Valutare il romanzo di esordio della statunitense Arkady Martine in quanto space opera รจ piuttosto difficile, nonostante proprio sotto tale etichetta il volume sia generalmente proposto. Non fa eccezione Mondadori, che ha portato in Italia il romanzo a tre anni di distanza dalla sua pubblicazione americana, in un periodo in cui tale filone della fantascienza sta vivendo un periodo relativamente fortunato, grazie soprattutto al successo in sala della piรน recente incarnazione cinematografica di Dune. Piuttosto difficile, dicevo, perchรฉ il romanzo di Martine, che nel 2020 ha valso allโautrice il premio Hugo e il premio Compton Crook, presenta davvero pochi dei tratti che caratterizzano il sottogenere della space opera: non racconta, ad esempio, di nessuna odissea spaziale, anzi evita deliberatamente di riferire โ facendo ricorso a unโampia ellissi โ dettagli di sorta sullโunico viaggio interplanetario a cui si fa rifermento nel corso della narrazione, cosรฌ come non indugia su alcuna battaglia spaziale, nonostante delinei nelle sue pagine un imminente conflitto di proporzioni galattiche; lโavventura, lโesplorazione, lโelemento romantico (โl’arme, gli amori, le cortesie, lโaudaci impreseโ, per dirla con lโAriosto) sono lasciati ai margini della storia, che si presenta, nella sua essenzialitร narrativa, piรน come un thriller politico a sfondo fantascientifico che come unโopera di fantascienza tout-court. Questo perchรฉ lโelemento immaginario-futuristico appare nellโeconomia del racconto del tutto accessorio, una scelta ben poco incidente sugli eventi narrati, che potrebbero benissimo funzionare allโinterno di unโambientazione storica. Piรน volte, leggendo, si ha anzi lโimpulso di accostare lโimpero galattico descritto al declino delle grandi egemonie della storia antica, al tardo Impero romano o meglio ancora allโImpero bizantino. Non sorprende, in tal senso, scoprire che lโautrice รจ anche una ricercatrice specializzata in storia bizantina, e che la stesura del romanzo ha avuto luogo proprio negli anni di studio universitario.
Cโรจ molto di Bisanzio nel decadente impero immaginario descritto nel romanzo, il Teixcalaan, con il suo centro politico e sacro, una ecumenopoli di proporzioni planetarie indicata con un termine che esprime significativamente sia il concetto di mondo che di cittร , con i suoi giochi di potere, i suoi intrighi di palazzo elevati a forma dโarte, con il linguaggio artificiale e affettato degli abitanti, organizzato su rigide regole metriche, ambiguo nella sua poeticitร . Martine delinea in maniera efficace una realtร millenaria, ricca di fascino e di mistero, unโambientazione vasta e sfaccettata di cui la narrazione ci permette di scalfire solo la superficie marcescente. La forza del romanzo sta proprio nella capacitร di spalancare una finestra su una dimensione profonda, credibile, aliena e familiare allo stesso tempo, e di farlo giร dalle primissime pagine, senza ricorrere a interminabili descrizioni, mostrando senza raccontare, grazie allโintelligente espediente di calare il lettore nei panni di una protagonista a sua volta estranea a tale scenario: lโambasciatrice Mahit Dzmare, una barbara che si lascia inghiottire dallโimpero teixcalaanliano per far luce sul misterioso omicidio del suo predecessore, un delitto che sembra celare dietro di sรฉ uno scontro di poteri capace di portare al collasso lโintero assetto politico dellโuniverso conosciuto.
Il giallo attorno a cui ruota lโintera vicenda รจ avvincente, con diversi colpi di scena ben costruiti, ma resta comunque, a confronto del raffinato worldbuilding portato avanti da Martine, la parte meno memorabile del romanzo. Gli affettati distici attraverso cui i personaggi intessono i loro nefandi intrighi, lโaffascinante onomastica utilizzata dai teixcalaanliani (sempre composta da un numero e il nome di un fiore), lโanima senziente della Cittร , considerata unโemanazione dello stesso volere dellโimperatore, in poche parole la grande cura che lโautrice ha posto nel rendere allo stesso tempo sorprendente e verosimile il suo universo narrativo, punta di un iceberg che si intuisce immenso (e che nei prossimi libri della serie avrร certamente modo di rivelarsi), conferisce alla narrazione un respiro grandioso, questo sรฌ, proprio della migliore space opera.