La Terra di Mezzo dei Vampiri

Francesco Paolo de Ceglia, Vampyr. Storia naturale della resurrezione, Einaudi Storia, 2023, pp. 415, Euro 34,00 stampa

 

Ci sono i vivi, ci sono i morti, ci sono i non-morti

 

Un tempo si era soliti trattare le vicende collegate ai vampiri – creature liminari che testimoniano l’esistenza di uno stadio intermedio tra la vita e la morte – tra l’umano e il non-umano, con una finalità pratica, con la necessità di salvaguardare la serenità e la tenuta di una comunità, e la sua stessa sopravvivenza, minacciata dai morti che tornavano dall’aldilà a tormentare i vivi. Leggendo questo straordinario volume di Francesco Paolo de Ceglia, un’attenta ricostruzione storica delle origini del mito del vampiro, scopriamo come questa figura cominciò a far parlare di sé in alcune sperdute zone di confine dell’impero Austro-Ungarico, da poco riconquistate agli ottomani, e da allora ha saputo mantenersi alla ribalta dei media, fino alle contemporanee saghe di Twilight, Buffy l’Ammazzavampiri e True Blood. Da allora i vampiri sono definitivamente usciti dalle loro tombe e non c’è stato verso di rimetterceli; anzi sono diventati un’icona universale e oramai sono ovunque: lo dimostra l’assoluta convinzione di migliaia di complottisti seguaci di QAnon in tutto il mondo che il Nuovo Ordine Mondiale sia governato da una setta internazionale di vampiri pedofili, che rapiscono i bambini, li stuprano e infine li uccidono, bevendone il sangue, oppure distillandone una sostanza denominata adrenocromo, che garantirebbe loro l’eterna giovinezza. Anche la recente edizione della Mostra del Cinema di Venezia attesta una presenza a dir poco pervasiva dei vampiri, dato che in tutte le sezioni del festival sono presenti film ispirati a questa figura, reinterpretata in modo originale, immaginando per esempio che il dittatore cileno Augusto Pinochet (vedi El Conde, di Pedro Larrain), sia in realtà un vampiro francese che esiste da secoli e che ha combattuto sotto la Bastiglia per sostenere la Controrivoluzione.

Il lettore incuriosito dalla ricostruzione storica di questo volume, che volesse approfondire le vicende legate ai vampiri moderni e divertirsi su Internet, può visitare diversi siti dedicati, che spiegano come questi esseri sono nati e si sono sviluppati, o addirittura siti che spiegano come si fa a diventare un vampiro. Chi vuole può sintonizzarsi sulla Vampire Radio o leggere i fumetti giapponesi Vampire Hunter D o i manga Vampire Miyu, visitare siti come Sanguinarius, Vampire connection o VampireFreaks.com, iscriversi alla newsgroup alt.vampyres oppure alle numerose chat per vampiri. La casa di produzione White Wolf ha perfino creato un gioco di ruolo interattivo Vampire: The Masquerade, i cui partecipanti alla fine di un lungo percorso si trasformano in vampiri. La moda non accenna a diminuire, soprattutto fra i giovani, complice anche il successo della Festa di Halloween, e travestirsi da vampiro o da emo – come dicono i giovani – è diventato da decenni, soprattutto nei paesi anglosassoni, un modo per esprimere il proprio disagio adolescenziale, come accade con un altro fenomeno estremo, il cannibalismo, nel film Bones and All di Luca Guadagnino. Oramai ci sono vampiri di tutti i tipi, perfino – orribile anche solo pensarlo – vampiri vegetariani o addirittura vegani, oppure vampiri talmente educati da utilizzare le sacche di sangue degli ospedali pur di non mordere sul collo le loro vittime, vittime per lo più consenzienti, o addirittura vampiri che utilizzano un sanguee artificiale di nuova concezione. I vampiri sono diventati una specie di gruppo di minoranza perseguitato, particolarmente attenti a non urtare la sensibilità delle persone “normali”, in cerca di una qualche forma di accettazione sociale: radical chic insomma, che si alzano nottetempo da comode tombe foderate di raso per proclamare i loro diritti civili. Prepariamoci dunque ad assistere a manifestazioni di protesta dei vampiri, o al Vampyr Pride

