Con questo titolo ci si potrebbe aspettare la biografia di un membro della famiglia reale di Gran Bretagna. E invece è una biografia qualsiasi, ovvero speciale e unica come le biografie di tutti noi, se solo ci fermassimo a guardare la nostra vita e raccontarla nella sua interezza. Ecco, dunque, la biografia di Ann, ragazza inglese di poverissima famiglia, ma dotata e incoraggiata a studiare, l’unica ad andare al college, l’unica a laurearsi, per di più in Letteratura francese, orgogliosa di forgiare il suo destino lontana dal grande complesso industriale chimico che ha dato vita e morte ai suoi abitanti. Ann va in Francia, si innamora, decide di restare, ha una figlia, Julia, che è la voce narrante, l’autrice della biografia della madre.
Quando la incontriamo, Ann è vecchia, ha appena avuto un ictus che l’ha lasciata a terra, in bagno, per ventotto ore, fino all’arrivo della figlia. Ha perso l’uso di buona parte del corpo e della parola, e quello che riesce a dire lo dice in inglese, come se il francese avesse smesso di servirle, ora che non potrà più essere indipendente e fare la vita ricca e piacevole che era riuscita a costruirsi e conservare nonostante l’avanzare degli anni. La figlia Julia, che non la sopporta, che ci ha combattuto e discusso infinitamente, che ha faticato a emanciparsi e rendersi indipendente da questa madre ingombrante, straniera, in fuga ma presentissima, la figlia Julia che la ama e non è disposta a perderla, comincia la lunghissima trafila di ospedali e case di riposo, medici e specialisti. Perché la madre ottenga le giuste attenzioni, perché le sia data una possibilità di recupero, perché non venga condannata a restare un vegetale ed essere trattata come tale. Perché possa essere ricoverata in una struttura decente, dove conservare la dignità. Julia è disposta a fare tutto quello che può e anche quello che non può, è una scrittrice ma impara in fretta come districarsi nel sistema sanitario pubblico francese.
Quella macchina preziosa e insostituibile che è la sanità pubblica spesso si inceppa, si incarta nella sua stessa burocrazia, e i funzionari si dimenticano che hanno a che fare con degli esseri umani, meritevoli di cure che non siano solo quelle meccaniche e immediate che salvano la vita ma magari non la rendono degna di essere vissuta. E la battaglia di Julia è una battaglia in cui molti di noi si possono riconoscere, fatta di sconfitte e vittorie, di frustrazioni e improvvise felicità. Con il giusto incoraggiamento Ann riprende l’uso della parola, anche se in inglese e anche se non sempre con la chiarezza desiderata; riprende un certo grado di autonomia, di piacere di vivere, di gusto per le cose. Alla fine, trova anche una casa di riposo dignitosa e gradevole.
C’è voluta molta pazienza e molta dedizione per arrivarci. Julia l’ha fatto con amore e con rabbia, e la ricostruzione della biografia della madre è uno dei modi che ha messo in atto per aggiungere un senso personale e profondo al lavoro estenuante di aiuto e cura. La vecchiaia, che ci spaventa con la sua imprevedibilità e con i suoi rischi, è uno dei temi fondanti del romanzo, quello che ce lo rende a volte fin troppo vicino. La vecchiaia dei nostri cari prima, con tutto il suo carico di perdita e di impegno, e poi la nostra, che avanza ogni minuto. La vecchiaia che rispetto al secolo scorso (o quantomeno ai racconti che ci sono arrivati, dal secolo scorso) si è allungata, si è riempita di possibilità, si è fatta più solitaria e più impegnativa. I figli sono sempre meno, spesso una/uno per due genitori, e sempre più occupati a trovare soluzioni perchè quei genitori vivano o sopravvivano nel migliore dei modi possibili (che alle volte sono comunque terribili). Le strutture pubbliche sono insufficienti, meno male che ci sono ma quello che ci va aggiunto è molto e spesso troppo (tempo, denaro, altre persone).
E l’altro tema, non meno fondante, sono le relazioni famigliari. La relazione con la madre, un’altra cosa inevitabile. Non esistiamo senza una madre, per quanto strana, assente o persino cattiva. Ma spesso questa madre è una sconosciuta. Lo è di certo Ann, di cui Julia deve andare a ricercare la storia per capire chi è davvero. Ma lo sono anche le nostre madri. E anzi una famiglia è tipicamente un luogo in cui le persone si frequentano assiduamente e condividono spazi e intimità, senza riuscire a sapere quello che pensano davvero, quello che sono davvero. Forse un vantaggio l’invecchiamento lento dei nostri tempi ce lo dà: quello di poter ricomporre la nostra storia, tracciare da dove veniamo, interrogando chi ci ha portato qui e cercando di avere delle risposte prima che il tempo porti via anche le domande. E nel racconto che ne potremo fare a chi viene dopo di noi, sicuramente la finzione si mescolerà con la realtà, le menzogne saranno inseparabili dalla verità. Ma avremo assolto al nostro bisogno di continuità, e costruito una storia. Limitata, personale, forse inattendibile. Ma pur sempre una storia. Senza la quale, scritta o solo trasmessa oralmente, non si dà civiltà o umanità.