Pia Rosenberger / La vita nelle sculture

Pia Rosenberger, L’artista delle donne. Vita di Niki de Saint Phalle, tr. Chiara Ujka, Beat, pp. 304, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

Probabilmente contro la sua volontà, Niki de Saint Phalle è diventata negli ultimi anni una sorta di icona pop; è sufficiente inserire il suo nome e cognome in qualsiasi motore di ricerca internet per vedersi restituire non solo alcune foto dell’artista, ma anche e soprattutto una quantità di nanas, le famose figure tridimensionali che sono oggi il simbolo stesso della sua arte. Cosa sono le nanas? Wikipedia (edizione inglese) le definisce “spensierate, stravaganti, colorate, sculture di figure femminili a grandi dimensioni”: sono donne di forme giunoniche, si sarebbe detto un tempo, di materiali diversi – resina, metallo, ceramica –dai volti lisci senza lineamenti e con mani e piedi abbozzati appena, vestite di solito con costumi da bagno che diventano tele riempite di colori saturi, in forme fantasia. Esempi visibili in pubblico dell’arte di Niki si trovano a Parigi, di fianco al Beaubourg (nella fontana “animata” da Jean Tinguely e dedicata alla musica per balletto di Igor Stravinskij), davanti al Museo nazionale delle donne nell’arte, a New York, e soprattutto nel magnifico Giardino dei Tarocchi in Italia.

Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle, detta Niki, nata in Francia nel 1930 in una famiglia dell’antica nobiltà medioevale, cresciuta a New York, perfettamente bilingue, e morta in California nel 2002, è probabilmente tra gli artisti e le artiste del Nouveau Réalisme la più assimilabile dal grande pubblico, proprio in virtù di un’apparente immediatezza delle nanas, e per questo volentieri masticata dal mercato della riproduzione industriale dell’arte.

Questo squisito libro della scrittrice tedesca Pia Rosenberger, che non è un saggio malgrado il sottotitolo, bensì un romanzo, racconta la lunga strada per l’affermazione artistica di Niki, dall’età di sedici anni, quando in aperta ribellione contro la famiglia decide di diventare fotomodella. Ne è esempio la bella immagine stampata sulla copertina del libro proviene da un servizio per la copertina del rotocalco Life del settembre 1949, intitolato How to make two outfits out of one, che insegna alle donne americane come trasformare una gonna da versione giorno a versione sera, semplicemente cambiando la blusa bordeaux con un bustino crema. Segue il primo grande successo pubblico a Stoccolma, negli anni Sessanta: dunque tutta la prima parte della sua carriera artistica, fino alla maturità.

Tutta la vita di Niki è nel segno della ribellione: contro lo stile di vita borghese della famiglia, contro la figura del padre incestuoso, contro una esclusività maschile della figura dell’artista, e poi ancora contro l’universalità del sentimento materno (benché il suo più grande rimpianto sia l’abbandono dei figli), la famiglia nucleare, il vincolo matrimoniale. Questo il senso di rivolta contro le convenzioni, tipicamente novecentesco e inscritto nelle varie tappe del movimento per la liberazione femminile. Senza furia iconoclasta, senza rotture radicali, la protagonista conquista una propria voce nel mondo dell’arte al ritmo di piccoli strappi: l’emancipazione economica dalla famiglia, il matrimonio precoce, la separazione dai figli, una relazione extraconiugale, sempre all’ombra del fantasma di un padre che ha violato la propria vocazione di guida nella vita, per diventare una macchia infamante, un disturbo che la porta fino all’orlo della follia, all’elettroshock.

Una parte centrale nel romanzo è il periodo in cui Niki si dedica alla forma artistica definita tirs, cioè “tiri” (d’arma da fuoco): grandi pannelli che incorporano oggetti in bassorilievo, tra i quali sono predisposti contenitori di vernice che vengono fatti scoppiare a colpi di fucile da Niki stessa, in performance pubbliche che la portano sulla prima pagina dei rotocalchi d’arte. In questo spettacolo, all’apparenza violento, l’artista sublima la violenza del sentimento di rivolta contro le condizioni oggettive che la imprigionano, dal trauma dell’incesto ai pregiudizi contro le donne artiste, con un procedimento di grande impatto emotivo. La grande affermazione arriva infine a Stoccolma, con una gigantesca nana allestita all’ingresso del Moderna Museet, la cui porta è all’interno della vagina della scultura. L’invenzione della nana nasce dalla consapevolezza della marginalizzazione femminile nell’arte. “Sono un’artista delle donne, pensò. Parlo di me ma anche di tutte noi. La nostra vita è predeterminata dalle convenzioni sociali, dalla nascita alla morte. Scandaglierò i nostri ruoli e se possibile li infrangerò”.

La revisione della figura femminile nella sua arte passa attraverso la costruzione delle caratteristiche della nana, che riproduce in maniera quasi caricaturale le fasi stereotipate della femminilità: matrimonio, gravidanza, parto, maternità: “Queste divinità pop con curve evidenti erano in parte una metafora del cliché della donna come macchina per bambini senza cervello, ma c’era di più: queste creature tutte curve sono diventate iconiche. Rappresentavano un nuovo potente futuro matriarcale” (intervista a Francesca Gavin, su Dazed, marzo 2008). La narrazione si interrompe negli anni Sessanta, con un breve epilogo al Giardino dei Tarocchi. Non so se sia previsto un sequel che racconti gli anni successivi; il romanzo è comunque concluso.

Sono stato due estati fa a visitare il Giardino dei Tarocchi, in provincia di Grosseto. Niki de Saint Phalle impiegò quasi vent’anni a costruire questo grande parco artistico, con l’aiuto di Tinguely e decine di maestranze, nella bassa Toscana: un percorso attraverso colossali installazioni artistiche coloratissime, non solo nanas: grandi fontane, grotte, piazze, edifici su cui si può salire, sembrano animali ma sono fatti di vetro, ceramica, legno, specchi, una casa di sogno che non sfigurerebbe nel Parc Güell di Barcellona, nella quale l’artista visse durante gli interminabili anni di lavoro artistico. Il giardino è un gioiello, ogni scultura è una personale interpretazione di una figura degli arcani maggiori (l’albero della vita, gli innamorati, la giustizia, il diavolo, la morte, il matto, ecc.) e anche un omaggio al vicino sacro bosco del principe Orsini a Bomarzo. Un luogo fuori dal tempo, dove si frantumano le barriere tra realtà e sogno, tra arte e gioco, così poco conosciuto nel nostro paese che la maggior parte dei visitatori parlavano inglese, francese, tedesco, olandese. Peccato, perché questa colossale arte colorata è una medicina per lo spirito.