Luis Reynaldo Pérez / Calibano a Santo Domingo

Luis Reynaldo Pérez, Infami, tr. di Barbara Flak Stizzoli, Arcoiris, pp. 100, euro 10,00 stampa

Mi è capitato più volte, su queste colonne virtuali, di parlare della collana “Gli eccentrici” della casa editrice campana Arcoiris – in virtù del continuo lavoro di scoperta e diffusione di una letteratura latinoamericana anche molto diversa da quella tradotta da altre case editrici (Mario Bellatín, Alberto Laiseca e Felipe Polleri, tra i primi nomi imprescindibili) – ma altrettanto meritoria è un’altra collana della casa editrice, “Caribe”, interamente dedicata, come indica chiaramente il nome, alle letterature caraibiche in lingua spagnola. Ed è in questa seconda collana che Infami del dominicano Luis Reynaldo Pérez si va ad aggiungere ad alcuni libri di conterranei altrettanto giovani, ma già di preziosa lettura, come Johan Mijail con Chapeo (2022) o Sandra Tavárez con Uccidiamo Laura (2024), illuminando una nuova faccia del prisma caraibico contemporaneo.

Sempre che di illuminazione si possa parlare per un libro nero, nerissimo, il cui tessuto di storie oscure, abitate da personaggi variamente “infami”, come vuole il titolo, «resiste alle stereotipe e superate opposizioni tra narrazione magico-lussureggiante latinoamericana, da una parte, e romanzo nero statunitense dall’altro», mescolandole di continuo (anche se con un’attitudine che, a tratti, si rivela marcatamente yankee per talune scene e stilemi). La citazione tra virgolette riporta le parole, incluse nel volume, di Silvia Tebaldi, autrice di una densa e affascinante prefazione dove l’opera di Pérez viene attraversata con grande acume dalla prima all’ultima riga, ovvero dalla fossa comune che si apre nel brevissimo racconto intitolato “Cartolina dell’ultimo istante”, fino alla fuga con cui si chiude l’ultimo, “Il profumo” (titolo che peraltro viene da una canzone di Rita Indiana, una delle poche altre voci dominicane rese disponibili in italiano, da NN Editore).

In tutti questi racconti – dalla misura variabile, ma tendenti spesso alla forma brevissima – Tebaldi intravvede la tentazione del romanzo, disseminato nelle varie sfaccettature di un prisma che, dunque, rifletterebbe a propria volta il più vasto prisma caraibico. Ed è probabile che sia così, pensando ad esempio alla ricorrenza di alcuni personaggi, come lo “Squalo” o “Carlitos Scotch”; tuttavia, il personaggio che ritorna con maggiore frequenza è la morte stessa, e non solo per effetto degli omicidi che accrescono la scia nera del libro: «libro di lutto, Infami, e di condivisione del ricordo: libro trasformativo, quindi», scrive, ancora molto puntualmente, Tebaldi.

Allo stesso tempo – e nonostante Tebaldi citi a supporto un affascinante scritto del 2024 di Martina Maccianti che si consiglia di recuperare online (“Processioni invisibili e funerali sonici”, per la rivista In allarmata radura) – l’elaborazione del lutto non pare mai essere completa, iniziando del resto, come si è ricordato, sulla soglia di una fossa comune e terminando con una fuga. Tanti sono anche i campi lunghi e le voci fuori campo: se è pur vero che in un campo lungo «tutto è a fuoco, tutto» – come ricorda Tebaldi citando Professione reporter di Michelangelo Antonioni – ne nasce spesso l’indicazione di una via d’uscita, o di un altrove, rispetto a questa nera ondata mortifera che sembra travolgere Santo Domingo. O forse l‘ha già travolta, perché non sono occasionali i riferimenti a intrighi politici e di potere, dove, ad esempio, la difesa della patria o la repressione delle attività sovversive passa dalla mano svelta di qualche sicario: sono accenni che non vengono poi sviluppati in modo pedissequo, ma contribuiscono a consolidare l’ipotesi di un sotterraneo e più ampio discorso politico-culturale di cui gli “infami” sono, consapevolmente o inconsapevolmente che sia, portatori.

La fuga, si diceva: risiede, se non altro, nella possibilità che ha ognuno dei quindici narratori di Infami di narrare o di fare in modo che sia narrata la propria storia. Ed è anche nella possibilità di maledire qualcuno, o qualcosa, mentre si racconta: «L’inferno è vuoto, tutti i demoni sono qui» è, del resto, la citazione dalla Tempesta di Shakespeare che funge da explicit.

Sono tutti questi demoni, in effetti, a costituire il prisma caraibico di Infami, che è anche, in fondo, un nuovo prisma di Calibano; la lingua imparata dal personaggio shakespeariano e usata per maledire Prospero, il suo nuovo padrone e colonizzatore, si impantana, è vero, in qualche cliché del noir, magari importato dagli invadenti vicini settentrionali – perpetuando così la colonizzazione dell’immaginario – ma è nella violenza forma breve o brevissima, spesso intrinsecamente legata a qualche improvvisa fiammata di stile, che cerca anche una via di fuga.