Ipotesi di felicità

Alberto Pellegatta, Ipotesi di felicità. Mondadori Lo Specchio 2017, pp. 120, euro 18,00 stampa

 

Alberto Pellegatta ha messo su la propria ragione, concentrandosi sull’addestramento (come si scriveva a proposito del precedente L’ombra della salute) lungo le bellezze e le miserie umane. Prendendo per buoni i corteggi e gli spogliarelli che si agitano nella mente dei poeti migliori. Se Petrarca fa le boccacce e Kafka fa compere al supermercato sotto casa vuol dire che stiamo vedendo un serial di ottima fattura, e questa è una perversione che fa bene alla poesia, e soprattutto a quella che scrive Pellegatta.

È lui che si fa spostare sull’asse del mondo, proprio dalla scrittura che animalescamente arriva sul tavolo con competenza e sguardo irriverente. Un autore che si spoglia di vanità evanescenti, mentre lo sguardo è tutto ciò che ha, per sopraffare i vergognosi tempi. La dimora è spogliata, e soltanto il susseguirsi dei frame può comporre la storia che altrimenti, nel sottoscala, sfuggirebbe ai più. Invece Pellegatta cattura tutte le interferenze che gli arrivano a casa e le costringe a disporsi come in un film di Lynch: “Il significato delle frasi ti allaga le cantine”. Ed è questo il segreto: proprio quando dubiti dei tuoi occhi la verità dell’esistenza, in piena veglia, ti si presenta perfetta e incontestabile.

L’inciampo è la tua colazione del mattino, i versi che lo descrivono è la cena che ti colora la giornata, compresa la fornicazione successiva. E le stanze sono sfinite, non il corpo in esse contenuto. Come in Burroughs, è la macchina da scrivere che determina la coscienza, non viceversa. Il congegno nel libro, con ragione, sottovaluta lo scrittore in una sorta di pietà, ma concretamente misura il lettore in ogni suo anfratto. E non scagiona nessuno: nessun libro che si rispetti è inoffensivo. E questo determina il pensiero astuto che riguarda la poesia quanto la vita: che si lasci perdere, e che si contrasti se mai l’incremento demografico. La geografia che si arrabbia (come nella poesia dove le montagne assediano l’autore mentre pensa di dedicare a Mary Tolusso quello che sta scrivendo), e l’acqua che scruta, diventano così il pasto indispensabile per il lettore superbo e immune da tormenti. Gli incapaci e disaccordi lascino perdere, e si inchinino ad altro. Qui “non è tutto qui”. Basterebbe il conclusivo e pregevole “Da quelle parti l’acqua uccide i poeti romantici”.

Piccole infiltrazioni di dialogo indicano la presenza di impliciti ciak che rendono ancora più inesorabile il set a cui si avviano primi attori e comparse, comprese star e starlette. A quanto pare all’autore piace che gli facciano visita “risolute donne” e “loro poeti prediletti”, in fondo anche ai capolavori eterni scappano gli ingredienti (in questo caso, i gamberi), secondo l’ambiziosa ironia delle prose “zoologiche” (punto alto della raccolta). Nessun timore, l’invidia per certi testi nutre l’impostazione del linguaggio, se ne ha bisogno come brioches e focaccia la mattina. Non è forse evidente come alla fine tutte le Ipotesi di felicità non siano che un cedimento alle terrazze, alle pastiglie, ai mirti, alle membrane, agli alti fusti, ai giuramenti innamorati, alle lenzuola, a tutto ciò che Pellegatta tiene lontano da questo libro?

23 Luglio 2017

Articolo precedente
Articolo successivo