Il volume Oltre l’inetto curato da Angela Bianca Saponari e Federico Zecca raccoglie una serie di contributi che, da differenti prospettive di ricerca, indagano la rappresentazione della mascolinità nel cinema italiano concependola come un costrutto complesso, poliedrico e molteplice.
Un ruolo essenziale negli studi sulle profonde contraddizioni che informano la rappresentazione della mascolinità nel cinema italiano a partire dal secondo dopoguerra spetta al libro Beyond the Latin Lover: Marcello Mastroianni, Masculinity, and Italian Cinema (2004) di Jacqueline Reich in cui, riprendendo gli star studies contemporanei, la studiosa ha affrontato l’apparente “paradosso-Mastroianni”: nonostante l’attore sia stato visto a livello pubblico come la quintessenza dell’uomo italiano, i suoi personaggi cinematografici hanno espresso una visione conflittuale della mascolinità dominante in Italia.
In Mastroianni sembrerebbero convivere due distinte e opposte figure maschili correlate ad altrettante specifiche configurazioni intertestuali: la figura del latin lover, propria soprattutto della public persona costruita dalle cronache mondane, e la figura del “vulnerabile e fragile inetto” che impersona nella sua picture personality sviluppata dalle pellicole che ha interpretato. Si tratta però, secondo Reich, di una relazione tra le due figure decisamente sbilanciata visto che l’inetto filmico sembrerebbe decostruire deliberatamente lo statuto ipermascolino del latin lover pubblico.
«Reich intende dimostrare quanto la picture personality dell’attore sia compenetrata dal (e al) suo contesto storico di riferimento, mettendone in luce per così dire il valore “documentale”. Da un lato, i personaggi di Mastroianni manifestano infatti una spiccata esemplarità cinematografica, ponendosi come i più (o tra i più) emblematici esponenti della fitta schiera di uomini deboli e passivi che dominano la messa in scena della mascolinità nel cinema italiano del secondo dopoguerra, e che vengono incarnati anche da molti altri attori dell’epoca (come Ugo Tognazzi o Vittorio Gassman). Dall’altro lato, e contestualmente, questi personaggi esprimono una forte sintomaticità culturale, riflettendo – attraverso le forme e i mezzi del racconto per immagini – la profonda crisi in cui si dibatte l’identità maschile italiana dopo il crollo del fascismo e la nascita della Repubblica. Eleggere la filmografia di Mastroianni a oggetto di studio significa dunque per Reich aprire una “finestra” sulle modalità con cui il cinema italiano rappresenta “gli importanti cambiamenti nei ruoli di genere [in primis maschili] che interessano l’Italia in questo periodo instabile e turbolento”» (pp. 14-15).
La contrapposizione del topos dell’inetto agli stereotipi del maschio italiano “perfetto” o “primitivo” proposta da Reich ha influenzato profondamente il dibattito dgli italian film studies su mascolinità e cinema italiano, tanto da generare la convinzione che la figura dell’inetto, dopo la sua emersione nel secondo dopoguerra, sia una componente metastorica del cinema nazionale, capace di attualizzare sugli schermi le differenti sfide all’identità maschile che si sono nel tempo presentate.
Reich ha avuto il merito di proporre un modello di analisi fondato su una categoria forte, quella dell’inetto, rimodulabile sul piano euristico in differenti contesti storici e teorici. Il volume Oltre l’inetto, come suggerisce il titolo, riprende criticamente le tesi della studiosa ampliandone l’orizzonte di ricerca e adottando un apparato teorico-metodologico capace di dinamizzare l’approccio allo studio della mascolinità, facendo ricorso agli strumenti dei gender e men’s studies per mettere in luce la pluralità di rappresentazioni maschili che informano la storia del cinema italiano. Insomma, Beyond the Latin Lover, certo, ma anche Oltre l’inetto.
Gli autori e le autrici dei saggi raccolti nel corposo volume curato da Angela Bianca Saponari e Federico Zecca, intendono, dunque, andare oltre il binarismo “maschio ideale/maschio in crisi” concentrandosi sulla costruzione di identità, corpi e culture maschili diversificati e molteplici.
Nella prima parte del libro vengono formalizzati nuovi paradigmi storici, teorici e politici per lo studio della mascolinità nel cinema italiano, focalizzandosi anche su alcuni fenomeni, generi, figure e temi sin qua poco esplorati: Sandro Bellassai si occupa dell’insistenza con cui a livello mediatico viene fatto riferimento alla “crisi del maschio”; Giacomo Manzoli tratta della mascolinità nella commedia italiana e, soprattutto, del concetto di habitus, così come si è trasformato nel corso del tempo; Sergio Rigoletto invita a interrogarsi circa il posizionamento maschile nei confronti della non-neutralità delle immagini, legate come sono ai rapporti di potere soprattutto in termini di genere; Enrico Biasin propone un’analisi dell’abbigliamento maschile nel cinema italiano degli anni Trenta considerandolo nella sua funzione di astrazione della sessualità maschile; Mauro Giori, dopo aver ricostruito come nel dopoguerra la concezione della mascolinità della destra radicale italiana si esaurisca nell’opposizione tra idealtipo (invariabile) e controtipi (mutevoli nel tempo), invita ad abbandonare quelle letture che ancora si ostinano a ragionare intorno a un tipo di mascolinità egemonica senza riconoscere alle altre il valore di modelli alternativi; Samuel Antichi analizza i paradigmi di mascolinità che emergono nei combat film italiani del secondo dopoguerra mettendone in luce la riconcettualizzaizone e il superamento tanto delle figure dell’inetto e dell’uomo in crisi quanto il modello di mascolinità fascista; Christian Uva passa in rassegna la mascolinità balneare nel cinema italiano; Nicoletta Marini-Maio si occupa delle riconfigurazioni della mascolinità nei “decamerotici”; Dalila Missero evidenzia quanto la retorica della “crisi della mascolinità” si leghi alle forme di violenza e odio verso la donna con cui si materializza; Mirko Lino approfondisce la sessualità maschile nello zombie movie italiano.
Nella seconda parte del libro vengono invece reinterpretati l’immagine pubblica e lo stile performativo di alcuni attori e divi, attraverso una prospettiva volta a problematizzare lo “schema della crisi”, al fine di comprendere quali e quante forme di mascolinità tali attori e divi effettivamente elaborino e attualizzino: Catherine O’Rawe si occupa di Raf Vallone come esempio della mascolinità italiana nel secondo dopoguerra; Angela Bianca Saponari guarda alla filmografia di Pietro Germi nei termini di un’autorappresentazione di una mascolinità di classe; Gabriele Landrini tratta della complessità (dentro e fuori lo schermo) di Maurizio Arena; Claudio Bisoni affronta la mascolinità trasformiste di Ugo Tognazzi negli anni del boom; Francesca Cantore si focalizza su Alberto Sordi e sulla rappresentazione della mascolinità tra gli anni Cinquanta e Sessanta; Sara Martin passa in rassegna la parabola del signor Max come ricerca identitaria attraverso l’abito; Gabriele Rigola si concentra sulle configurazioni plurali della mascolinità in Renato Pozzetto; Alberto Scandola approfondisce i significati simbolici attribuiti alle identità maschili (e femminili) dell’antidivo Filippo Timi; Meris Nicoletto guarda alla mascolinità problematica di Valerio Mastandrea; Fabien Landron si interessa di Alessandro Borghi come nuovo divo tra cinema, televisione e social.