Lanciata da un pianeta Terra di cui non si sa più nulla, la cui civiltà è con tutta probabilità collassata del tutto, una nave solca lo spazio. Al suo interno c’è tutto quello che serve per far fiorire i primi semi di una nuova società. Ci sono le incubatrici che partoriranno i primi esseri umani, ci sono androidi madre per crescerli e androidi maestro per istruirli, ci sono le attrezzature necessarie per esplorare un pianeta e colonizzarlo, compresi laboratori adatti a far progredire la scienza. Il pianeta in questione non è affatto ipotetico, ha un nome: Andymon. Beth è parte della prima nidiata di esseri umani partoriti dalle incubatrici, coloro che dovranno crescere e, prima di tutti gli altri, prendere in mano i comandi della nave e il destino della nuova civiltà.
Pubblicato nel 1982, Andymon è considerato il libro di fantascienza più popolare della DDR, testimonianza del fatto che la Germania dell’Est è stata un laboratorio politico e culturale come minimo interessante. Sì, perché questo lavoro della coppia Steinmüller non è solamente popolare, ma è anche di notevole qualità. La coppia di autori si prende il tempo per costruire un racconto di formazione che è anche sperimentazione, in cui pedagogia e progetto politico si fondono. Il focus della crescita non è infatti la singola persona e in tal senso viene evitata l’ipertrofia della dimensione interiore che schiaccia qualsiasi fattore d’interesse nel romanzo borghese, qui a formarsi è sì la persona ma in quanto unità fondamentale della società e all’evoluzione della persona, fisico, psichica e culturale, corrisponde l’evoluzione di una società che a mano a mano si fa più complessa e conflittuale. I confronti tra visioni differenti, mentre i protagonisti diventano adulti, si moltiplicano al moltiplicarsi delle aggregazioni di diversa natura. Gli esseri umani tendono a dividersi per gruppi diversi in base ad affinità diverse, per nidiata o per visione del destino della civiltà umana, e il futuro della società passa proprio per il confronto e la partecipazione in una dimensione che ricorda per certi aspetti quella della polis.
La domanda rivolta al futuro insieme rigorosa e profonda, scientifica e tecnologica fanno di Andymon un cavallo di razza nei romanzi di fantascienza, un lungo racconto immaginifico in grado di andare oltre, già in anticipo sulle distopie che in questo momento, a ragion veduta, occupano l’orizzonte della speculative fiction. Gli autori qui guardano oltre, verso quella che si può definire come un’utopia caratterizzata da un forte senso della realtà, non un futuro facile zuccheroso ma una società basata su presupposti politici diversi da quella riedizione della legge del più forte che è, e che la speculative fiction aveva previsto sarebbe diventato, il tardo capitalismo turbo liberista. I protagonisti di Andymon sono costantemente in conflitto ma il fine collettivo non viene mai perso di vista. Se si scontrano lo fanno per il bene comune e la visione del futuro che lottano per far prevalere è pensata per andare a vantaggio di tutti.
Il carattere di esperimento mentale del romanzo si esprime nella maniera più alta nel tentativo di delineare una società in cui il passato è sì un oggetto culturale e viene sì studiato in tutta la sua utilità ma non diventa un limite, i gruppi di umani partoriti dalle incubatrici non sono determinati dalla cultura che studiano, ne sono liberi e la sanno usare a proprio vantaggio, per pensare in maniera più profonda ma al tempo stesso meno stretta da quei laccioli identitari che frenano il progresso della nostra società. Andymon è un romanzo di fantascienza grande, compiuto, in grado di sollevare domande fondamentali e lavorarci con una lucidità rara, utilizzando l’immaginazione per quella che è la sua funzione, interrogare il possibile per analizzare il futuribile.