Max Brooks / Catastrofi e bivacchi

Max Brooks, Il massacro del monte Rainer, tr. Rosa Prencipe, Mondadori, pp. 336, euro19,00 stampa, euro 9,9 epub

Dall’apocalisse zombie al ritorno in grande stile di Bigfoot, Max Brooks ci riprova e dopo il successo internazionale di World War Z e della sua trasposizione cinematografica del 2013 (con Brad Pitt), ecco un nuovo romanzo catastrofico concepito per essere praticamente già il soggetto di un film o di una serie, in attesa soltanto della sceneggiatura definitiva. Anche questa volta Brooks opta per una costruzione di spessore “realistico”, alternando – come in un found footage romanzesco – la voce in presa diretta proveniente dal diario terapeutico della protagonista Kate, e l’ampio materiale documentaristico, fonti storiche e giornalistiche, interviste sul campo, etc.

Greenloop è una micro comunità isolata ai piedi di un vulcano intesa a realizzare, grazie alla tecnologia, il modello di una vita smart e rispettosa della natura. Il suo ideatore, Tony, è celebrato sulle copertine di Wired e di Forbes come visionario del futuro ecocapitalismo, insieme alla moglie: modella bellissima che regala agli ospiti lezioni di mindfulness e saluti al sole. I suoi membri, in fuga dalla routine losangelina, tutti a vario titolo esponenti affluenti e ben assortiti di una wokeness progressista, prevedibilmente illuminata e supponente. A Greenloop puoi vivere in mezzo al nulla grazie a droni che ti portano la spesa e il cibo di fattoria, senza tenere in casa un cacciavite o installare videocamere in giardino, perché al minimo allarme squadre di sicurezza o di manutenzione si precipiteranno a sturarti la doccia.

Il modello si rivela insostenibile quando un’eruzione tipo Krakatoa del vulcano, gestita con efficienza stile Katrina dalle istituzioni preposte, isola la comunità dal resto del mondo e dalle reti di comunicazione. Un evento imprevisto, il classico cigno nero, che tra gli annessi e i connessi – colate telluriche, crollo delle infrastrutture, velivoli bloccati dalla cenere, sommosse e cecchini in città, etc – riporta alla ribalta anche il misterioso Gigantopiteco nordamericano, versione locale dello Yeti, insomma Bigfoot. Dimenticata da dio ma soprattutto dalla guardia nazionale, la comunità, non più ai vertici della catena alimentare (“il cibo adesso sei tu”) prima confida nei soccorsi che non arrivano, poi nella naturale bontà dei selvaggi primati (“come diceva Rousseau… o era Thoreau?”) infine trova la sua leader naturale nell’unica ospite pragmatica e battagliera, Mostar (!), una ex combattente bosniaca sopravvissuta… avete indovinato a che cosa.

Attraverso il diario di Kate assistiamo sia agli eventi sia alla trasformazione della scrivente, da commercialista compassionevole e primatista dei sensi di colpa, a spietata macchina da guerra perfezionista che stenta a riconoscersi nella sensibilità civile esibita nelle pagine scritte solo pochi giorni prima. E, con lei, alla metamorfosi del suo compagno Dan, da imprenditore inoccupato e perennemente frustrato a servizievole e protettivo guerriero tuttofare. In una storia di progressiva disumanizzazione, il lato ferino ma anche solidale emerge nell’arco dei personaggi che si stringono in una tribù per fronteggiare la minaccia mortale.

Se il tema “esperimento sociale che va a puttane non appena la realtà bussa alla porta” vanta solide tradizioni – a cominciare dal magistero ballardiano codificato in Condominium, Super Cannes etc – qui Brooks ci mette di suo una buona dose di attualità, anche o soprattutto, con l’inevitabile prospettiva post-pandemica. Il libro, apparso nel 2019, anticipa infatti le utopie urbanistiche della classe media nell’era dello smart working, anche se più in generale, si presenta come critica della “presunzione antropocentrica” che ci porta a credere che la natura sia “buona”, cioè umana, e che si possa vivere in armonia con le altre specie come in un film della Disney.  Una presunzione che con la consapevolezza della crisi climatica si ricicla nel green washing più ingenuo e caciarone.

PS: scrivo questa recensione in un bivacco della Val Bratica, una delle zone più spopolare dell’Appennino emiliano. Il rifugio è attrezzato come un camping cinque stelle ma per le norme di distanziamento anticovid sono solo e anche senza connessione. Quindi se entro 48 ore non avete mie notizie siete pregati di venirmi a cercare.