Il Libro di de Ceglia mostra come la figura del vampiro muova i suoi primi passi dalle vicende inquietanti documentate in un oscuro villaggio serbo nei primi decenni del XVIII secolo, e da lì il fenomeno mediatico conquista l’intera Europa, si afferma in campo letterario grazie all’opera di Bram Stoker, per poi attraversare l’Atlantico, assorbire alcuni elementi del Satanismo (tratti dalle opere di Alastair Crowley, da La Bibbia Satanica di Anton LaVey e dal Necronomicon di H. P. Lovecraft) e diventare un fenomeno globale. Migliaia di visitatori si recano ogni anno al castello di Bran in Transilvania, nella speranza di scorgere aggirarsi nel suo antico maniero la figura del Conte Dracula avvolto nel solito mantello. C’è perfino qualcuno che qualche anno fa ha proposto di trasformare una grande area boscosa della Transilvania in un enorme parco di divertimenti a tema denominato Dracula Land, proposta che ha suscitato le immediate proteste di Greenpeace e dure prese di posizione da parte dell’UNESCO. In Germania, a Schenkendorf, nel Brandeburgo, il Conte Ottomar Rudolphe Vlad Dracul Kretzulescu, ultimo discendente conosciuto di Vlad Dracul, ha fondato il Regno di Dracula, una repubblica utopica (o distopica, come preferite), con tanto di museo, in cui la pressione fiscale è straordinariamente bassa. Si potrebbe affermare, scherzando, che nel Regno di Dracula vi prelevano il sangue, ma questo prelievo è compensato da un regime fiscale che vi consente di sopravvivere.

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De Ceglia ci dimostra che l’origine dei vampiri è più complessa di quanto si pensi, che non è possibile cavarsela con il solito stereotipo del pipistrello succhiasangue, ma che i vampiri hanno un’origine molto più antica, risalente all’antica Grecia e dal folklore di alcune regioni di confine situate nei Balcani, nelle terre dei macedoni, dei serbi o dei Morlacchi: insomma, non riusciremo a sbarazzarcene tanto facilmente. All’origine i vampiri – spiega de Ceglia, utilizzando uno stile accattivante che non disdegna i giochi di parole e i calembours – non erano affatto pipistrelli, e neanche bevevano il sangue, anzi erano creature in carne ed ossa che ritornavano dalla tomba, si cibavano di altri cadaveri o al più dei loro stessi sudari, e si introducevano nottetempo nelle abitazioni per perseguitare i vivi, trasformandoli a loro volta in vampiri.

De Ceglia risale alle origini del mito, ai primi casi documentati di vampiri nella nostra epoca moderna, casi i cui protagonisti appaiono ben lontani dall’iconografia classica. Si tratta tecnicamente non di vampiri nel senso classico del termine, ma di ritornanti, morti che non si rassegnano a morire e tornano dalla tomba. Il vampiro classico deriva invece da quei personaggi tipici dell’iconografia stabilita in ambito letterario, da La Sposa di Corinto di Goethe, dal Vampiro di Polidori, dalla Carmilla di  Le Fanu, dal Dracula di Bram Stoker e, successivamente, da centinaia di film sui vampiri, sui licantropi, sugli zombi, e in alcuni capolavori della storia del cinema, come Nosferatu il vampiro (1922) di Murnau, Vampyr (1932) di Dreyer (un fotogramma è riprodotto sulla copertina del volume) e Nosferatu, il principe della notte (1979) di Herzog. I ritornanti, invece, sono defunti che defunti non sono, sono dei non-morti, dei nosferatu che a partire dalla fine dell’Ottocento cominciano ad acquisire dei quarti di nobiltà e il cosiddetto sangue blu.

