Frank Miller / Il maestro è stanco

Frank Miller Xerxes – la caduta della casa di Dario e l’ascesa di Alessandro, Star Comics, pp. 112, 24,3 x 30,7 cm, euro 19,90 stampa

Dario il re di Persia appartiene a una casata destinata alla grandezza, alla testa di una grande nazione guerriera che si estende a perdita d’occhio. C’è tuttavia un osso troppo duro anche per lui, un popolo fiero e orgoglioso che dà del filo da torcere a tutta la sua casata, dal figlio Serse al discendente suo omonimo: i greci. I cittadini delle poleis, capitanati da generali del calibro di Temistocle, Milziade e Leonida, si oppongono ai persiani ingaggiandoli in una lotta che negli anni innaffia l’albero della gloria con fiumi di sangue. Ed è proprio dalla Grecia, per la precisione dalla Macedonia, che giunge il sovrano destinato a mettere tutti gli altri in ombra: Alessandro il Grande, le cui gesta echeggiano nei secoli nonostante la sua vita sia terminata anzitempo in giovane età. 

Frank Miller è uno di quegli autori che, nella Storia del fumetto, segna un prima e un dopo la sua venuta. La sua opera è letteralmente imprescindibile e, soprattutto per quanto riguarda i comics, ha cambiato la poetica con una profondità che non è possibile ignorare. Già la sua prima run su Daredevil, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, ha avvicinato il linguaggio dei fumetti a quello del cinema con un ciclo noir metropolitano di un’intensità e di una classe che in pochi altri casi si erano viste e che hanno cambiato la percezione di un personaggio, Daredevil, fino a quel momento un po’ in cerca di un’identità sua in grado di lasciare un segno, quell’identità che sarebbe esplosa con il ciclo Born Again, un racconto titanico, febbrile e doloroso da cui non è possibile prescindere per chi si approccia oggi alla scrittura delle storie del diavolo rosso.

Ma è con Batman: Il ritorno del cavaliere oscuro che il lavoro di Miller raggiunge la sua espressione più alta. La storia di questo Bruce Wayne futuribile, anziano e ferito, che ritorna in sella in una Gotham che il caos e la ferocia non hanno mai abbandonato, è la sintesi della visione milleriana del fumetto e della vita, un western di frontiera dal taglio anarchico di destra, in cui un eroe solitario cala sui banditi che spadroneggiano su un villaggio portando loro una giustizia feroce e primitiva in difesa di un ordine naturale che precede la legge e le istituzioni, rappresentate da un Superman tenuto al guinzaglio dal governo americano, contro cui Batman non esita a scontrarsi. 

Se l’uomo pipistrello e il diavolo rosso sono stati personaggi con cui Miller si è ripetutamente misurato dando vita a opere di qualità stellare – incredibili Batman Anno Uno ed Elektra vive ancora – le sue opere creator owned hanno prodotto classici altrettanto importanti: da Sin City, l’universo narrativo noir nichilista il cui adattamento cinematografico lo ha visto debuttare alla regia, a 300 il successo planetario in cui Frank racconta la sua versione della battaglia delle Termopili, un’opera che reinterpreta liberamente la storia per creare un manifesto artistico e politico che racconta la maturazione piena di un artista e la sua presa di posizione in un mondo che di lì a poco sarebbe stato segnato dal concetto di scontro di civiltà.

Successivamente è arrivato il declino: se All Star Batman and Robin, the boy wonder non funzionava e DK2, seguito di Il ritorno del cavaliere oscuro, funzionava ancora meno, Holy Terror è uno scivolone tremendo, di qualità altalenante dal punto di vista visivo, tirato via nella scrittura a voler essere generosi e becero nelle prese di posizione politiche, letteralmente una reazione scomposta agli attentati dell’11 settembre 2001. Successivamente Miller ha mitigato i toni delle proprie dichiarazioni, esagerati anche per via di una situazione personale non sempre semplice e di una risposta dura dei fan a una fase creativa non certo felice, ma dal declino non si è mai ripreso.

Ed è qui che Xerxes – la caduta della casa di Dario e l’ascesa di Alessandro si colloca nel percorso milleriano: un tentativo di exploitation del successo di 300 poco riuscito come tutte le sue ultime opere. Azzeccato nella logica – una forma di esplorazione metafisica di un’idea molto personale dell’antica Grecia – si percepisce in ogni pagina la stanchezza di un maestro un tempo grande. Miller vorrebbe portare avanti l’evoluzione dell’estetica della sua epopea spartana ma finisce per fare l’imitazione di sé stesso. Il suo tratto è l’ombra di quel che era, ha perso il dettaglio e la plasticità delle figure, nelle scene di lotta manca il dinamismo di un tempo e il maestoso groviglio di gioielli che fu il Serse di 300 qui diventa una figura piatta, una macchia nera su cui si affastellano pezzi d’oro senza un progetto estetico solido alla base. L’essenzialità maestosa degli sfondi rocciosi ha lasciato il posto a una messa in scena scarna e vuota. La volontà sarebbe quella di inserire una dimensione mistica e psichedelica al racconto, ma il risultato è povero.

La scrittura, vorrebbe sfruttare le possibilità di una narrazione sincopata, non del tutto lineare, che salta nel tempo, ma la lettura risulta sconnessa, i vari momenti stanno poco insieme e gli stacchi di continuità sono più fastidiosi che altro. Una logica dietro a certe scelte c’è, ed è pure ambiziosa, ma l’esecuzione non è all’altezza. Frank Miller ha ancora la mente di un maestro ma ha perso la mano, ha in testa una storia grande ma non ha più i mezzi per raccontarla e questo fa male. Umanamente  si perdona lo scivolone a uno che ha formato lo sguardo di milioni di lettori di fumetti, che ha elevato il medium intero, trasformandolo in una forma di narrazione a tratti più vitale delle sorelle più blasonate, ma le opere, perché lo stato di un artista si valuta anzitutto da quelle, gridano la sua stanchezza. E questo è inequivocabile: Xerxes – la caduta della casa di Dario e l’ascesa di Alessandro è il segmento di una striscia negativa che si spera finisca presto ma che presa da sola non riesce a non apparire per quello che è: un tentativo di correre nella scia di un capolavoro passato con il fiato drammaticamente corto.