Veterano di guerra. Romanziere. Giornalista. Autore di discorsi presidenziali. Nero. Max Reddick è tutto questo ma, soprattutto, è un uomo che sta morendo. Mentre un cancro lo divora inarrestabile, lo scrittore torna in Europa per chiudere diversi conti. Con l’ex moglie, e con un caro amico morto da poco che gli lascia un’eredità da far tremare i polsi: un piano governativo segreto, un progetto eliminazionista a sfondo razziale, una cospirazione con finalità agghiaccianti e dalle spaventose conseguenze potenziali. Seguendo una trama costruita su più linee temporali il lettore segue la vicenda di Reddick imparando a conoscerne la storia, il mondo e le manie mentre le maglie di una ragnatela che rischia di portarlo alla morte ben prima di quanto la sua malattia possa fare si stringono attorno a lui e alle carte scottanti che Harry Ames, l’amico e collega con cui tanto ha condiviso, gli ha lasciato in mano prima di morire.
L’uomo che gridò io sono è un classico della letteratura americana pubblicato in patria nel 1967 e solo adesso tradotto in Italia. Il libro si caratterizza, in ogni suo aspetto, per il fatto di esistere, ed essere profondamente attuale, a cavallo tra due epoche: quella in cui è uscito nelle librerie e il nostro presente. Il volume è ampio e ponderoso ma, per quanto figlia del proprio tempo, la scrittura di Williams è relativamente scorrevole e la lettura, non immediata, è più fluida e fruibile di quanto possa apparire dalle premesse. L’uomo che gridò io sono è un lavoro ambizioso, vuole essere un romanzo grande e in tal senso l’autore si prende tutto il tempo per costruirlo. La svolta thriller arriva infatti a suo tempo, senza fretta, dopo che tutto un mondo è stato delineato e dopo che tutti gli attori di una lunga e complessa vicenda corale hanno preso posto e sono stati caratterizzati approfonditamente nel loro venir messi singolarmente sotto la luce dello spotlight nelle interazioni scritte per dar loro profondità prima che far proseguire la trama. In questo senso William ricorda, mutatis mutandis, Herman Melville nella sua intenzionalità di esplorare a fondo un ambiente entro il quale il suo dispositivo narrativo viene messo in moto con un worldbuilding ricco, multipolare, fatto di una moltitudine di luoghi, di tempi, di protagonisti e di relazioni.
Reddick si muove in un qui e ora contestualizzato, che non galleggia nel vuoto, a cui è arrivato come conseguenza di scelte e di eventi che hanno plasmato la persona che lui è e l’ambiente naturale in cui si muove, un ambiente fatto di regole precise in cui c’è fermento, le cose si muovono ma al tempo stesso non è possibile uscire da steccati ancora alti, solidi e ben definiti. Sì, perché Reddick è nero. Un nero colto, che lavora nell’industria culturale. Un nero per molti aspetti privilegiato ma sempre e comunque un nero, che ha certamente talento ma, proprio per i limiti imposti dal contesto in cui vive, quel talento conta fino a un certo punto e parte della fortuna, questa è la regola non scritta ma molto poco taciuta, è dovuta al connotato etnico certi ambienti hanno bisogno in una ben precisa misura. Reddick è quel nero, non c’è spazio per tutti quelli come lui ma qualcuno ne serve e lui è lì per quello. Ciò gli conferisce uno status, a patto che si ricordi di non essere bianco.
Questo rende L’uomo che gridò io sono un romanzo profondamente calato nella realtà del suo tempo insieme a numerosi riferimenti a persone e fatti della sua epoca, dall’esistenzialismo a uno scandalo che ricalca un episodio che ha riguardato lo stesso Williams in prima persona. Non è esagerato definire questo lavoro un libro-mondo, perché questo alla fine è il suo contenuto. Un mondo, un’epoca, un racconto che va oltre la trama e la vicenda messa in scena e ai temi trattati che, seppur importanti, non esauriscono il romanzo nella semplice definizione di opera di denuncia perché la ricchezza di quest’opera è molto più di questo. L’uomo che gridò io sono alla fine ci riesce, a essere grande. Per la solidità e la complessità della sua costruzione, e per la capacità di raccontare una realtà che, a oggi, non ha ancora affrontato i propri demoni.