Insomma, de Ceglia ha scoperto nel corso delle sue ricerche storiche che c’è tutta una pubblicistica che precede le opere letterarie sui vampiri, una pubblicistica che di letterario ha ben poco. Ci fu un periodo, nei primi decenni del Settecento, il Secolo dei Lumi, ma a questo punto anche il Secolo dei Vampiri, in cui individuare i vampiri era – soprattutto nell’Europa centro-orientale – una questione di vita o di morte, distruggerli era essenziale per salvaguardare intere comunità, forse le fondamenta stesse della cristianità e dell’Impero Asburgico. E non vale il discorso che fossero tutte superstizioni, facilmente riconducibili a cause naturali, a malattie e a reazioni chimiche ben note: questo volume dimostra ancora una volta la forza delle parole nella Storia e, per così dire, la grande capacità mitopoietica della credenza in una figura – il vampiro – che appare inestricabilmente connessa alla nostra civiltà moderna, perché deriva da una delle pratiche essenziali che segnano il passaggio dalla Preistoria alla civiltà vera e propria, la pratica di inumare i defunti. Non c’è cultura senza sepoltura, come si suol dire. Dunque il “vampiro-ritornante” diventa un tipico prodotto culturale, nasce dalle nostre paure ancestrali ed è reso possibile dalla pratica di inumare i propri cari defunti. Questa pratica, che risalirebbe addirittura ai Neanderthal, sarebbe alla base delle “diceria del vampiro” (titolo di un famoso trattato del pastore luterano Michael Ranfft, pubblicato nel 1725), cioè della possibilità che un defunto-masticatore potesse ritornare dal mondo dei morti per tormentare i vivi. Dunque, proseguendo nel nostro ragionamento deduttivo, non c’è cultura senza vampiri. Del resto la cultura odierna è ossessionata dai vampiri, forse anche per un’altra ossessione odierna, il terrore di invecchiare, che ci pervade tutti. I principali esponenti della nostra società vengono spesso ricondotti all’iconografia classica del vampiro. Gli accademici? Tutti vampiri. I professori? Idem. I politici vampiri? Oramai è un luogo comune… la politica è diventata una macchina infernale, un tritacarne che ha continuamente bisogno di carne e di sangue freschi. I critici letterari? Nient’altro che vampiri che si cibano di brandelli di opere morte, scritte da personaggi morti da lungo tempo, che vengono dalla critica riabilitati e “riesumati”. Gli scrittori e gli artisti? Non ne parliamo neanche… A questa lunga schiera dobbiamo aggiungere gli avvocati, i banchieri, gli assicuratori, i raiders finanziari, gli esattori delle tasse, i dittatori (Mussolini, ad esempio, fu riesumato e il suo cadavere trafugato), i massoni (a questo proposito vedi il nostro articolo sui Orazioni Funebri per Vampiri Illustri o Vampiri di Rito Scozzese. Riflessioni a margine di L’Accusa del sangue di Furio Jesi, i cospiratori, le sette che governano il mondo.

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La storia del vampiro non inizia affatto con le opere di Goethe, Polidori, Le Fanu e Stoker, ma è ben più complessa e ramificata, anche se l’immagine del vampiro che conosciamo, cioè il pipistrello che si nutre del sangue delle proprie vittime, è quella letteraria. La letteratura ha vinto sul folklore. Anche l’associazione tra il personaggio storico di Vlad Dracul, anzi Vlad Tepes III l’Impalatore, il celebre Voivoda della Transilvania che fermò l’avanzata dei Turchi nei Balcani nel XV Secolo, e il vampiro succhiasangue, sarebbe una faccenda totalmente inventata, una creazione letteraria di Bram Stoker ispirata dal famoso libro di Emily Gerard sulle leggende, o superstizioni, della Transilvania.

Anche gli errori fanno la Storia. Si parte da un errore di Linneo, che definì vampiri (pteropus vampyrus) i grandi pipistrelli asiatici, che però non si nutrivano affatto di sangue, anzi erano frugivori, mentre i pipistrelli ematofagi sono quelli – più piccoli – che troviamo in Sudamerica. Successivamente, i grandi pipistrelli asiatici, le cosiddette volpi volanti, sono stati riabilitati, fino a quando, in epoca più recente, qualche studioso di epidemiologia ha ricostruito l’origine di alcuni dei più terribili virus che hanno funestato l’umanità a partire dall’inizio del Terzo Millennio, come il Coronavirus e l’Hendra Virus, che a quanto pare hanno compiuto il salto di specie, il cosiddetto spillover, dall’animale ospite, il pipistrello, tramite il cavallo (altro animale carico di implicazioni mitologiche), all’uomo. Il pipistrello, anche quello frugivoro, apparentemente innocuo, continua a trasmettere qualcosa di estremamente negativo, anzi letale, per l’uomo.

Si arriva a un punto – appena accennato da de Ceglia nell’ultima parte del suo libro – in cui il mito del vampiro si fonde con una nuova figura che si affaccia alla ribalta della modernità, la figura del serial killer, il cui capostipite, Jack lo Squartatore, contemporaneo di Bram Stoker, era anch’egli affascinato dal sangue delle sue vittime, e non disdegnava di mangiarne i reni, fino a Peter Kurten, il serial killer vampiro che operò in Germania fino agli anni Trenta, cui Fritz Lang si ispirò per il suo capolavoro M il Mostro di Dusseldorf (1931). Ormai certo della sua condanna a morte, Kurten espresse in punto di morte il desiderio di poter ascoltare per l’ultima volta il fruscio del suo sangue nel momento in cui il boia gli avrebbe tagliato la testa. Ancora oggi, il fascino del sangue continua a fare vittime.

