Ernesto Franco / Spiccioli di vita

Ernesto Franco, Sono stato, Einaudi, pp. 110, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Nico Orengo raccontava negli Spiccioli di Montale come il Mediterraneo, prima del distopico ma realissimo presente, avesse i suoi eroi, le sue farfalle, i legnetti per chi volesse fare gli acquarelli – uscivano dalle scatole Winsor & Newton come figli delle giostre per diventare nipotini della Torre Saracena. A nord della Corsica c’è la frontiera, e chi vuole può prendersi un po’ di riposo alla Mortola dove i giardini Hanbury ricordano ancora le infanzie.

È nel bel mezzo di panorami mnemonici che viaggia lo sguardo di Ernesto Franco in Sono stato, dove la moltitudine del proprio io dispiega le ali, in quest’ultimo viaggio dove c’è Genova “scintillante”, il cui mare accoglie – ha sempre accolto – lo scrittore dentro la sua barchetta dalla vela-bandiera genovese: come nell’evocativo disegno di Lorenzo Mattotti che adorna la copertina di Sono stato. Franco non ha paura dei flutti, né di Proust quando spesso fa capolino fra un suono di cicale e una tenera solitudine. Franco è, senza dubbio, tutti i personaggi che si ricombinano nelle pagine come fossero – e sono – particelle dell’universo intero. Né ricordi né “spiccioli” autobiografici, ma frammenti di vita vera: tanto che l’autore può dire in principio: «Sono stato, per un minuto, un’ora, un giorno, un anno uno di questi personaggi».

Però poco Montale, e molto Caproni. Poiché dalla collina di Castelletto è più facile scendere giù in Piazza Alimonda, alle spalle di Piazzale Kennedy fra cariche di polizia, un ragazzo morto, e – risalendo verso nord – le torture alla caserma di Bolzaneto. Franco, come molti altri, è stato uno di quelli che in pieno G8 nel 2001 è rimasto ipnotizzato davanti ai container lungo le vie. La domanda a quel punto arriva puntuta: «Come se lo sono potuti permettere?»

Sono parecchi i segni che l’uomo del ’56 offre al nostro sguardo coetaneo, dai travestimenti salgariani in piena infanzia, fatti di carta (ma guarda la coincidenza), al Natale del ’77 dove il dono più acclamato è una “pietra” fatta di hashish da cui viene confezionato un cannone di gran successo soprattutto presso i nonni. Dal velista che combatte le onde montanti di libeccio che affondarono la London Valour contro la diga foranea, al ragazzino “specializzato” nel gioco del dottore quando di fronte a lui si piazzano glutei trionfanti offerti all’inevitabile iniezione. E i primi amori… e le decine di fascicoli impilati per comporre enciclopedie… gli odori indimenticabili della carta e della colla… cowboy e 007… la magia della Rollei e della Vespa 50 cc. E sempre Genova, ottobre 1970, al centro del fango. Il ragazzo degli anni Settanta ha la propria colonna sonora nel risorgente Montale, in Pasolini e nel Che, in Martin Luther, John, Bob, Moro… il mondo in discussione partendo da Moby-Dick: capitano, marinaio, ma soprattutto figlio di un padre che lo educava (come il mio) dentro la “stanza degli attrezzi”.

Il poeta Ernesto Franco