A leggere Rachele Salvini, ci si dimentica di essere di fronte all’opera di un’autrice italiana. Il ritmo, la sintassi, la costruzione dei personaggi – è una prosa impregnata di letteratura e cultura americane; la sua origine è tradita solo da certe similitudini, eco di un lirismo tutto nostrano. Salvini, del resto, ha studiato in varie parti degli Stati Uniti ed è stata scelta per un dottorato in Inglese e scrittura creativa in Oklahoma, di cui si è innamorata grazie a persone, animali e a quella che definisce una selvaticità trash.
Lo stesso Oklahoma protagonista di Pelli, suo secondo romanzo pubblicato da nottetempo. Nella cittadina di Agra abita Zelda, vedova taciturna, ancora prigioniera del ricordo di un marito verbalmente feroce, capace di divorare la sua autostima e la sua indipendenza pezzo per pezzo. Tom era un chirurgo ossessionato dalla caccia e dalle pelli delle sue prede, un uomo ben diverso dal ragazzo conosciuto in gioventù. A Zelda rimangono un figlio divorziato fin troppo simile al padre, una nipotina finita in mezzo a un matrimonio infelice, delle amiche con cui condividere la passione per gli oggetti di seconda mano, e quel pianoforte abbandonato, simbolo del monito materno a non perdersi per colpa di un uomo. A farle da antitesi, almeno in apparenza, è l’ex nuora Allison: una tossicodipendente abituata a lottare contro razzismo e pregiudizio per il suo sangue indiano, una voce in grado di opporsi alla crudeltà di Tom e dell’ex marito Gareth. Suocera e nuora non hanno mai avuto un rapporto stretto, eppure la presenza di Allison ristagna nella memoria di Zelda, perché incarna le direzioni non intraprese, le scelte rifiutate pur di tenere insieme la famiglia. A plasmare la scena, la vita di provincia fatta di consuetudini, pettegolezzi, ma anche inediti momenti di gioia.
La diegesi si muove tra il presente e gli anni del matrimonio di Zelda e Tom. La costante è l’infelicità di Zelda: prima, a causa di uno sposo intenzionato a possederla quasi fosse un trofeo da esporre e dominare; dopo, nel tracciare un bilancio della sua giovinezza, nel vedere il tempo rimasto sgretolarsi in un’apatia densa (“E ora eccola qui. Si sente tradita da tutti, e soprattutto da se stessa”). Zelda non riesce a proteggere come vorrebbe la nipote Grace dall’egoismo del figlio Gareth, né a riprendere in mano le redini del suo futuro. L’arrivo di un puma in città, annunciatole da Allison al telefono, mette in moto pensieri ed eventi decisivi per Zelda, forse l’unico modo per rinunciare ai panni della vittima e recuperare quelli di donna.
Sullo sfondo, le tante forme della violenza maschile: quella sottile e sempre più pervasiva di Tom, quella aggressiva di Gareth, riflesso di una quotidianità insoddisfacente e sregolata, quella subita dalle donne nel rifugio contro la violenza domestica, e infine quella nei confronti delle ragazzine uccise negli anni Settanta, un caso di cronaca nera impresso nella coscienza collettiva. Zelda la conosce bene, l’ha portata come una seconda pelle tra le mura domestiche, si è lasciata corrodere dalla frustrazione di essere in una gabbia, in cui per sopravvivere ha assunto su di sé aspettative e ruoli definiti: “La consapevolezza di quanto fossero deboli gli uomini della sua vita la colpiva dal nulla, con una precisione acuminata”.
Salvini racconta la storia di una riappropriazione del corpo e dell’anima con una scrittura intima, abile nel restituire paura, solitudine, dipendenza. Ci dimostra che perdonarsi e affrontare la fragilità del nostro essere umani può essere un entusiasmante e necessario punto di ripartenza.