Le ragazze intraprendono viaggi su terre che sante non sono, ma a loro modo s’intendono sublimi, di forme e incontri aperti, veloci nel partire e meno nell’arrivare. Le ragazze, nel libro di Cristina Rivera Garza, sono la quintessenza di corpi agili nel camminare, nello spostarsi insieme per le vie di terra che il mondo offre. I punti cardinali si fondono nelle bellezze ruvide di Belfast, Cancún, del Midwest e negli angoli multicolori del Messico, attraversate dalle gambe veloci delle ragazze. Loro cercano il significato della pioggia, della poesia, dei racconti, e dell’aria pronta ad accoglierle quando si sentono pronte a spiccare il volo.
C’è una familiarità costante nelle pagine di Terrestre, che appare nelle confidenze non lasciate a riposo da queste singolarità femminili mai paghe di un posto, né accontentandosi di amarlo per poi lasciarlo. I luoghi sono lì, alla mercé dei loro piedi, degli stupori così esposti, inquieti e richiamanti. Perché la prosa di Rivera Garza accoglie nei sette racconti il lettore come fosse un visionario di fronte al film della vita. La pellicola dell’esistenza va avanti e indietro fregandosene del tempo in favore dello spazio a più dimensioni trascinante in posizioni scomode ma fondamentali. Il viaggio è custodito dall’autrice senza scordarsi del momento critico, dell’analisi delle zone bieche attraversate dalle giovani – perché il suolo trasmette loro le staffilate di coloro che sfidano leggi e buonsenso. Il Messico diventa tutto il mondo, mitologico e avventuroso, portatore di nomadi e cultori del “camminare”. E la scrittura della vincitrice nel 2024 del Premio Pulitzer per L’invincibile estate di Liliana, sconfina continuamente in zone dove le storie hanno bisogno d’essere dissepolte, e in qualche modo rivendicate. Le ragazze corrono a braccetto, sì, ma non smettono di connettersi e svelare i pericoli e le violenze. Sanno come andare incontro a raffiche brutali e rumorose, con il loro slancio possono diventare immuni alla gravità.
Siamo alle prese con una non fiction particolare – definita “speculativa” da Rivera Garza – perché creatrice di nuovi mondi i cui confini sono amici della memoria, la memoria che spesso vagabonda in amicizia con la finzione. Meditazione erratica, così distinta da Manganelli quando pensa di andare a spasso con chi invecchia bene viaggiando. Ma in Terrestre c’è di più, c’è il mondo femminile in pieno sviluppo e piena libertà, tanto da smontare profondamente le regole del patriarcato imperante a ogni latitudine e longitudine. I passi sulla terra delle ragazze sono il senso di umanità più concreto attraverso la spinta conoscitiva della lingua. Il mondo plurale è nel pensiero messicano della scrittrice nata nello stato di Tamaulipas, vicino alla frontiera con gli Stati Uniti, là dove i migranti sono il simbolo stesso della nomadicità.