il corpo è un mezzo inaffidabile proprio per la sua incontrollabilità sugli istinti, ma quello che il corpo fisico percepisce è comunicante con un luogo dentro di noi che è incontrollabile per natura, perché dominato dal lato emotivo più libero.

Panichi possiede una scrittura introspettiva, leggera, fluida. Pesa e nutre le parole fino a condurre Cecilia a sentirsi libera di parlare, di confessare e di porre domande. La Cecilia è una storia corporea, fatta del contatto di corpi, del prendere possesso del proprio corpo e di ciò che veicola: confusione, rabbia, tradimenti; ma anche tante emozioni e sentimenti. Il corpo si mette in relazione ai cinque sensi per esprimersi, senza giudicare.