Akira Higashiyama / Il giovane Qiu Sheng

Akira Higashiyama, Ryu. Vita, amore, morte all’ombra del Drago, tr. di Daniela Guarino, 21lettere, pp. 490, euro 19,90 stampa, euro 9,99 epub

Se l’uomo, come sostiene il filosofo e antropologo René Girard, non può rinunciare completamente alla violenza, allora “da questo mondo non scomparirà mai la guerra, né si spezzerà la catena delle vendette”. Pensieri e riflessioni che solcano l’anima di Ye Qiu Sheng, protagonista di Ryu di Akira Higashiyama, un romanzo di formazione ma anche un’opera complessa che cerca di districarsi negli abissi della storia. Lo scenario è quello di Taiwan, oggi tornata alla ribalta delle cronache per l’acuirsi delle tensioni con la Cina, un territorio popolato dai cosiddetti waishengren, ovvero gli immigrati giunti dal continente a partire dal 1945, e i benshengren, nativi taiwanesi di etnia han che hanno vissuto la colonizzazione giapponese. Il dominio nipponico, iniziato nel 1895 e concluso solo con la fine del Secondo conflitto mondiale, segna un’intera generazione, in seguito disorientata dall’improvviso mutamento degli scenari. L’isola, da questo punto di vista, è un microcosmo percorso da tensioni etniche e problematiche identitarie, un terreno di scontro, un luogo dove dominano le armi e la violenza.

In tale ambito si muove il protagonista, espulso dalla scuola, refrattario alla disciplina militare, il cui coinvolgimento in sparatorie e rivalità fra bande locali ne simboleggia il carattere ondivago, esposto ai capricci della storia. La sua alterità è segnata da un dato linguistico: non parla bene come gli altri studenti il taiwanese, ma la sua lingua madre è il cinese standard. Qiu Sheng vive freneticamente gli anni dell’adolescenza, tra i rimproveri e le botte dei genitori, che non condividono le sue scelte, e le esperienze estreme alle quali viene sottoposto.

Motore del romanzo è il ritrovamento del corpo del nonno, assassinato da mani misteriose all’interno del suo negozio. Un uomo con un passato oscuro, responsabile di massacri e uccisioni, che amava dilettare il nipote con i propri racconti guerreschi. “Il partito Comunista e quello Nazionalista facevano entrambi le stesse cose. Ogni volta che mettevano piede in un villaggio altrui, rubavano soldi e cibo. … Così è la guerra”, parole che denunciano l’insensatezza di ogni conflitto. La pistola Mauser costudita gelosamente materializza quella brutalità che, una volta incontrata, non si può più sfuggire. Il nonno vanta la protezione della Dea volpe, sorta di creatura folklorica e fiabesca che sembra estendere il proprio influsso benefico anche sul nipote. Dal punto di vista stilistico, la narrazione si avvale di un registro a metà strada fra il magico e il reale, senza rinunciare a notazioni colme di ironia. Ne risulta un quadro variegato, dagli accesi cromatismi orientali, non esente da influssi filmici, evidenti nel ritmo sostenuto di alcune scene e nella minaccia onnipresente della violenza. Mettendosi ossessivamente sulle tracce degli assassini di suo nonno, Qiu Sheng è alla ricerca di sé stesso, della propria incerta identità, delle origini dell’inquietudine che lo tormenta, perché “i nostri cuori restano sempre impigliati in qualcosa del passato”, con imprevedibili conseguenze.