(R.D.) Se il nome è “menopausa”
Cosa succede quando improvvisamente sentiamo che un cambiamento epocale è piombato nelle nostre vite e stravolge il nostro corpo, le nostre relazioni e i nostri desideri? Non si tratta certo di mettersi a tavolino e prendere delle decisioni, soprattutto perché spesso questi cambiamenti ci attraversano e per lungo tempo stentiamo a riconoscerli, a comprenderne gli effetti profondi a dar loro un nome. Menopausa (o perimenopausa come è stato scritto da più parti) è il nome del cambiamento che Miranda July (1974, scrittrice, regista e sceneggiatrice statunitense) ha deciso di raccontare in un rutilante, divertente e divertito romanzo, in originale intitolato All Fours (Miranda July, A quattro zampe, tr. di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, pp. 328, euro 20,00 stampa, euro 4,99 ebook) che chiaramente richiama anche in italiano la posizione della “pecorina”: perché a quattro zampe, in fondo, si tende ad essere più stabili.
La (presunta) stabilità della vita che precede la menopausa dell’anonima protagonista quarantacinquenne di questo romanzo – artista di una qualche fama ma giunta ad un punto morto della propria carriera, moglie del produttore musicale Harris e madre dell figl non binaria Sam – viene sconvolta da dubbi incipienti sul suo intero mondo: continui ripensamenti su scelte e desideri, inspiegabili colpi di testa, rocambolesche casualità spesso condite da soluzioni maldestre quanto imbranate.
Perché per la protagonista la menopausa non è affatto, banalmente e stereotipicamente, l’età del calo del desiderio, della secchezza vaginale e di tutte la gamma di possibili rinunce e ritiri dal mondo che affliggerebbero donne condannate dalla fine dell’età fertile, anche perché la nostra eroina non ha alcuna intenzione di riprodursi ancora. La nostra eroina ha piuttosto una grande, irrefrenabile voglia di godere e non intende certo rassegnarsi a incomprensibili grafici che mostrano quanto la sua vita fisiologica possa essere biologicamente e deterministicamente orientata da saliscendi ormonali. Del resto il punto di svolta, che fa da perno all’intera costruzione narrativa, è l’incontro con Davey, un giovanotto qualunque di una decina d’anni più giovane di lei che diventa, suo malgrado, l’im/possibile oggetto di un desiderio incontenibile che risveglia una spumeggiante creatività e un’intensa voglia di sperimentazione estetica, emotiva e sessuale.
“Può il mondo accogliere l’idea di un sé in continua evoluzione?”, si è chiesta non troppo banalmente Marie Solis scrivendo di A quattro zampe sul “New York Times”, dove non ha esitato a definirlo come “il primo grande romanzo sulla perimenopausa” ].
Demolire i totem del patriarcato
In un percorso segnato da selvagge oscillazioni e fatto di auto-riabilitazione, non rassegnazione e una più o meno ferrea volontà di non subire i cambiamenti ma di governarli o, quanto meno, di assecondarli per estendere le proprie percezioni e piaceri, M (ad un certo punto compare questa iniziale riferita alla protagonista – ovviamente casuale ogni riferimento al nome della scrittrice stessa) decide di sfidare apertamente i totem del patriarcato che vorrebbero – ancora oggi nel discorso comune dominante! – presiedere al congedo definitivo da una vita non più valida ai fini riproduttivi. Almeno quella di una donna, con gli uomini che, stando ai terribili grafici ormonali di cui sopra, partirebbero con un vantaggio biologico:
È strano, ha detto, che gli uomini abbiano quasi sempre la stessa quantità di testosterone.
Ho ingrandito il grafico con due dita. La lieve discesa della linea punteggiata del testosterone indicava un cambiamento quasi impercettibile. Mentre io precipitavo da uno strapiombo, Harris avrebbe passeggiato per una stradina di campagna che degrada dolcemente, fischiettando con una pagliuzza nell’angolo della bocca.
