Julia Deck / Se realtà e finzione non sono così diverse

Julia Deck, Ann d’Inghilterra, tr. di Yasmina Melaouah, Adelphi, pp. 201, euro 19,00 stampa, euro 10,99 epub

Con questo titolo ci si potrebbe aspettare la biografia di un membro della famiglia reale di Gran Bretagna. E invece è una biografia qualsiasi, ovvero speciale e unica come le biografie di tutti noi, se solo ci fermassimo a guardare la nostra vita e raccontarla nella sua interezza. Ecco, dunque, la biografia di Ann, ragazza inglese di poverissima famiglia, ma dotata e incoraggiata a studiare, l’unica ad andare al college, l’unica a laurearsi, per di più in Letteratura francese, orgogliosa di forgiare il suo destino lontana dal grande complesso industriale chimico che ha dato vita e morte ai suoi abitanti. Ann va in Francia, si innamora, decide di restare, ha una figlia, Julia, che è la voce narrante, l’autrice della biografia della madre.

Quando la incontriamo, Ann è vecchia, ha appena avuto un ictus che l’ha lasciata a terra, in bagno, per ventotto ore, fino all’arrivo della figlia. Ha perso l’uso di buona parte del corpo e della parola, e quello che riesce a dire lo dice in inglese, come se il francese avesse smesso di servirle, ora che non potrà più essere indipendente e fare la vita ricca e piacevole che era riuscita a costruirsi e conservare nonostante l’avanzare degli anni. La figlia Julia, che non la sopporta, che ci ha combattuto e discusso infinitamente, che ha faticato a emanciparsi e rendersi indipendente da questa madre ingombrante, straniera, in fuga ma presentissima, la figlia Julia che la ama e non è disposta a perderla, comincia la lunghissima trafila di ospedali e case di riposo, medici e specialisti. Perché la madre ottenga le giuste attenzioni, perché le sia data una possibilità di recupero, perché non venga condannata a restare un vegetale ed essere trattata come tale. Perché possa essere ricoverata in una struttura decente, dove conservare la dignità. Julia è disposta a fare tutto quello che può e anche quello che non può, è una scrittrice ma impara in fretta come districarsi nel sistema sanitario pubblico francese.

Quella macchina preziosa e insostituibile che è la sanità pubblica spesso si inceppa, si incarta nella sua stessa burocrazia, e i funzionari si dimenticano che hanno a che fare con degli esseri umani, meritevoli di cure che non siano solo quelle meccaniche e immediate che salvano la vita ma magari non la rendono degna di essere vissuta. E la battaglia di Julia è una battaglia in cui molti di noi si possono riconoscere, fatta di sconfitte e vittorie, di frustrazioni e improvvise felicità. Con il giusto incoraggiamento Ann riprende l’uso della parola, anche se in inglese e anche se non sempre con la chiarezza desiderata; riprende un certo grado di autonomia, di piacere di vivere, di gusto per le cose. Alla fine, trova anche una casa di riposo dignitosa e gradevole.

C’è voluta molta pazienza e molta dedizione per arrivarci. Julia l’ha fatto con amore e con rabbia, e la ricostruzione della biografia della madre è uno dei modi che ha messo in atto per aggiungere un senso personale e profondo al lavoro estenuante di aiuto e cura. La vecchiaia, che ci spaventa con la sua imprevedibilità e con i suoi rischi, è uno dei temi fondanti del romanzo, quello che ce lo rende a volte fin troppo vicino. La vecchiaia dei nostri cari prima, con tutto il suo carico di perdita e di impegno, e poi la nostra, che avanza ogni minuto. La vecchiaia che rispetto al secolo scorso (o quantomeno ai racconti che ci sono arrivati, dal secolo scorso) si è allungata, si è riempita di possibilità, si è fatta più solitaria e più impegnativa. I figli sono sempre meno, spesso una/uno per due genitori, e sempre più occupati a trovare soluzioni perchè quei genitori vivano o sopravvivano nel migliore dei modi possibili (che alle volte sono comunque terribili). Le strutture pubbliche sono insufficienti, meno male che ci sono ma quello che ci va aggiunto è molto e spesso troppo (tempo, denaro, altre persone).

E l’altro tema, non meno fondante, sono le relazioni famigliari. La relazione con la madre, un’altra cosa inevitabile. Non esistiamo senza una madre, per quanto strana, assente o persino cattiva. Ma spesso questa madre è una sconosciuta. Lo è di certo Ann, di cui Julia deve andare a ricercare la storia per capire chi è davvero. Ma lo sono anche le nostre madri. E anzi una famiglia è tipicamente un luogo in cui le persone si frequentano assiduamente e condividono spazi e intimità, senza riuscire a sapere quello che pensano davvero, quello che sono davvero. Forse un vantaggio l’invecchiamento lento dei nostri tempi ce lo dà: quello di poter ricomporre la nostra storia, tracciare da dove veniamo, interrogando chi ci ha portato qui e cercando di avere delle risposte prima che il tempo porti via anche le domande. E nel racconto che ne potremo fare a chi viene dopo di noi, sicuramente la finzione si mescolerà con la realtà, le menzogne saranno inseparabili dalla verità. Ma avremo assolto al nostro bisogno di continuità, e costruito una storia. Limitata, personale, forse inattendibile. Ma pur sempre una storia. Senza la quale, scritta o solo trasmessa oralmente, non si dà civiltà o umanità.