Dalla Science Fiction al melting pot dell’immaginario

La fantascienza aiuta a immaginare nuovi mondi e a cogliere cambiamenti epocali ibridandosi con materiali e codici diversi. Da quest'idea nasce 451, la nuova creatura di Edizioni BD che mischia Alan Moore con le visioni di Nick Harkaway e Al Ewing, l'antologia SF di Sheila Williams che arriva dal MIT con il saggio pop del game designer Hideo Kojima (MGS). Ne parliamo con il suo direttore editoriale, Giorgio Gianotto.

Nel corso degli ultimi anni al pubblico dei lettori di science fiction italiani sono state offerte molte novità, sia dal punto di vista degli autori proposti che da quello delle scelte editoriali. Le acque piuttosto stagnanti in cui questo mondo era bloccato, congelato da una sorta di bonaccia culturale che perdurava da lungo tempo, riducendo i settori delle librerie a gallerie di classici, mentre la quasi totalità delle novità era accessibile per pochi mesi, se non settimane, prima di affondare nell’oblio del fuori catalogo, sono state smosse dall’entrata in scena del gigante Mondadori. Ovviamente l’editore di Segrate è da sempre presente nel settore, ma è rilevante per la modalità nuova e maggiormente adatta ai tempi con cui si è mosso. Volumi che rimangono presenti nel catalogo, serie finalmente completate, e una costante attenzione alle novità e alle tendenze recenti, senza per questo trascurare i classici, ristampati spesso con nuove traduzioni e in edizioni di pregio (vedi il caso di Dick). Un ruolo considerevole in questo processo di rinnovamento, tuttora ampiamente in corso di svolgimento, è stato anche quello interpretato da realtà certamente più piccole ma in ogni caso degne del massimo rispetto, come Zona 42 di Giorgio Raffaelli, Future Fiction di Francesco Verso e Delos di Silvio Sosio, anche se quest’ultimo editore è una realtà che da tempo è viva e lega il suo nome a scelte e collaborazioni di qualità, riuscendo comunque a mantenere una sua autonomia e indipendenza dalle indicazioni editoriali provenienti dalle grandi major del settore.

Negli ultimi due anni in particolare, grazie a una politica molto battagliera e legata soprattutto a marchi come Oscar Vault e Oscar Draghi, ma anche al lavoro di personalità come Franco Forte, responsabile, tra le altre cose, di Urania e delle pubblicazioni ad essa collegate, Mondadori ha mostrato come un determinato target che finora pareva essere relegato al mondo gamer, oppure affine al fumetto e al cinema, poteva essere collegato anche all’orizzonte dell’editoria, e quindi essere persuaso anche ad acquistare libri. Di conseguenza, applicando la stessa filosofia, altri soggetti hanno valutato di incrementare il loro impegno nel mondo del fantastico, sia tra i piccoli che tra i medi editori.

Tra questi vi è Edizioni BD, attore storico del mondo del fumetto e del graphic novel, che ha schierato una squadra di tutto rispetto, creato un marchio e dato vita a una nuova collana. Nasce così 451, sotto la guida di Giorgio Gianotto, figura con una lunga esperienza in editoria e particolarmente nella saggistica. Questo aspetto in particolare si sta rivelando una opzione determinante per le scelte editoriali. La collana si colloca infatti in una posizione intermedia, non potendo ovviamente insidiare il predominio di Mondadori, grazie alle aperture a mondi artistici finora collegati solo occasionalmente con la SF, e alla mentalità non rinchiusa nelle maglie del genere ed aperta a un melting pot culturale che si è rivelato particolarmente fertile.

