In memoria di Luigi Bernardi

Da dove si comincia a parlare di Luigi Bernardi? Forse dal fatto che solo in Italia un personaggio tanto eclettico e poliedrico, a cinque anni dalla tragica scomparsa avvenuta il 18 Ottobre del 2013, necessiti di un’introduzione che si faccia carico di spiegare a chi ancora non lo conoscesse chi è stato e cos’ha realizzato.

In Italia chi fa tanto, fa troppo. E se per caso quel troppo ha a che spartire con l’universo della cultura, addio: il rischio che nessuno sappia chi è, o lo sappiano in pochi, è praticamente assicurato.

Luigi Bernardi, nella fattispecie, è stato editore, scrittore, saggista, sceneggiatore, traduttore e critico fumettistico. Ha vissuto e lavorato quasi tutta la vita a Bologna, escludendo una breve parentesi nel capoluogo lombardo, dove aveva sede una delle tante realtà editoriali che ha creato, o con cui ha intrapreso una collaborazione interna tale da sfiorare l’attivismo. Innumerevoli sono infatti i talenti che Bernardi ha scoperto, o comunque invitato e accompagnato nell’impervio mercato editoriale italiano: artisti del calibro di Altan, Renzo Calegari, Lorenzo Mattotti, Attilio Micheluzzi e Ivo Milazzo, tanto per citare illustratori e fumettisti ormai celebri, se non di culto, che hanno felicemente abitato le pagine di pubblicazioni ancor oggi compiante dagli amanti della narrativa disegnata, come Orient Express.

Per non parlare, in ambito narrativo, di Pino Cacucci, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Stefano Massaron, Giancarlo Narciso, Alda Teodorani, Nicoletta Vallorani: una misera parte degli autori sfornati a getto continuo sotto il glorioso marchio Granata Press, coraggiosissima casa editrice da lui fondata nel 1989 con Luca Boschi e Roberto Ghiddi. Esperienza poi proseguita per DeriveApprodi, Einaudi, Hobby&Work e Perdisa, con la creazione di collane noir nelle quali riconfermare firme già conosciute e, perché no?, scoprirne di nuove.

Fu proprio la fucina di DeriveApprodi a permettere all’autore dell’articolo che segue di affacciarsi dagli scaffali delle librerie: Franco Limardi, che esordisce nel 2001 col romanzo L’età dell’acqua, ha avuto con Luigi Bernardi il rapporto che si stabilisce con un mentore, con un maestro; non con un editor, figura professionale che, per farla breve, ha sostanzialmente il compito di mettere le mani su un testo inedito e raddrizzare ove necessario il tiro della prosa. Nossignori, in questo caso c’è stato qualcosa di molto diverso, e lo capirete leggendo le parole con le quali Limardi, su nostra richiesta, ha voluto commemorare l’uomo Bernardi, la persona che sta dietro il nome e la professione che ha svolto per tanti anni, prima di abbandonare l’editoria nel 2011 e immergersi a pieno regime nella stesura di romanzi, testi teatrali, sceneggiature per fumetti. In modo altrettanto puro.

Nell’intenzione di ricordarlo qui, su una rivista che ha spesso ospitato recensioni e interviste dedicate ad autori scoperti da Bernardi, quando non si discuteva direttamente di lui stesso, ci è parso poco rispettoso limitarci ad elencarne, magari con toni lacrimevoli, gli infiniti lavori, collaborazioni e quant’altro. Ricorrere alle didascalie è sempre inopportuno, del resto oggigiorno è sufficiente inserire nome e cognome su un motore di ricerca – e se qualcuno volesse scoprire per filo e per segno cos’ha combinato tizio, avrà senz’altro di che soddisfare ogni curiosità in merito.

Ma qualora cercaste una testimonianza più vicina al cuore di chi legge e ama ciò che legge, è il caso di dare un’occhiata a quanto segue. È il caso di compartecipare all’esibizione di un ricordo vivido, struggente, più che mai meritato, inedito, a tratti intimo, raccontato con grande sensibilità da uno scrittore, da uno che sa pescare dal gorgo delle proprie sensazioni le parole giuste per nominarle una a una. Da uno che si trovava abbastanza vicino, e al contempo abbastanza lontano, da essersi fatto un’idea di chi fosse Bernardi Luigi, prima di comprendere (anche sulla propria pelle) cosa l’abbia reso Luigi Bernardi.

Luigi Bernardi

ricorda FRANCO LIMARDI

Quella menzione speciale della giuria del Calvino avrebbe potuto passare inosservata; il mio romanzo avrebbe potuto rimanere semplicemente un dattiloscritto, se non lo avesse letto un direttore di collana abituato a dare credito anche agli sconosciuti, abituato a rischiare pubblicando quello che gli piaceva, quello in cui credeva, che fosse il primo manga ad arrivare in Italia o il romanzo di un signor nessuno come me. Me la ricordo la sua telefonata, inattesa, improvvisa, quella in cui mi diceva, appena dopo essersi presentato, che voleva pubblicare il mio libro. Credo che Luigi Bernardi si sia divertito quella volta, ascoltando il mio stupore, il mio entusiasmo, le mie risposte tra l’imbarazzato e l’impacciato.

Anche di persona, anzi, ancora di più che per telefono, non era facile parlare con Bernardi, bisognava affrontare la sua faccia seria, severa, una faccia che sembrava costantemente solcata da onde suscitate dallo sdegno, dall’intolleranza per le sciocchezze, per la banalità.

Non era facile parlare con Bernardi perché era un uomo che dava peso, importanza alle parole così come ai silenzi; come un musicista rispettava le pause, perché anche le pause hanno significato, perché anche le pause, i silenzi sono musica o possono essere parole.