Con la figura del serial killer, che spesso è egli stesso un vampiro, e dunque si ciba del sangue delle sue vittime, si verifica una sorta di cortocircuito: abbiamo una figura letteraria, sviluppatasi dal folklore, che dopo più di un secolo è diventata personaggio reale. Le cronache di questi ultimi decenni hanno raccontato storie inquietanti di moltissimi serial killer odierni, che spesso hanno fondato delle vere e proprie sette, che bevevano il sangue delle loro vittime e ne mangiavano le carni senza provare alcun senso di colpa. È inutile che ci illudiamo, è il monito di de Ceglia: possiamo anche non credere nei vampiri, ma i vampiri credono in noi. Anche se siamo fermamente convinti che i vampiri non esistano, oramai è fatta: I vampiri esistono, eccome. Il mondo contemporaneo è pieno di persone mentalmente disturbate che si credono vampiri, o aspiranti tali. Alcuni, purtroppo, arrivano al punto di realizzare le loro macabre fantasie. La superstizione del vampiro, basata su fatti totalmente inventati, su paure ancestrali prive di qualsiasi fondamento scientifico, si è avverata. Dice bene de Ceglia: i vampiri siamo noi, i vampiri ci interrogano sulla nostra essenza più profonda.

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I vampiri si collegano a quei personaggi del folklore dell’Europa Centro-orientale – o addirittura greco o macedone – che prima di questo libro, e prima del Festival di Venezia erano per lo più ignoti al grande pubblico, tranne che ad alcuni addetti ai lavori, come i vroukolakas, o vurkolak, vrykolak, vorvolak o vourdalak, italianizzato in vrucolago o vilcolaco o addirittura brucolaco, come nella versione italiana di un famoso film con Boris Karloff, Il vampiro dell’isola (Isle of the Dead, 1945). O come il protagonista di un racconto dello scrittore sovietico Aleksej Konstantinovic Tolstoj, discendente di Lev Tolstoj, che ha ispirato il recente film Le Vourdalak di Adrien Beau, protagonista alla Settimana della Critica del Festival di Venezia. Dopo secoli di oblio, o di morte apparente, i Vourdalak sono tornati a sconvolgere le nostre comunità. Il capostipite dei vampiri è tornato per rivendicare il suo ruolo nella Storia e in quell’immaginario che ha fatto la Storia.

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Un tempo, quando si sospettava che il defunto fosse un vampiro, ci si sporcava le mani, si decideva di andare al camposanto e di disseppellire il cadavere sospetto e, qualora venisse scoperto indecomposto, si procedeva a conficcargli nel petto un paletto che poteva essere realizzato con vari tipi di legno (di solito di frassino, ma de Ceglia documenta anche l’uso di paletti di biancospino o di quercia), si procedeva all’estrazione del cuore del defunto e alla sua incinerazione, se non addirittura al rogo dell’intero cadavere. Questo studio di de Ceglia è anche uno studio su un tratto fondamentale che sta alla base della nascita della cultura propriamente detta nell’età preistorica, fin dall’epoca dei Neanderthal, la pratica dell’inumazione, che si affermò soprattutto in Europa centro-meridionale, mentre le popolazioni nordiche continuarono a preferire per molto tempo le pire funerarie. Quindi quando la comunità era minacciata dai ritornanti, si doveva prendere un paletto di legno e la vanga, andare al cimitero, riesumare il cadavere – ma molto spesso era necessario riesumare decine di cadaveri, fino a quando non si trovava quello giusto – e impalarlo e/o bruciarlo per assicurarsi della sua definitiva uscita di scena. E quando quei cadaveri venivano trafitti emanavano odori oltremodo sgradevoli, emettevano spaventosi sibili o addirittura fischi, dovuti alla presenza di gas di decomposizione, oppure spruzzavano all’intorno orrendi schizzi di una poltiglia nerastra che, secondo la medicina dell’epoca, poteva avere effetti benefici sulle persone che se ne cospargevano o che addirittura se ne nutrivano.

Divertente la digressione che de Ceglia fa sul medicinale mumia, dalle “straordinarie” proprietà medicamentose, che era ancora in vendita presso la Merck & Co. fino a qualche decennio fa. Per chi fosse interessato… Un’altra gustosa digressione para-etimologica è quella con cui de Ceglia spiega l’origine del termine inglese bombastic, che deriverebbe (ma è tutt’altro che certo) da uno dei nomi di Paracelso, cioè Filippo Aureolo Teofrasto Bombasto von Hohenheim, un personaggio che è intervenuto anche nel dibattito sui vampiri spiegando come si possa creare un omunculus e farlo sviluppare nutrendolo di sangue umano, un personaggio che – al di là dell’origine più o meno attendibile di uno dei suoi nomi – certamente non soffriva di mancanza di autostima.