I titoli d’apertura della collana hanno chiarito quello sguardo a tutto tondo che la caratterizza. Il primo lotto di tre titoli è stato inaugurato da una nuova traduzione de La voce del Fuoco, romanzo di Alan Moore, per proseguire poi con Relazioni, una antologia curata da Sheila Williams e contenente racconti di alcuni degli autori più interessanti della SF contemporanea, e concludersi infine con L’uomo immaginario, un romanzo di Al Ewing, autore proveniente dal mondo del fumetto, e noto per la sua versione di Hulk. A questi titoli si sono rapidamente aggiunti Il mondo dopo la fine del mondo, nuova edizione del romanzo di Nick Harkaway, figlio d’arte, poiché suo padre è John Le Carrè, e il volume di saggi Il Gene del talento, scritti da Hideo Kojima, famoso autore di video games, in cui racconta l’immaginario previsto nel suo lavoro. Giorgio Gianotto ha accettato gentilmente di rispondere ad alcune domande, così da poter approfondire alcuni aspetti di questo orizzonte sopra descritto e in cui è nata 451.

PULP: Prima di tutto mi piacerebbe conoscere la tua storia lavorativa, come sei arrivato a questo incarico e in che misura il bagaglio culturale che ti segue influenza le tue scelte editoriali. Il tuo CV ufficiale elenca una serie di collaborazioni: Codice, Baldini&Castoldi, Minimum Fax, Treccani. Vi è continuità e coerenza in questo percorso. Vorrei capire quanto la tua sia una gestione “autoriale” oppure quanto sia il prodotto di uno staff, e di conseguenza, quanto sia rilevante, sempre in termini di scelte, appartenere come collana al gruppo BD, piuttosto che essere un editore indipendente.

GG: Ho avuto la fortuna di poter associare il mio lavoro alle cose che mi piacciono e ai miei interessi culturali. Prima di Codice c’è stata molta gavetta, presso una serie di marchi piccoli e grandi che mi ha dato la possibilità, in tempi in cui le redazioni erano ancora luoghi piuttosto chiusi, di conoscere diversi modi di lavorare e di guardare al prodotto editoriale con gli occhi ben aperti e senza abitudini. Codice è stata la straordinaria possibilità di portare nel mio lavoro due passioni, la scienza e le nuove tecnologie, che allora stavano entrando nelle nostre vite con l’iniziale slancio di generoso entusiasmo, e in una chiave che mi ha sempre accompagnato: la cultura nel suo aspetto divulgativo, rivolta alle persone e per le persone, e non solo attraverso i libri. Anche in Minimum Fax si respirava la stessa atmosfera, e allargare il catalogo di un editore di quella portata nell’ambito saggistico ha voluto dire, di nuovo, cercare di avvicinare un pubblico che spesso non viene “educato” a certe letture a porzioni di sapere che hanno una valenza civica, e politica, che completa quella dei romanzi. In Treccani sono stato chiamato per la stessa cosa, in fondo: portare un marchio storico in libreria, alle persone. Che è quello che devono, o dovrebbero, fare i libri, parlare con le persone. In questo senso lo staff che di volta in volta ho ritrovato è stato fondamentale: i libri sono relazioni, nascono da relazioni e costruiscono relazioni. BD è interessante perché ha alle sue spalle una serie di relazioni, una cultura, quindi, diverse: con il fumetto, con il mondo autoriale e il pubblico legato all’immagine e a una diversa fruizione di contenuti. È stato interessante far dialogare i due mondi.

PULP: Sempre restando nell’ambito della politica editoriale noto uno sguardo a 360°, slegato da quelle dinamiche di genere che troppo spesso hanno trasformato l’editoria SF in una galassia di piccoli ghetti che litigano tra loro. Credo che l’ingresso del gigante Mondadori con tutto il suo peso negli ultimi due anni non sia stato affatto dannoso, ma abbia contribuito a generare un’onda lunga di interesse sul tema, e che questo sta generando benefici di riflesso per tutti. Leggo la vostra nascita oggi proprio in questo senso: approfittare di una convergenza di fattori che non si verificava da molto. Condividi questa analisi? 