L’eterosessualità compulsiva e obbligatoria, il dispositivo sociale della coppia (soprattutto in una “relazione romantica” con tutte le implicazioni intime e sociali del caso) e quello giuridico e pseudo antropologico del matrimonio e infine l’accerchiante monogamia sono elementi pronti ad esplodere in faccia a lettori e lettrici, sotto i colpi di scelte e opinioni squadernate dalla protagonista e dalle sue amiche, ovviamente tutte in o sulla soglia della menopausa.
Amicizia e solidarietà femminile – altri fatti sociali ottimamente raffigurati dal congegno narrativo di July – servono a vivere come una forma di liberazione tutte le direzioni che di volta in volta la vita della protagonista sembra intraprendere: non senza inciampi talvolta ridicoli, che connotano il testo di un’ironia mai feroce e sempre empatica con tutti i personaggi.
Del resto, la ben nota bisessualità della nostra eroina e la scelta di abbandonarsi a travolgenti passioni lesbiche non fa che ricordarci, per converso, l’ingombrante centralità sociale dell’eterosessualità che, come scrisse Carla Lonzi in La donna clitoridea e la donna vaginale (1971), “non siamo così cieche da non vedere che è un pilastro del patriarcato, non siamo così ideologiche da rifiutarla a priori”.
Molti pilastri del patriarcato vengono ridicolizzati dalla narrazione di July che però non è mai didascalica: non ha lezioni da impartire quanto esperienze da mettere in forma di prosa brillante.
E così anche il piacere della penetrazione, idolo intorno al quale ruota il rapporto eterosessuale, più che essere demistificato dai rapporti lesbici viene relativizzato: se quello è il piacere ce lo prendiamo senza cazzi fatti di corpi cavernosi irrorati di sangue.
Dunque, se in un memoir come Perdersi (Se perdre, 2001) di Annie Ernaux, il piacere di una relazione sentimentale complicata per una donna di mezza età brucia intorno ad una passione fortissima ma confinata tra incontri segreti e le pagine di un diario, A quattro zampe sconfina oltre i recinti di quello che le donne (di solito) non dicono. Più di tutto, in barba ai più triti cliché riguardanti soprattutto la corporeità delle donne, il corpo in A quattro zampe è sì misura del tempo ma la sua rappresentazione non è necessariamente una parabola e i cambiamenti indotti dalla menopausa non conducono necessariamente al suo versante discendente. Non a caso forse, come ha scritto Zoe Williams sul Guardian, molte lettrici avrebbero trovato nel libro le chiavi per cambiare radicalmente la propria vita.
(E.M.) Desiderio sessuale, il nucleo incandescente
Quando un libro mette al centro il sesso, corre un rischio preciso e radicale: o è un romanzo pornografico sans phrase — e in quel caso l’atto sessuale è rappresentato come fine e motore del testo da cui deborda per definizione — oppure, se vuole essere un romanzo vero e proprio, il sesso finisce per slittare altrove, sublimato, raccontato attraverso discorsi metasessuali su amore, coppia, maternità, patriarcato, rivoluzione… In questo secondo caso, c’è sempre il pericolo che il desiderio sessuale, pur essendo ovunque, salti dal punto di vista narrativo, o venga disinnescato dal peso delle sue implicazioni simboliche.
Ma proprio questo scivolamento interpretativo rivela un punto cieco: il desiderio sessuale è il nucleo incandescente di A quattro zampe, ed è descritto in modo radicale, preciso, esploso. Non è simbolo, non è struttura, non è teoria. È azione, fame, materia. Non è sfondo né sintomo: è l’oggetto narrativo centrale. Non si tratta di un desiderio represso o implicito, ma di un desiderio esplicitamente agito. La protagonista lo insegue con ostinazione, senza paura del ridicolo, dell’umiliazione, della perdita. Non lo maschera, non lo sublima: lo esibisce nella sua forma più cruda e incontrollabile. Eppure, non si consuma mai in un atto sessuale. E proprio questo mancato compimento ne accresce la forza. Il desiderio attraversa tutto il romanzo, ma non ha un punto d’arrivo, e per questo non si estingue mai. Anche quando il tempo passerà e ci saranno altre storie.
