Luc Lang, il Cacciatore

Luc Lang, La tentazione, tr. Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy, pp. 288, euro 19,00 stampa, euro 8,99 epub

François è un affermato chirurgo che ama andare a caccia nei boschi limitrofi l’elegante tenuta appartenente alla sua famiglia da generazioni. Una sera, il perfetto cervo a sedici punte che insegue dall’anno precedente si trova alla giusta distanza dalla sua postazione, lui si prepara a sparare ma, al posto della fredda concentrazione che normalmente accompagna il gesto, François avverte nella mano una minuscola e impercettibile esitazione: la pallottola colpisce il cervo senza ucciderlo e il cacciatore, invece di finire la preda, decide di portarla a casa con sé e curarla. François non sa ancora che da quel momento la sua vita e il mondo come li ha conosciuti fino ad allora cominceranno a sgretolarsi, le certezze si tramuteranno in dubbi, il passato riaffiorerà in moti inaspettati e nuove interpretazioni della realtà si affacceranno prepotenti.

Tornato alla tenuta con il cervo, vi trova suo figlio Mathieu, venuto a trovarlo di passaggio. François instaura con lui una conversazione apparentemente posata che tradisce un’aggressività nascosta, dove le parole sono affilate, cariche di sottintesi, colme di un’ostilità trattenuta che sembra attendere soltanto una miccia per esplodere. A fare da detonatore sarà Mathilde, la sorella di Mathieu che François è convinto di aver intravisto quella stessa sera a bordo di un’auto che aveva rischiato di investire il suo cervo, seduta accanto a un uomo in una smorfia di paura e dolore. La comparsa di Mathilde segna un cambio di tono nel romanzo, che da opera tesa a indagare i conflitti generazionali e i valori che al contempo legano e oppongono passato e futuro, si tramuta in un romanzo d’azione che lascia con il fiato sospeso.

Luc Lang, in questo romanzo vincitore del Prix Médecis 2019, riesce a mantenere salda l’unità dell’opera grazie a un’assoluta padronanza linguistica, che gli permette di aggiungere complessità senza perdere in eleganza: sono pagine dalla prosa esatta in cui ogni parola si pone come il risultato di una scelta ponderata e mai casuale (e qui sicuramente va notata anche la sapiente traduzione di Tommaso Gurrieri), il cui risultato è un perfetto equilibrismo di stile, indagine introspettiva e suspense narrativa.

Gli eventi si rincorrono veloci – talmente veloci che alla fine di ognuna delle tre parti costituenti l’opera il narratore torna indietro, come un cacciatore che ripercorra a ritroso le tracce della sua preda, riavvolgendo il racconto con altri particolari decisivi e concentrandosi su dettagli prima taciuti tanto da allargare l’orizzonte spazio-temporale in cui si muovono i protagonisti. Se in un primo momento François era convinto di abitare pienamente il presente, l’istante esatto della caccia e della chirurgia, e di rappresentare in qualche modo i valori propri dell’oggi (lo studio, il lavoro, la fiducia nella scienza, l’amore per la tecnica), nel confronto con i propri figli dovrà fare i conti con il sentirsi una volta per tutte superato, appartenente al passato, mentre loro, abbagliati dal denaro e da passioni distruttive, sembrano incarnare alla perfezione quel futuro che lui tanto disapprova e teme.

I contrasti si inaspriscono e marcano il progressivo allontanamento non solo tra padre e figli, ma anche quello, senza ritorno, dell’uomo contemporaneo dalla natura che lo circonda. Una natura in cui il conflitto non è assente, anzi, ma segue regole ben precise che, pur non risparmiando la violenza, sembrano inglobarla all’interno di un avanzato sistema che mira a preservare sé stesso: nell’osservare una lotta tra cervi, “François rimane ancora una volta sconcertato nel vedere quanto la saggezza della specie vegli nel cuore del più accanito combattimento facendo sì che cessi prima di una violenza che diventerebbe mortale. […] Lo scontro si ferma sempre prima, non si tratta di uccidere, ma di ritualizzare la dominazione”.

La violenza umana che si fa strada nel romanzo di Lang appare al contrario tanto più gratuita in quanto l’autore, di fronte a un mistero che genererà sparatorie degne dei migliori western, non sembra troppo interessato a risalire ai motivi che portano a quegli spargimenti di sangue, i quali altro non sono che il prevedibile risultato di una società vacua come i valori che la dominano. Lang racconta la disillusione, la spietatezza dell’uomo contemporaneo, sperduto sovrano di un regno in cui le ricchezze sono intangibili (“ciò che conta è possedere l’uso del denaro e aumentarne il volume […] Devi controllare le ricchezze, avere il godimento dei beni ma evitare di possederli direttamente”) e i sentimenti furiosi, un mondo in cui anche la religione – a dispetto degli slanci mistici della moglie Maria – è in realtà vissuta come appiglio e giustificazione. Lang racconta l’aridità della società occidentale con una spietata lucidità che tuttavia, nel momento in cui il protagonista è tentato di cedere a una nuova visione della propria vita, del proprio io, si trasforma in una tenerezza disarmante, capace di riaccendere una piccola lanterna accogliente nel freddo cinismo che ci circonda. Come la luce che il padre di François, medico di paese, lasciava accesa tutta la notte nell’atrio per segnalare la sua presenza a chiunque ne avesse avuto bisogno.