Irène Némirovsky / Le prime scritture brevi

Irène Némirovsky, Il carnevale di Nizza e altri racconti, tr. di Teresa Lussone, Adelphi, pp. 310, euro 19,00 stampa, euro 10,99 epub

Nei diciassette racconti scritti tra il 1921 e il 1937 pubblicati ora da Adelphi, ritorna prepotente quel giubilo argentino a cui i lavori di Némirovsky ci ha abituati. Pur essendo opere giovanili – e lei per prima le definirà “Infantili e allegre” – la dimensione che più torna è quella del prima. La raccolta si apre con i quattro dialoghi comici di Nonoche e si chiude con una vera chicca: “I giardini di Tauride”, con gli appunti e le correzioni dell’autrice. Se in tutti i racconti si respira la volontà di lavorare col metro della forma breve (conoscendo perfettamente i canoni e le griglie del romanzo), con la pubblicazione di un lavoro in corso appare ancora di più la disciplina con la quale Némirovsky si dedicava alla stesura delle opere. Non si tratta soltanto di varianti, variazioni, aggiustamenti di forma ma veri e propri appunti per sé stessa, al suo modo di vedere il mondo e di filtrarlo con la scrittura. Una auto-critica ironica. Non sorprende quindi ritrovare ricordi o suggerimenti nell’utilizzo della propria esperienza umana nella costruzione dei personaggi, un dialogo interiore vivo capace di influenzare gli scenari e immaginarne altri, altrettanto spassosi e altrettanto malinconici.

Sì, perché il rimpianto per ciò che non c’è stato o per una decisione presa frettolosamente corre sottotraccia in tutti i racconti e li lega come se fossero perle di una collana. L’utilizzo di dialoghi di stampo teatrale, di flashback e anche di piani sequenza cinematografici (“Il carnevale di Nizza” ne è l’esempio più eclatante) fanno sì che il lettore contemporaneo trovi una narrazione altamente fruibile e dinamica, vicina ai tempi e al realismo (verità, lei scriveva così) vissuto. Ciò non avvenne come riporta nelle note di chiusura Teresa Lussone, anzi la critica non apprezzò lo sperimentare dell’autrice.

Il “prima” necessita che ci sia anche un “poi”, una successione temporale lineare, ma che Némirovsky reinventa: ogni singola pagina è impregnata di vita e gioia, tutta quella vita e gioia che dovrà abbandonare nella seconda parte del suo percorso, ma che pare sapere già come verrà perduta. Una veggenza circa il non poter afferrare nulla in maniera definitiva, una precarietà tanto temuta quanto forse bramata, e necessaria per il dopo. I racconti rappresentano il “prima”, ciò che ha reso possibile la stesura dei romanzi: in essi Némirovsky propone soluzioni e temi distinti che verranno ripresi in Suite francese e negli altri lavori lunghi. Quasi una sorta di palestra nella quale scoprire e indagare il quotidiano, le sue pieghe scomode: in “Giorno d’estate” e “I fiumi del vino” viene riversata tutta la frustrazione nell’appartenenza a una classe borghese e ipocrita, serva di convenzioni sociali e di un ambiente asfittico quanto perverso. Come sempre la realtà, il sogno, la ricerca interiore e quella delle radici storiche si mescolano e si fondono. Il tema dell’altro e della non inclusione reale, quello dell’abbandono dell’infanzia e dell’ingresso in un mondo grigio fatto di forma e apparenza. Il “prima” della ricerca di un sé, abbandona e lascia spazio a un “dopo” nel ricordo e nella riscoperta. Questo percorso e, soprattutto, la possibilità di poter leggere le note dell’autrice, pone un faro sulla coerenza e sull’eccezionale consapevolezza di Némirovsky nello scrivere breve, in quel tessere perfetto “a piombo”, senza sbavature, con l’allegria del poter muoversi libera tra le righe e tra le arti, affinando quella che sarà la voce di una delle autrici più lette d’Europa.