Il massimo della tensione erotica si concentra in una scena al limite tra intimità e grottesco: lui che le cambia un tampone durante le mestruazioni. Un atto che non è sesso ma ne condivide la carica simbolica e fisica. È un gesto quasi di cura, ma anche di invasione, di esposizione, di resa. La scrittura di July non lo chiude in una categoria: resta miracolosamente sul crinale tra il sublime e il ridicolo, lasciando che il lettore ne percepisca tutta la forza ambigua e perturbante.
Questo stesso meccanismo di desiderio incompiuto si estende anche alla dimensione materna. Il figlio della protagonista nasce dissanguato, praticamente morto, ma poi sopravvive. Non è solo una figura liminale tra vita e morte, ma anche tra identità: non ha un genere assegnato. Mi pare che non sia semplicemente una scelta narrativa legata alla sensibilità contemporanea sul genere, ma parte integrante di una poetica del desiderio che sfugge alla normazione, che rifiuta i compimenti canonici, anche quello della maternità come conferma identitaria.
A tutto ciò si aggiunge un altro paradosso: la protagonista ha già una vita sessuale appagante. Con il marito ha rapporti sessuali intensi e soddisfacenti, ricchi di orgasmi; anche con le donne ha esperienze piene. Ma ciò che cerca in Davey è qualcosa d’altro, qualcosa che non può essere contenuto nelle forme sessuali note o condivise. Non è l’amore, non è la coppia, non è il piacere. È la fame assoluta di essere posseduta, consumata, dissolta.
In questo senso, la protagonista non incarna un modello femminista emancipato, bensì una figura antica e vertiginosa della passione: vuole essere inferiore, dipendente, schiava d’amore. E lo fa senza compiacimento, senza vittimismo, senza ironia anche se lei come narratrice non può non vedere il lato addirittura comico della vicenda. Vuole vivere una forma di abbandono totale, in cui il desiderio coincide con la sottomissione, non come regressione, ma come atto consapevole di immersione nel proprio desiderare. Questo è ciò che la rende insieme patetica e grandiosa, vulnerabile e potentissima: sceglie di non proteggersi.
La vecchiaia & il piacere
In questa dinamica, si inserisce anche un aspetto sorprendente e spesso taciuto: la paura di essere troppo vecchia si mescola con il piacere. La protagonista non solo è consapevole del proprio corpo che cambia, del tempo che passa, della possibilità concreta di non essere più desiderabile da un uomo più giovane, ma è proprio questa consapevolezza a intensificare l’esperienza del desiderio. L’insicurezza non cancella il piacere, lo moltiplica: è come se l’eccitazione passasse anche attraverso il rischio del rifiuto, la vergogna dell’inadeguatezza, l’imbarazzo del confronto. La protagonista desidera non nonostante la sua età, ma anche grazie a essa. Il desiderio si fa più acuto perché si sa temporaneo, più esposto perché sa di sfidare una norma. Il piacere, in questa forma, è inseparabile dalla paura di perderlo.
Davey, l’oggetto del suo desiderio, è assente in modo assoluto. Non perché sia cattivo o indifferente, ma perché è totalmente assorbito dal proprio progetto di vita: diventare ballerino. Non può permettersi distrazioni, né di restituire l’intensità che riceve. Ma questa asimmetria non annulla il desiderio, anzi lo sacralizza: la protagonista ama Davey proprio perché lui non può amarla. Perché è inaccessibile, e quindi perfetto.
Alla fine, A quattro zampe racconta una donna che non vuole farsi amare, ma desiderare fino al dissolvimento. Una donna che non cerca emancipazione, ma esposizione radicale. Che non chiede pari dignità, ma la grazia pericolosa della sottomissione. E lo fa con una precisione narrativa, emotiva e politica notevole e – cosa non secondaria – molto divertente.
July costruisce così un romanzo che non ha paura del desiderio femminile, neanche quando è osceno, irrazionale, o disperato. E questo, nel panorama letterario contemporaneo, è forse il gesto più libero e più feroce che si possa compiere.
In ultimo la copertina
… che è del tutto incongruente al punto di far credere che chi l’ha licenziata abbia perso la trebisonda leggendo il romanzo. Chissà.