Nella lista dei migliori libri del 2025 stilata da “The New Yorker”, quest’anno troviamo anche una giovanissima insegnante di inglese, Aisling Rawle, nata e residente in Irlanda, con il suo brillante romanzo d’esordio La vita facile, edito da edizioni e/o nella traduzione di Edoardo Andreoni. Rawle intreccia alcuni tra i più grandi modelli di intrattenimento televisivo a livello globale, partendo da Temptation Island e il Grande Fratello, aggiungendo un tocco di speculazione narrativa, come nel romanzo Il signore delle mosche, e di competizione feroce in un mondo dove non c’è più nulla da perdere, come in Hunger Games. Il risultato è una brutale analisi del mondo materialista in cui viviamo oggi, tra un consumismo distruttivo, una crisi climatica in rapido sviluppo, un capitalismo drenante e una brutale competitività. L’autrice, con la sua scrittura fluida e decisa, analizza alcune problematiche socioeconomiche in rapido sviluppo della nostra epoca trasformandole nel modo più fruibile, e quindi più comprensibile, possibile: in un reality show.
Non abbiamo molte informazioni sul mondo fuori dal compound, il luogo dove si svolge il programma a cui partecipano una ventina di ragazzi e ragazze. Sappiamo che c’è una guerra in corso in cui sta combattendo il padre della narratrice, Lily, anche se non ne conosciamo le dimensioni né la portata. Il compound è situato nel deserto e in lontananza grandi incendi circondano questa finta oasi creata per intrattenere, con lo scopo ufficiale di trovare l’amore. Fuori dal compound le persone camminano sotto un cielo “grigio e deprimente” usando delle mascherine, soprattutto nelle grandi città, in un clima bollente. Lily lavora nel reparto trucco di un grande negozio e conduce la vita monotona, quasi robotica, che il capitalismo impone: “tornare a casa e avere l’ansia di dover ricominciare da capo il giorno seguente, e comunque non avere mai abbastanza soldi. E poi che senso aveva […] quando saremmo probabilmente tutti morti nel giro di vent’anni?”. Nei pensieri di Lily riecheggiano le convinzioni condivise da tutti gli inquilini del compound: cercare di rimanere in quell’oasi fittizia il più a lungo possibile, perché fuori la strada è stata smarrita.
Non sembra così male vivere nel compound: un grande casa, un giardino immenso, una piscina favolosa, un campo da tennis, un labirinto, un orto e ventiquattro ore al giorno per fare tutto ciò che si vuole. Nel compound, sconnesso dal mondo esterno, tutto ciò di cui si ha bisogno – cibo, acqua, vestiti, oggetti – viene guadagnato tramite delle prove. Le prove collettive sono molteplici, di natura fisica oppure più colloquiali, e prevedono la partecipazione dell’intero gruppo. Solitamente il completamento di una prova prevede l’ottenimento di qualcosa a uso, appunto, collettivo; oppure l’eliminazione di un inquilino, con il conseguente avanzamento verso la finale, un altro dei punti focali del programma. Gli ultimi cinque membri rimanenti possono già considerarsi famosi nel mondo esterno, anche se il vero vincitore è solo l’ultimo inquilino. Se dapprima le prove sono leggere nella loro semplicità, man mano che il numero di partecipanti diminuisce, le prove diventano più pressanti: se la posta in gioco è l’eliminazione degli inquilini, la competitività diventa feroce, brutale, quasi animale, fino a tingersi di un rosso vivo. È a questo punto che emerge fino a quanto si è disposti a spingersi per non tornare alle proprie vite di prima e rischiare di perdere quell’umanità, quella compassione, che costituisce le fondamenta di chi siamo. La fine può giustificare i mezzi? La vita facile risponde chiaramente di no.
Assieme alle prove collettive ciascun inquilino ha uno schermo personale dove appaiono delle prove individuali, sempre e solo associate a degli oggetti da ottenere: più un inquilino prosegue all’interno del programma, più gli oggetti diventano sfarzosi e i brand mittenti più lussuosi. Chi riceve un oggetto deve sempre ringraziare il brand che lo invia, con la segreta promessa di poterci collaborare una volta fuori dal compound. Rawle integra magistralmente il materialismo e il consumismo che governano la nostra società in un programma televisivo che deve obnubilare le menti di chi guarda. Un desiderio sfrenato di avere sempre più cose, spesso inutili, che conduce ad un’insoddisfazione precoce di ciò che si è ottenuto, portando a cercare altro con cui distrarci, entrando in un loop infinito di accumulazione compulsiva di cose, sempre più cose, sempre più oggetti. I partecipanti, Lily inclusa, affrontano una prova individuale dopo l’altra, godendosi l’oggetto ottenuto giusto il tempo di desiderarne un altro, fino a quando l’accesso facile ed esclusivo ad oggetti che non ci si sarebbe potuto permettere nel mondo reale prende il sopravvento e diventa l’unico, vero, motivo di permanenza al compound. Assieme alla ferocia delle prove collettive, dove vince chi prevale sugli altri, il materialismo delle prove individuali descrive un mondo che, seppur in un contesto narrativo, scivola fuori dalla pagina per incontrare un fratello nel mondo reale.