GG: Assolutamente. L’ingresso di Mondadori ha riaperto un mercato, e sono portato a pensare che le considerazioni di base siano state le stesse che hanno portato alla nascita di 451: vedere un segmento di mercato muoversi, e molto (sulle piattaforme televisive, nel gaming e sui social) e quindi intravedere un pubblico che in libreria trovava difficoltà a essere soddisfatto. Viviamo in un paese dominato dal realismo, che all’estero spesso viene ancora identificato come neorealismo, mentre la stessa struttura della società attuale richiede un nuovo slancio, che coaguli attenzioni, saperi e prospettive non più novecentesche ma animate da uno slancio che guardi al futuro, a quello delle giovanissime generazioni e non a quello di chi, già oggi, è – ahimè  – il passato. Un bel passato, a volte, ma da cui partire per allontanarsi, non per ripeterlo all’infinito.

PULP: Scendendo più nel dettaglio della produzione. Prima di tutto mi associo ai complimenti per le scelte grafiche. Un notevole valore aggiunto per dei titoli già ottimi di per sé. La nuova traduzione di Alan Moore fa il paio con la riedizione del romanzo di Nick Harkaway, Al Ewing e Hideo Kojima sono esempi perfetti del melting pot che si crea tra le diverse branche del fantastico (fumetti e games), e la collettanea curata da Sheila Williams è uno splendido approdo alla SF propriamente detta, che vedo proseguirà con autori come Robert Silverberg, Jeff Noon e Fredric Brown. Non credo che si potrebbe chiedere di meglio al primo anno di vita di una collana, ma forse il rischio  è che si cerchi di conquistare una fetta di mercato il più ampia possibile utilizzando al meglio le carte che si hanno nel mazzo, e che solo in un secondo tempo, al netto di una valutazione sui risultati, si proceda a un restyling per una prospettiva a medio termine. È proprio quest’ultima che credo andrebbe definita: se in Italia vi sono gli spazi per una nuova collana di SF di qualità, come fare a pensarne il futuro? 

GG: Ci sono libri straordinari che sono stati dimenticati, e Il mondo dopo la fine del mondo di Harkaway era uno di quelli: siamo molto felici di averlo riportato in libreria nella splendida traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani dell’edizione Mondadori. La grafica è stato uno dei frutti migliori della collaborazione fra la cultura del mondo fumettistico e quello da cui arrivo io. Giovanni Marinovich, grafico di BD, ha fatto un lavoro di impostazione e selezione notevole e siamo riusciti, credo, a incuriosire due mondi. L’ampiezza delle proposte però è tutt’altro che una pesca a strascico: più che usare la dinamite stiamo cercando di seminare un dubbio in varie nicchie o porzioni o ambiti di lettori: possiamo andare oltre le nostre abitudini? Possiamo evitare di ragionare per steccati e dividendoci fra di noi in particelle sempre più piccole, e provare, dico solo provare, ad apprezzare la letteratura, perché quello è, fantastica, onirica e panteistica di un Moore insieme alla fantasia nella costruzione di trame di un grandissimo sceneggiatore come Al Ewing e al pensiero di uno dei più grandi architetti di immaginari contemporanei come Kojima? E metterli insieme, nella nostra libreria, accanto a un Borges, a Naomi Alderman e al suo Ragazze elettriche, alla saggistica di un grande giornalista come Michael Pollan, che può occuparsi di cibo come di psichedelia? Può, tutto ciò, essere semplicemente normale? Il libro di Kojima, al riguardo, è il primo di una serie di saggi che accompagneremo alle selezioni narrative sempre nella stessa ottica: aprire, ma come operazione culturale e  non di mercato. E continueremo a farlo. Non stiamo organizzando un focus group pubblico insomma, ma proponendo una linea culturale, fatta di curiosità. I titolo del primo semestre andranno nella stessa direzione: in questo senso un autore che siamo ben felici di avere nel nostro catalogo è che sono contento di anticipare qui è Alex Garland, regista di Annientamento e di Devs, straordinaria serie sci fi purtroppo mia arrivata in Italia, ma anche ottimo scrittore. Nel 2022 pubblicheremo il suo Coma, uno splendido testo accompagnato da un set di illustrazioni.

