Eimear McBride / Vite in albergo

Eimear McBride, Strange Hotel, tr. di Tiziana Lo Porto, La nave di Teseo, pp. 135, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Torna in libreria con Strange Hotel l’autrice irlandese Eimear McBride – secondo libro edito da La nave di Teseo – conosciuta al pubblico italiano non solo per merito dei numerosi premi ottenuti, ma anche per il suo libro di esordio, Una ragazza lasciata a metà, divenuto caso letterario e romanzo portato alla luce dopo quasi dieci anni di rifiuti editoriali. E di per sé, già questo, dovrebbe indurci in generale a una giustificata riflessione: non tutti i libri che leggiamo “arrivano” con semplicità o immediatezza, non tutti i romanzi hanno una sola chiave di lettura, non tutti i testi che vengono proposti sono aderenti al loro tempo, alcuni sono anticipatori, talvolta posticipatori dei gusti dei lettori o delle esigenze del mercato editoriale. Ci sono case editrici però che riescono a cogliere non solo quello che può essere giusto, ma perseguono nel divulgare il “bello”; che sia un libro contemporaneo che raccolga l’eredità della letteratura classica, o come nel caso di McBride, un romanzo con una prosa spiccatamente sperimentale.

Sullo sfondo di anonime stanze d’albergo, tra le hall e gli specchi rivelatori degli ascensori, gli sgabelli e le sedute dei bar, troviamo una donna costantemente immersa nel flusso incessante dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, un’esistenza mossa dal vento come una girandola che ricorda, nella sua intima non sempre sicura solitudine, parti della sua vita: «Mentre le sue dita avvolgono il telecomando. Lo accende. Il televisore. Su un canale luminoso. E adesso dove? All’estero, stasera la televisione francese. Il buio. E camere d’albergo solitarie. Sanno tutti cosa vuol dire».

Si alternano un “io narrante” espresso in terza persona, forma poco usata e quindi scelta dell’autrice ed estremamente interessante, a un “io narrato”, sviluppato sia in terza che in prima persona, per rendere ancora più coinvolgente le digressioni della protagonista. Il lettore è travolto con cruda spietatezza tra i diversi stadi e passaggi del crescendo cerebrale e affettivo della donna, ognuno raccontato in una città e nella sua relativa camera d’albergo. Nel tamburellare ritmico di un sintagma asciutto, non mancano ampi respiri di lirismo: «È bello sapere che, nonostante tutto quello che è passato a questo punto, ha un corpo ancora sensibile al mondo. Poi all’estremo nord, in alto, un gabbiano passa di sbieco, grigio-bianco nel grigio che sbianca nella luce. Un altro. Un altro. E poi un altro. In sé discreti ma forse vagamente uno stormo. Lei guarda mentre una corrente li guida e li porta più lontano dove, suppone, c’è il mare».

Diversi strati di lettura, come i differenti strati di sofferenza di questa donna, diversi i temi trattati, come i disarmonici tormenti di questa protagonista. Una nota doverosa va alla traduttrice Tiziana Lo Porto: rendere così vivido il flusso mai interrotto di considerazioni astratte non è compito agevole. Se possiamo godere di questi testi così innovativi, il merito è anche dei nostri traduttori. McBride si consolida quindi, con questo romanzo, voce energica e avanguardista del panorama letterario anglosassone.