Parlare con lui ti costringeva all’esercizio della scelta, all’eliminazione del superfluo, del chiacchiericcio vacuo; ti spingeva al rigore, a esaminare te stesso, a pesare quello che avevi da dire, da scrivere, per distillarlo e ripulirlo dalle scorie. Non t’insegnava nulla, almeno non direttamente, ma quello che diceva ti rimaneva in mente, tanto che mi sembra di sentirlo ancora il suo rimprovero sulla mia logorrea narrativa.

Scherzava anche Bernardi, improvvisamente, inaspettatamente e riusciva a spiazzarti anche in quei momenti, perché fino a quell’istante non ti saresti aspettato che il suo volto fosse attraversato da una risata, dal lampo ironico che accendeva i suoi occhi.

Mi è capitato anche di vederlo sorridere con uno sguardo che si era fatto sorprendentemente tenero, quella volta che si mise a parlare di gatti con mia figlia bambina, mentre le raccontava di Fabrizio, il gatto suo amico/coinquilino, chiamato così in onore di Stendhal.

L’ultima volta che ci siamo incontrati fu a Roma, agli inizi di un’estate afosa.

Bernardi era ospite di un festival sull’Isola Tiberina, presentava il suo romanzo Crepe.

Io partii apposta per incontrarlo, era un po’ che non ci vedevamo e mi ricordo questa passeggiata sul lungotevere, fino al ponte Cestio, questo percorso che scendeva lungo i muraglioni dell’argine fino alle banchine occupate da stand, vicine al fiume opaco, là dove il profilo della banchina sembra la prua di una nave, pronta a raggiungere il Ponte Rotto poco distante. Bernardi lo trovai lì, «sulla tolda» di quella nave di cemento che fissava curioso la gente che percorreva in fretta lo spazio assolato in cerca di ombra. La presentazione del suo libro avrebbe dovuto iniziare dopo qualche minuto, ma Bernardi attese pazientemente, come gli era stato chiesto, che si riunissero un po’ di spettatori disposti a sedersi sotto il sole per sentir parlare di un libro che raccontava di faccende lontane, come la costruzione della stazione dell’Alta Velocità di Bologna, dei macchinari che scavavano il sottosuolo e di una storia futura in cui crepe sempre più larghe, sempre più profonde, si sarebbero disegnate sui muri delle case della città.

Non ne vennero tanti di spettatori, e la luce riflessa dai lastroni delle banchine distraeva da quella storia fatta invece di gallerie, buio, e crepe dell’animo.

Sul viso di Bernardi comparve solo un sorriso stanco e un po’ amaro, mentre rispondeva alle domande del presentatore, firmò un paio di copie, ascoltò paziente le domande incalzanti di un tipo che gli chiedeva se anche lui fosse convinto della fine del fumetto d’autore. Quell’espressione lo accompagnò per tutta la durata del nostro incontro e mi rimase impressa, mi seguì mentre ripercorrevo il lungotevere per tornarmene indietro.

Durante l’estate, nel tempo trascorso sulle pagine di un social network, cominciai a leggere gli strani post di Luigi. Lui, di solito parco d’interventi e parole, condivideva foto di luoghi lontani, di città americane, accompagnate da brevi commenti misteriosi e difficili da comprendere. «Ancora una volta mi hai stupito» pensavo, considerando che mai avrei pensato a Luigi in viaggio negli Stati Uniti, in posti come Las Vegas o le Bahamas. Poi quei post cessarono, la sua presenza sul network tornò ad essere rarefatta, ma intanto cominciai a chiedermi sempre più spesso cosa facesse, se avesse già ripreso a scrivere dopo Crepe o fosse in giro per l’Italia a parlare di quel suo libro. Alla fine mi decisi a chiamarlo, a fargli quella domanda così semplice, naturale, «Come stai?». La sua risposta mi versò del ghiaccio dentro; mi raccontò, semplicemente, senza indugiare in particolari, di quell’ospite inatteso e tremendo che si era manifestato poco dopo il nostro incontro. Mi accorsi di non riuscire a trovare le parole, mi ritrovai a balbettare frasi che mi sembravano tutte stupide, inadatte, piene di una fastidiosa e inutile curiosità, mentre Luigi con calma, con un tono di voce non diverso dal solito, mi rispondeva pacato, quasi con distacco, come se parlasse di qualcosa altro da lui.

Seppi della sua lotta dalle mail che ci scambiammo e le sue erano sempre parole misurate, anche quando la sua situazione peggiorò fino al punto di impedirgli di lavorare, fino alla sua sconfitta.

Ecco, di Luigi Bernardi continuo a conservare il ricordo di un uomo, di uno scrittore, che mostrò sempre rigore e coerenza, serietà e dignità; del suo sguardo sulla realtà così privo di retorica eppure così umano, il ricordo della sua scrittura asciutta e rigorosa, della sua coerenza.

Franco Limardi è nato a Roma. È laureato in Filosofia. Per alcuni anni ha fatto parte della redazione della rivista Cinema Sessanta. Ha svolto l’attività di sceneggiatore e ha fatto parte dell’ANAC. Tra i suoi romanzi, L’età dell’acqua (Deriveapprodi, 2001), Anche una sola lacrima (Marsilio, 2005), Lungo la stessa strada (Perdisapop, 2007), I cinquanta nomi del bianco (Marsilio, 2009), Il bacio del brigante (Mondadori, 2013, vincitore del Premio Letterario Chianti Narrativa edizione 2014/2015), La porta del buio (Leone Editore, 2018).

C’è anche un’associazione che si è dedicata a conservare la memoria di Luigi Bernardi.