A distanza di quattro anni dal suo ultimo lavoro Teresa Ciabatti torna in libreria con Donnaregina, un romanzo dall’ottica complessa, la cui sinossi riportata sul libro appare quasi fuorviante, lasciando il lettore incastrato senza preavviso nelle strette angolature delle complessità emotive che affiorano nella narrazione. Una scrittrice giornalista è stata incaricata dalla propria testata di intervistare Giuseppe Misso – ’o Nasone, ’o Gioiello –, boss della camorra negli anni Ottanta e Novanta, accusato di rapina a mano armata, associazione a delinquere e dell’omicidio di più di centocinquanta persone. In un momento delicato della sua vita e della sua carriera, la scrittrice che da sempre si è occupata di adolescenza, di cultura e spettacolo, decide di cogliere l’occasione, di entrare in contatto con il boss e conoscerlo; galvanizzata dal fatto che Misso, oltre ad acconsentire, non solo rilascia l’intervista ma le propone di redigere una sua biografia. Le reticenze iniziali date da una leggera inadeguatezza in materia di giornalismo giudiziario vengono superate, gli incontri che all’inizio assumono contorni misurati si fanno sempre più coinvolgenti. La scrittrice intravede nella mappatura affettiva di Misso tratti non proprio comuni ai suoi, ma sicuramente simili. Un boss della camorra che alleva premurosamente colombi che sono concreta espressione metaforica dell’amore e della vita, che legge gli autori che hanno cambiato la letteratura del Novecento, che non ha mai ammazzato o usato violenza su donne e bambini deve per forza avere, dentro di sé, una moralità scaturita e scatenata dai complessi legami affettivi con la famiglia, con i figli, con le donne che ha amato. In parallelo alla raccolta degli aneddoti che racconta Misso a ogni incontro, a un’intimità che cresce, la giornalista madre di Camilla di tredici anni è investita da una grave patologia della ragazza e dalla malattia di un’amica a lei cara e vicina.
Della vita privata della scrittrice non mi sento di svelare nessun altro particolare rispetto alla sinossi decisa dall’editore, credo di aver già inserito qualche informazione in più; vorrei lasciare il lettore nell’incoscienza, a questo punto voluta, della non esaustività della sintesi iniziale. Non sapevo chi fosse Giuseppe Misso, attirata dalla trama mi sono voluta approcciare a questo romanzo per la figura così sfaccettata di questo boss e mai mi sarei immaginata che, sotto, avrei trovato un romanzo, così doloroso e angoscioso, sulla genitorialità. Ciabatti intreccia la vita di Misso, e la sua paternità, con la maternità della giornalista e, dopo qualche capitolo, il lettore rimane disorientato: fiction e autofiction si fondono, la stessa scrittrice ammette di giocare, confondere e manipolare i racconti del boss, ma quale scrittrice? Ciabatti o la giornalista del romanzo? Le verità scivolano su un piano inclinato, ma la tensione che si prova a leggere dei problemi di Camilla è reale. E il lettore non è preparato. La sofferenza descritta è densa, non lascia scampo, il lettore è in affanno. La inadeguatezza genitoriale di far fronte alle sempre più preoccupanti e dilaganti complessità dell’adolescenza delle nuove generazioni è un argomento negli ultimi tempi molto dibattuto: saggi, serie tv, talk show, altri romanzi su questa tematica spaziano in campo culturale e scientifico.
La prosa tagliente e la cifra stilistica così spietatamente diretta di Ciabatti amplificano questa preoccupazione collettiva e non più trascurabile, ma in Donnaregina la scrittrice trasforma e plasma il memoir su Giuseppe Misso in una denuncia di manchevolezza di ascolto e di incapacità di salvare dal male le nuove generazioni. Ma vi è un opposto, un correttivo che dalle pagine traspare, dalle azioni del boss, e da qualche piccola scintilla di Camilla e della giornalista, un attaccamento alla vita. Ed è su questo, a chiusura della mia lettura, che mi vorrei soffermare, perché è su ciò che concerne la speranza e la vita che vorrei preservare e conservare.