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Un discorso a parte merita tutta la tematica relativa al saper distinguere nettamente il corpo indecomposto perché santo e il corpo indecomposto perché vampirico, una distinzione essenziale per la Chiesa, che non voleva certo confondere i suoi santi indecomposti con i ritornanti vampirici. E infatti a qualche filosofo illuminista del Settecento, sulla scia del dibattito sui vampiri e sui casi di morte apparente – e de Ceglia non manca di riprendere questa audace ipotesi – venne perfino in mente di affermare che la vicenda della morte e della resurrezione di Cristo non fosse altro che un caso di morte apparente… affermazione pericolosissima, che avrebbe minato le fondamenta stesse della cristianità. De Ceglia mostra il grande dispendio di energie intellettuali che furono dedicate a dirimere la questione, un acceso dibattito che portò alla trasformazione di alcuni celebri trattati di teologia in veri e propri bestsellers, letti avidamente proprio per consumare quelle storie horror che essi avevano in animo di confutare. Alcune indagini sui ritornanti commissionate dalla Chiesa di Roma o addirittura dall’imperatrice Maria Teresa ad alcuni illustri medici e teologi, tra cui Dom Augustin Calmet e Giuseppe Davanzati, indagini scritte e pubblicate con l’intento di dimostrare che le storie dei ritornanti non erano nient’altro che assurde superstizioni, si trasformarono nelle più efficaci raccolte di racconti horror dell’epoca. Sarebbe interessante a questo punto un’analisi, che in Vampyr è soltanto accennata, dell’influsso che questi racconti del folklore balcanico ebbero sulla nascita del genere del romanzo gotico e del racconto dell’orrore.

Si parte da antichi testi greci che parlano dei vulkolakoi o vroukolakas, ai trattati del Sei-Settecento che parlano dei vilcolaci. Si parte da un antico manoscritto del 1047 proveniente dalla ‘Rus di Kiev in cui compare il termine upir, anzi upir lichoj, una specie di lupo mannaro, e si approda ai fatti di Medvedja (tra l’autunno del 1731 e l’inverno del 1732), un paesino della Serbia situato ai confini orientali dell’impero austroungarico, terre riconquistate da poco all’impero ottomano, grazie ai quali le storie dei vampiri, vampiri all’epoca privi di quarti di nobiltà e poco interessati al sangue, cominciano a diffondersi in tutta Europa, diventando un vero e proprio caso mediatico, cioè un vero e proprio fenomeno di massa che calamitò per decenni l’attenzione dell’opinione pubblica.

A partire dai primi decenni del Settecento, il vampiro si è preso la scena, ha cominciato a popolare i nostri sogni, ad alimentare le nostre paure, e non ha alcuna intenzione di andarsene, di ritornare nel suo sepolcro, nella sua tomba inquieta. Ogni volta che ci rechiamo al cimitero, magari suggestionati dalle nostre letture sui vampiri, proviamo questa strana paura che i morti possano risollevarsi dai loro sepolcri, ritornare dalle loro tombe. Secondo quei famosi episodi riportarti da de Ceglia nella sua attenta ricostruzione storica, non esiste più una distinzione netta tra il Mondo dei Vivi e il Mondo dei Morti. All’inizio del Settecento, le massime autorità della Chiesa e dell’impero asburgico cominciarono a preoccuparsi di quello che si stava trasformando in un problema di ordine pubblico e politico, che rendeva difficoltosa la gestione del potere. Le zone liminari, per definizione, sfuggono al controllo del potere. Ecco perché il potere, soprattutto in Occidente, ha sempre avvertito la necessità di definire con esattezza i confini di questa zona grigia. In tempi più recenti, la strategia è cambiata: invece di confutare, si è cercato di strumentalizzare la figura del ritornante-vampiro, di utilizzare queste paure ancestrali per mantenere e rafforzare il potere. Parafrasando un ben noto personaggio della cronaca nera di questi anni, un personaggio che ha vissuto nella zona grigia tra il mondo di sopra e il mondo di sotto, e che di sottosuolo e di “Terra di Mezzo” se ne intende: “Ci sono i vivi di sopra e ci sono i morti di sotto, e in mezzo ci siamo noi, i non-morti.” I ritornanti politici – a differenza dei protagonisti delle vicende ricostruite da de Ceglia in Vampyr – sono molto utili al potere odierno, sia da vivi che da morti. Ma diventano oltremodo utili soprattutto da non-morti.