Il superuomo bolscevico

Eduard Limonov, Zona industriale, tr. Sandro Teti e Stefano Fronteddu, Sandro Teti Editore, pp. 230, euro 16,00

È il 2003 quando Eduard Limonov torna a vivere Syry, ex-quartiere operaio di Mosca: ha appena scontato cinque anni di carcere e ha da poco compiuto sessant’anni. Non è più giovane, ma ha comunque la possibilità e la voglia di ricominciare: «L’uomo è fatto così: levagli il pane, ma lasciagli la possibilità di rifarsi una vita».

Zona industriale è la testimonianza della rinascita di un uomo; un «romanzo moderno», come lo definisce lui nella prefazione, ricalcato sulla sua biografia, su una vita sempre vissuta al massimo e che ha reso Limonov una persona in carne e ossa dotata di tutti i crismi del personaggio letterario. Ci ha pensato poi Emanuel Carrère, con una biofiction a lui intitolata, a segnare il passaggio di Limonov dal semplice culto alla fama internazionale, a far arrivare a più lettori possibili le innumerevoli esperienze di una figura controversa, affascinante e di difficile collocazione.

Scrittore e poeta, icona pop e per certi versi anche punk, dopo anni trascorsi tra Parigi e New York, ha fatto ritorno in Russia, diventando attivista e capo politico del Partito Nazional-bolscevico. Al partito e ai suoi Naz-Bol sono dedicate diverse pagine di questo libro: del resto, è per quello che Limonov è finito in galera; e sempre per le sue idee, per la sua crociata contro la nuova Russia putiniana, è costretto ad andare in giro sotto scorta.

Ma la vera protagonista del romanzo è Syry, la zona industriale del titolo, dove il nostro narratore abita, scrive, vive e ospita le sue donne, osserva i cambiamenti di un quartiere sempre meno popolare, fagocitato dal neoliberismo e dai nuovi ricchi. Con amarezza Limonov ne descrive le storture, la decadenza; mette in luce l’assenza di una classe operaia sempre più ai margini, della quale lui, malgrado tutto, da figlio del popolo qual è, si sente ancora parte.

I brevi capitoli, narrati con uno stile che è sia asciutto sia debordante, talvolta tendente all’aforistico, sono scanditi dalle sue storie con ragazze molto giovani, fino all’entrata in scena dell’Attrice, al secolo Ekaterina Volkova, che diverrà la madre dei suoi due figli, nonché la moglie ancor più eccentrica e scostante di un marito non proprio ordinario.

Limonov sa essere pieno di contraddizioni: amico degli ultimi e allo stesso tempo con tendenze da superuomo, tanto da fare parallelismi tra se stesso, Goethe e il suo Faust; libertario sui generis ma anche nostalgico dell’Unione Sovietica e combattente nei Balcani per la causa serba; un tombeur des femmes che a un certo punto sposa la causa del matrimonio e del nido famigliare. Una scorza dura sotto la quale si nasconde una sensibilità e una ironia rare, tipicamente russe: lo dimostrano i rimandi a una tradizione letteraria della quale si sente a suo modo prosecutore, e lo testimonia il racconto dell’amicizia con un topolino che abita la sua stessa casa. Uno dei risvolti più commoventi di un testo imperfetto ma imprescindibile per chi abbia voglia di leggere una voce che non ha alcun bisogno di ripetere a se stessa quanto sia fuori dal coro.

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