Nadia Terranova/ Esorcizzare gli spettri del passato

Nadia Terranova, Addio fantasmi, Einaudi, pp. 200, euro 14,45 stampa, euro 9,99 ebook

I ricordi non esistono, esistono solo le ossessioni. Lo afferma Ida protagonista di Addio Fantasmi, il secondo libro di Nadia Terranova appena uscito in libreria. Ida è un perfetto alter ego della scrittrice; assume questo nome perché vuole rievocare alla memoria del lettore il personaggio de La storia di Elsa Morante. La Ida di Morante è una donna forte che attraversa la città in guerra (e la vita) come fosse una battaglia; è anche un po’ folle. Ida, insomma, non è solo un nome: è quasi un aggettivo, una corazza, un nuovo corpo che Terranova indossa per iniziare un viaggio drammatico e violento, noto nei suoi contorni principali ma sconosciuto nelle sue conseguenze e nei suoi sviluppi.

Accanto a lei vi sono due figure, anch’esse fortemente simboliche e dotate di un valore letterario: la prima è quella del padre scomparso che prende il nome di Sebastiano, ferito a morte dalle tante frecce che gli perforarono il corpo (chi ha letto il primo libro sa quali sono le frecce a cui si allude); il secondo è Pietro, marito di Ida che la narratrice ci presenta fin dalle primissime righe. Ida ne loda la disponibilità, ma gli rimprovera di non interessarsi abbastanza ai suoi incubi. Al racconto dei suoi incubi. Dal punto di vista sessuale è un interlocutore insoddisfacente, anche se Ida ammette a se stessa che queste difficoltà possono dipendere anche dalle sue ossessioni e dalle sue nevrosi. Ecco allora che nel prologo emerge una richiesta di ascolto rivolta a Pietro con tale forza che quasi immediatamente diventa il grido di dolore e di aiuto che l’autrice e/o la protagonista rivolgono al suo lettore prima di iniziare il terribile viaggio.

D’altra parte il tema della forte relazione tra autore e lettore è uno dei temi più importanti della riflessione letteraria di Italo Calvino, che la Terranova conosce bene; da Calvino attinge molto in occasione di quest’ultimo libro che, come nel caso de Gli anni al contrario (Einaudi, 2016), è caratterizzato da uno stile pulitissimo, asciutto, che lascia parlare solo i fatti fino a suscitare la commozione di chi osserva e legge.

Ma nella differenza tra i due romanzi c’è uno dei pregi di maggior rilievo nello stile letterario di Nadia Terranova, che nel primo libro si pone con lucidità e distacco, quasi con freddezza, quando racconta la storia di un uomo , suo padre, vittima anche di se stesso e delle sue ingenuità. La narrazione si affida alla forza della storia in sé, che effettivamente tiene inchiodato il lettore a riflettere costernato sul cadavere di un guerriero smarrito e imprudente.

In quest’ultimo libro invece la materia è incandescente di per sé, non la si può imprigionare in una fredda detenzione. Va affrontata in tutta la sua forza dolorosa e in tutta la sua violenza. Ne Gli anni al contrario lo sguardo (della bambina) è rivolto verso il padre e verso il mondo circostante; ma in questo libro la sfida è quella d rivolgere lo sguardo verso di sé. E, come un guanto, lo stile letterario aderisce agli eventi emotivi tra simboli, letteratura, incubi e sogni.

Ad accompagnare lettore e protagonista in questo viaggio c’è una sorta di convitato di pietra, senza nome, completamente anestetizzato e non più in grado di nuocere, la madre di Ida. È proprio la madre che invita Ida a lasciare momentaneamente la città di Roma, dove vive da lungo tempo, per tornare a Messina ad aiutarla a sistemare la casa di famiglia in prospettiva di una vendita, e a liberarla delle ultime cose rimaste.

Fin dalle prime pagine, l’impatto di Ida con la casa è particolarmente cupo. Si sente inchiodata all’oscurità dalle bambole della sua infanzia; ogni volta che si accenna a un minimo di relazione con la madre, ne rileva la cupa soddisfazione. Sofferma lo sguardo sulle rondini e considera che si nidifica solo dove è sporco. Questa negatività, questo rifiuto, questa ostilità si spiegano meglio quando si incontra la casa, elemento attivo nella narrazione, personaggio tra i personaggi. Tra molti problemi, la casa in questione presenta due elementi negativi dal carattere fortemente simbolico: un tetto, malmesso anche nel passato e il sistema di riscaldamento dei termosifoni che ormai è da buttare. Senza troppi giri di parole, senza bisogno di aneddoti e di ulteriore narrazione, risulta evidente cosa è mancato a Ida bambina, non solo il padre, scomparso quando lei aveva tredici anni ma la protezione e la cura di una famiglia – il tetto – e il calore umano degli adulti attorno a lei – i termosifoni.

Allora Ida inizia la sua battaglia facendo i conti direttamente con il mostro dell’assenza, vero protagonista di gran parte del libro perché ha preso possesso di ogni oggetto che ancora si trova nella casa. Una battaglia fisica a volte, che ogni tanto diventa anche battaglia contro il mondo, tra sentimenti negativi come il rancore e l’umana sofferenza della ricerca di una soluzione. Ogni tanto il racconto viene interrotto opportunamente da un sogno o da un incubo, segnali di una dimensione interiore che è impegnata dolorosamente a elaborare le esperienze vissute. Ogni tanto una telefonata o un messaggio a Pietro, amato ma tenuto a distanza. Quasi solo a sincerarsi che esista ancora, perché anche il mondo esterno è importante.

Durante il cammino nel proprio inconscio, nel suo personale dolore, Ida incontra ostacoli e nemici. Ma riesce a far fuori tutto e tutti. La madre le chiede come mai non abbia avuto figli e lei fornisce una risposta che solo in parte è indirizzata a sua madre, perché essenzialmente è una risposta a se stessa. Una risposta che parla del suo corpo, del futuro, del suo pensiero sul mondo. Poi interviene lo stesso Sebastiano: pretende che la figlia scriva il suo necrologio e solo allora si placa. Infine gli oggetti della vita quotidiana, che la soverchiano: vestiti, giocattoli e libri di cui riesce a disfarsi senza versare neanche una lacrima di nostalgia.

Spietata, Ida la guerriera riesce infine a vedere la conclusione del suo viaggio. Ora ha quasi tutto sotto controllo. I nemici sono annientati. Molti fantasmi fuggiti. Si concede un momento di malinconica dolcezza. Poi si lancia nell’ultimo gesto simbolico del racconto, che il recensore si astiene dal descrivere; piccolo gesto dagli echi profondissimi – addirittura abissali.

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