Il mare infetto segna il ritorno in Italia di Kim Bo-young, l’acclamata autrice sudcoreana che negli ultimi anni ha rappresentato innanzitutto un collegamento culturale fra la narrativa di genere orientale e occidentale. Arrivata nel nostro Paese con la raccolta fantascientifica L’origine delle specie (https://www.pulplibri.it/kim-bo-young-guardarsi-da-lontano/), la cinquantenne si è districata fra tecnologia, fantasy e un pizzico di folklore, grazie a una sensibilità che unisce sci-fi e animismo, percezione del sacro e trasformazione. Proprio le mutazioni, in particolare quelle del corpo, erano già affrontate nel racconto intitolato Il mito dell’evoluzione, ma con Il mare infetto è proprio la metamorfosi degli esseri umani in creature deformi a segnare il tema portante del romanzo.
Dalla fantascienza si passa dunque all’horror derivante da un disastro ambientale, con una dimensione spaziale tutta concentrata nel villaggio di Haewon, un luogo completamente isolato in cui i poveri cittadini si trovano ad affrontare il misterioso morbo del Mare dell’Est. Attraverso descrizioni dettagliate di corpi putrescenti e luoghi ormai indecorosamente marci, sporcizia diffusa e olezzi di pesce andato a male, la storia segue la disperata sopravvivenza di Mu-yeong, una cacciatrice di infetti completamente disillusa dopo la scomparsa della nipote. L’arrivo nella cittadina di uno strano ricercatore condurrà la protagonista verso orrori fino ad allora celati, costringendo il lettore a confrontarsi con incubi che virano verso il raccapricciante e il terrore mitologico.
Leggendo il romanzo arriva immediata la convinzione che la sua scintilla creativa sia derivata dalla pandemia Covid e dall’isolamento vissuto a livello planetario, dato che la narrazione è pervasa da questo senso di straziante solitudine e crescente disumanizzazione, sia fisica che psicologica, ma è la stessa Kim Bo-young a smentire questo collegamento nella postfazione del volume. Ciononostante, il testo induce a una lettura febbrile anche per quel senso di confuso straniamento che si prova nel leggere una storia ancor più distopica di quanto abbiamo vissuto nel nostro recente passato.
Più distante, invece, pare l’ispirazione dichiarata dall’autrice a Il richiamo di Cthulhu di H.P. Lovecraft, non solo perché il confronto con la mitologia del male inventata dal maestro di Providence compare (sbiadita) in pochi passi del romanzo, ma anche perché la scelta della scrittrice coreana è quella di scandire ogni descrizione con dettagli puntuali e decisamente specifici. Tutto il contrario di ciò che rende incredibilmente evocativa la scrittura di Lovecraft, con un orrore che emerge dal suggerito, dall’accennato, da ciò che rimane “fuori campo”. I Grandi Antichi e gli spazi oltre la percezione umana vengono descritti con metafore e aggettivi estremi, “indicibili” e “innominabili”, lasciando ampio margine al mistero.
Quel che accade con la scrittura di Kim Bo-young riguarda invece un ingresso diretto e perfino sensoriale nel villaggio maledetto, che diviene concreto sia a livello visivo che – soprattutto – olfattivo. Il senso di repulsione e allo stesso tempo di compassione che si arriva a provare per questi esseri irreversibilmente compromessi assume una valenza per certi versi sociale. A voler trovare un riferimento narrativo occidentale, sarebbe il caso di guardare alla Tetralogia degli Elementi di J.G. Ballard, dove vento, acqua, terra, cristallo sono forze totalizzanti, capaci di sovrastare l’uomo e ridisegnare la condizione esistenziale. Nel caso della scrittrice, il mare infetto diventa agente narrativo, invadendo questi luoghi immaginari e trasformando i personaggi attraverso un progressivo processo di adattamento e rassegnazione. La scrittura di Kim Bo-young viene dunque segnata da una sorta di fascinazione estetica per la distruzione, dalla quale non è consentito fuggire: l’unica possibilità è scontrarsi direttamente con l’origine delle nostre più profonde paure.
Il mare infetto viene pubblicato da add editore all’interno della collana Asia assieme ad altri due titoli di stampo horror, la raccolta di 14 racconti Sinofagia (a cura di Xueting C. Ni) e l’antologia tutta indonesiana Gli schiavi di Satana. Una scelta editoriale volta a incrociare le atmosfere cupe della tradizione popolare asiatica con le inquietudini sempre più opprimenti del presente.


