Eugenio Montale, Quaderno di traduzioni, a c. di Enrico Testa, Il canneto Editore, pp. 160, € 15,00
recensisce ELIO GRASSO
Fa impressione ritrovare il Quaderno di traduzioni sotto diversa sigla editoriale, benemerita in questo caso, che non sia l’Arnoldo Mondadori Editore d’altra epoca, quest’ultima catalogata vintage poiché per quelli nati negli anni ’50 collane come Lo Specchio, La Fenice di Guanda, “Bianca” di Einaudi, “Poeti europei” di Lerici, “All’insegna del pesce d’oro” di Scheiwiller, fanno venire il magone e altre scorrettezze emotive. Se nel famoso carruggio, in pieno centro storico genovese, un editore contrasta l’attuale “vita bassa” con libri come questo, cosa dobbiamo pensare? Che non sono i convegni accademici e gli spiritosi a rifocillare le nostre povere anime attentate ogni giorno da ristagni melmosi, simpatie reazionarie, incompetenze congenite, smemoratezze colpevoli e altri disinteressi multimediali.
Ma qui chi deve mediare? Dopo il coraggio del Canneto, toglie il folle dal cambio e ingrana marce sempre più alte Enrico Testa: uno studioso capace di riportare in luce la storia editoriale e compositiva del Quaderno, dal giorno in cui prese vita, nel 1948, la prima edizione per La Meridiana. Proseguita negli anni successivi (dal 1975) con l’edizione mondadoriana, aggiuntiva di alcuni testi e con diversa Nota di Montale. Senza contare la digressione, non poco civettuola, della poesia La bufera tradotta in lingua latina dall’impareggiabile Fernando Bandini. Poi esclusa dall’Opera in versi curata da Contini e Bettarini e non inserita nel presente volume.
Traduzioni dell’Eusebius (come a lui si rivolgeva l’amico Bobi Bazlen)? Qui dovrebbe entrare in campo il noto castigamatti genovese, Giuseppe Marcenaro, che molto ne sa sulla vita, letteraria e non, di Montale e delle sue Muse (in primis Lucia Rodocanachi), e che molto racconta sul tema delle traduzioni e dei lavori coatti e “schiavizzanti”. Siamo portati a credere che le traduzioni dei poeti, essendo non fonte di sostentamento, siano originali canoniche del nostro premio Nobel, per preferenze e gusto e occasioni. Ma chi può dire che non siano stati richiesti, all’epoca, aiutini e provvidenziali suggerimenti? Niente da eccepire, sia chiaro, per “metodo” e trattamento grammaticale delle versioni dove la mano è riconoscibile senza alcun dubbio.
Al di là di spassose provocazioni, e lazzi mai messi a tacere dallo stesso Montale (anzi di continuo depistati), questa nuova edizione del Quaderno di traduzioni è godibile per ragioni pratiche e affettive, dà modo di cogliere un certo laboratorio evolutivo del poeta, le sue opzioni lessicali, non ultima la scelta dei poeti su cui tentare esperimenti linguistici. Shakespeare, Eliot, Pound, Dickinson, Melville, Hopkins, Kavafis, Guillén, Blake, Barnes… e perfino qualche non pacifica attribuzione laterale, nomi sfuggiti ai maggiori interessi di quegli anni, come Maragall o Adams.
Quel che più appassiona, e su cui Testa pone giusta attenzione, è capire “come” Montale traduce questi suoi autori. Soprattutto alla lingua inglese egli riserva una grande libertà d’interpretazione, preferendola all’ordinaria fedeltà che non l’avrebbe portato lontano. Non sono versioni d’appoggio le sue, ma veri e propri testi indipendenti dall’originale che contengono, se non l’ostentazione, almeno le leggi interne assunte per sé da ogni scrittore. La scelta dei sinonimi, scrive Testa, è un grande esercizio sulla nostra lingua, evitando le ripetizioni dello stesso termine tanto care alla letteratura anglosassone (ma non solo). È qui che si riconosce immediatamente la struttura poetica usata in tutte le raccolte, da Ossi di seppia in avanti. Un’attenzione fisica al linguaggio nostrano di cui tanto si è parlato e che ora assesta una prova indiretta.
E dunque il Quaderno trova una sua grande funzione di conoscenza, più per la bibliografia montaliana che per lo studio dell’opera degli autori tradotti. Dalla riservatezza della sua ricerca ad altri sguardi, certamente Montale può ancora assestare i suoi colpetti sornioni ai fianchi della curiosità spesso sbilanciata delle nuove generazioni.