PULP: Concludo, dato che gli argomenti sono già numerosi e complessi. In più di un’occasione, nei tuoi interventi hai parlato di “nuova idea di immaginario”. Questi primi due decenni del nuovo millennio hanno prodotto molti autori che lavorano in questa direzione, da Jeff VanderMeer a Thomas Ligotti, da Nora Jemisin a Ann Leckie, da Ci Xin Liu a Kim Stanley Robinson, per non parlare degli autori della generazione precedente (Gibson, Sterling, Moore, Gaiman) che ancora sono figure cruciali per cercare di capire come nasce e muta l’immaginario. Eppure, una gran parte dei lettori di SF contrastano fortemente le tendenze che si sono manifestate più recentemente (e di cui l’antologia Relazioni è un ottimo esempio) difendendo una tradizione classica da space opera o hard SF. Ancora una volta, come già è successo con altri cambiamenti epocali, l’immaginario SF è precursore dei cambiamenti sociali ed etici. Mi pare che 451 sia schierata in questo cambiamento che sta accadendo sotto i nostri occhi. Cosa significa oggi per te (voi) immaginario? Come ne dobbiamo parlare? 

GG: Credo che la contemporaneità dia alla SF una straordinaria occasione: proseguire nel suo ruolo storico di anticipatrice del futuro, ma con la possibilità di giocarsi un ruolo sullo scenario della “letteratura” e non del semplice genere. E soprattutto di continuare in un altro suo ruolo fondamentale, nel suo immaginare nuovi mondi: farlo appartenendo comunque alla letteratura “popolare”. Stiamo cambiando sotto la spinta di piccole oligarchie, che sono le stesse che stanno causando il cambiamento climatico e stanno impoverendo le nostre vite: chi sta dicendo che tutto ciò sarebbe accaduto da decenni? La SF, e ora deve continuare a farlo, intrattenendo ma anche informando. Ed ecco il perché della presenza nel nostro catalogo dei grandi maestri, che servono, dei saggi, che servono, e delle nuove voci, che servono. Relazioni arriva da una collana del MIT: un istituto di ricerca, uno dei luoghi in cui si prepara il nostro futuro che si occupa di immaginario! Per me è una cosa interessantissima. Le radici del progetto 451 sono tante, come vedi. Noi vogliamo proporre un discorso, e speriamo davvero che i lettori lo portino avanti, a tutti i livelli, anche politici.

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Si potrebbe concludere questa intervista con i rituali auguri di buon lavoro e di successo, ma vale la pena soffermarsi ancora un istante sulla centralità dei temi toccati da Gianotto. Creare immaginario significa allontanarsi dal l’ipocrita understatement che vede nel mercato l’unico metro e nel pubblico dei lettori e nel suo gusto l’unica risposta possibile. Creare immaginario significa proporre il nuovo, allargare fratture, indurre riflessioni, riunire gli opposti. Come dice Gianotto: Fare libri è creare relazioni, non poteva essere detto meglio. Collegare mondi apparentemente inconciliabili e mostrare come in queste fusioni trova spazio ciò che prima era visto come impensabile. Per questo motivo la science fiction non anglofona è così importante e va letta e diffusa, per questo è necessario collegare saggi e narrativa, giornalismo e fumetto, videogames e romanzi, è per questo che le posizioni dell’afrofuturismo su BLM e la ricerca sui generi compiuta da scrittori come Ann Leckie e Naomi Alderman sono importanti, è per questo che il discorso sul melting pot culturale va coltivato a tutti i livelli, anche, e soprattutto, politici.

La creazione dell’immaginario è il perno intorno a cui ruota ogni forma di mutazione sociale, e noi che ci occupiamo di questo, ognuno con la sua specificità, abbiamo delle responsabilità. Non ci si illuda di potersi trincerare dietro la formula dell’entertainment, perché l’apparente leggerezza di un testo a prima vista non denso è spesso pregna di mitologia, e quindi cruciale per il formarsi di una visione del futuro, o meglio, dei molti futuri possibili. Proprio in questa prospettiva è giusto ora dare il benvenuto a 451 nella biblioteca della science fiction italiana, augurandoci di vederla per molti anni a venire.