Marcella e gli “altri”

Bianca Berlinguer, Storia di Marcella che fu Marcello, La nave di Teseo, pp. 107, ill., euro 15,00 stampa, euro 9,99 epub

Marcella Di Folco, e poi Federico Fellini, Cinecittà, vite di scrittori, registi, viveur romani, politici e paparazzi nel folto della “strana” Italia del dopoguerra e del boom. Strada e teatro mischiate sotto il caldo dei riflettori e delle estati romane che si piantavano nella testa di tutti, da nord a sud. E soprattutto Marcello, non Mastroianni chiamato a gran voce dall’Anitona a bagno sotto le statue del Bracci, ma Di Folco, che nell’Italia postbellica della divisione netta dei generi fortissimamente voleva diventare – essere – donna. Con tutta la gioia di vivere che lo spingeva a addentrarsi nelle contraddizioni più acute della propria persona e della nazione in cui viveva. Pochi probabilmente lo identificano nella parte di Umberto di Savoia nel popolarissimo Amarcord, ancora meno come “buttadentro” all’ingresso del Piper, anno 1968: “uno scandalo di gay” alle prese con personaggi che si chiamavano Pravo, Bertè, Zero, Antonioni, Vitti, Lollobrigida, Ferri… e via nominando.

Ma la storia (dolce, cruda e feroce) raccontata a Bianca Berlinguer e fedelmente riportata dalla giornalista in questo terso e sorprendente libretto ha una resa fenomenologica ben più ampia, scopre una realtà personale e sociale vera e appassionante per come viene messa a fuoco nella gran zuppa delle vicende (politiche e di costume) italiane di quelle stagioni. Bianca incontra Marcella (pur conoscendola da qualche anno) al Gay Pride del 1997 a Venezia, dando inizio a una forte amicizia che porta entrambe alla decisione di scrivere un libro sulla vita di una creatura sempre stata “all’avanguardia”, come attore in film importanti e attivista battagliera, con le sue amiche trans, in nome della dignità di tutte e di tutti. Sempre con piena indipendenza in quel “suo regno”, con critiche frontali a debolezze ed errori propri, e critiche coraggiose verso ipocrisie e miopie della società. Bianca Berlinguer ci restituisce la narrazione in prima persona di Marcello, delle lotte che lo portarono a diventare Marcella dopo l’intervento chirurgico a Casablanca nel 1980. Non certo per dare spazio a una omosessualità inesistente, ma per liberare un profondo “sentirsi donna” e tentare di raggiungere “un certo equilibrio mentale”. Il capitolo dedicato alla battaglia per diventare donna è una tappa che nessun lettore dovrebbe lasciar perdere, lì s’intensifica la percezione di alcune verità nascoste ma selvaggiamente veritiere. Nessuna delle due amiche poteva pensare che questo libro sarebbe uscito postumo: Marcella è morta a causa di un cancro al colon nel 2010. La giunonica Marcella Di Folco aveva perso l’ultima battaglia, nella chiesa di Sant’Antonio di Padova si concludeva la sua storia terrena.

La corrente dei ricordi si avvia ai Parioli, nascita durante la guerra da padre borghese e madre di origini modeste, la sorella Lilli più grande di tre anni, infanzia d’innamoramenti per ragazzine che “facevano le porcherie” e atteggiamenti smielati “proprio da checca, come si dice a Roma”, su su verso l’idea sempre più forte “di essere donna”. Turbolenze svariate e doppia vita divisa fra mattinate scolastiche e serate in Via Veneto mentre Wanda Osiris sghignazzava al Café de Paris fra la mondanità dei novelli playboy e i lazzi di Walter Chiari e Raimondo Vianello. Anni Cinquanta e Sessanta in cui già si faceva sentire Giò Stajano con la sua storia della realtà omosessuale dell’epoca. Da lì al Teatro Cinque il passo è breve, Fellini nota Marcella aggirarsi tra i figuranti e per ventimila lire la mette sul set del Satyricon. Poi ci furono altri registi e altri film più o meno convenzionali. L’esistenza è condotta tra struggimenti, violente ondate corporali causate dagli ormoni e momenti di dolcezza nell’indossare calze velate e abiti femminili. L’apoteosi viene raggiunta con l’intervento chirurgico, e le conseguenti traversie per arrivare alla faticosa guarigione. Minigonne esaltanti la bellezza delle gambe (“di cui andavo orgogliosissima”), ma ci vuole coraggio per far capire che non si è più uomo e soprattutto esprimere quel che si è veramente e non quel che vogliono gli altri. La prostituzione per Marcella fa ugualmente parte di questo viaggio, nascendo da un bisogno molto pratico e quotidiano: la strada è il ripetitivo e crudissimo modo che fa campare. A Berlinguer, d’altro canto, Marcella racconta di aver molto amato, e di essere stata una grande conquistatrice, in ogni città in cui ha vissuto e nelle spericolate vacanze in Marocco dove spese sempre tutti i suoi denari ma con l’immensa soddisfazione di sentirsi ammirata nella sua djellaba d’organza leggerissima con spacco fino alla vita: un paradiso. Sentirsi diva e viva era necessario ancor più che inebriante.

L’età che avanza, i problemi di salute, ma soprattutto la militanza politica, rendono sempre più coinvolgenti le questioni che da sempre sono il cardine dell’esistenza di Marcella: i ruoli di primo piano nel Movimento, la vicinanza al Partito Radicale, possiedono e misurano la sua forza fino al punto cruciale, e purtroppo finale, della sua vita. Quando, ricoverata in un hospice non lontano da Bologna, confessa all’amica giornalista di reputarsi persona fortunata avendo avuto “una vita di tanto dolore, ma anche di tanto piacere”, dimostra per sempre l’impressionante dignità – senza l’ombra di comode indulgenze – del suo essere trans. Bianca Berlinguer ha trascritto la lunga e generosa fedeltà all’autonomia di uno stato, le traversie di un’identità di genere che dagli anni Cinquanta a oggi è valsa a esempio di combattente civile per tutti gli “altri”.