Anni plumbei

Marta Barone, Città sommersa, Bompiani Editore, pp. 304, euro 18.00 stampa

Città sommersa è il libro di esordio nella narrativa “adulta” di Marta Barone, poco più che trentenne e talentuosa scrittrice torinese. Il libro è uscito appena in tempo per essere candidato al premio Strega, ma non ha raggiunto il ristretto novero dei libri in cinquina (quest’anno sestina) solo per un pugno di voti e una postilla del regolamento che vuole favorire almeno un libro di una casa editrice di piccole dimensioni. Prima di allora, aveva pubblicato solo libri per bambini, ma la sua formazione di scrittrice è resa solida dal suo lavoro come consulente; è traduttrice ed è donna di molte letture.

La città sommersa è un libro intenso, “compatto”. La narrazione persegue il suo obiettivo con impegno e senza distrazioni, d’altro canto è un libro costruito tutto sulle testimonianze dirette e su alcuni documenti processuali e di cronaca.

Parla di uomo, il padre della scrittrice, della sua vita da giovane e di come gli sia capitato di trovarsi al centro di un fatto di terrorismo alla fine degli anni Settanta. Leonardo Barone era un giovane studente pugliese trasferitosi a Roma per studiare medicina. Proprio a Roma durante gli anni della contestazione e delle spinte ideali dei movimenti operai e giovanili, Leonardo inizia la sua militanza in un minuscolo partito marxista leninista che aveva come riferimento il giornale Servire il popolo.

All’interno di quella comunità di militanti, regolata da leggi ferree anche in ambiti di vita privata, Leonardo sposa la prima moglie, lascia gli studi, si trasferisce a Torino e si fa assumere come operaio in FIAT.

Ben presto quell’esperienza politica volge al termine, ma Leonardo, persona generosa e benvoluto da tutti, rimane all’interno dei movimenti studenteschi anche quando, ai loro margini, si fanno luce le prime organizzazioni terroristiche. Ed è così che un giorno il giovane medico viene chiamato per curare il ferito di uno scontro a fuoco e si becca anche lui l’accusa di banda armata, pur essendo in aperta polemica con quei gruppi. La vicenda continua tra carceri e processi fino alla logica conclusione che decreta l’innocenza del giovane ormai diventato uomo.

Ritroviamo cosi Leonardo, con una nuova compagna e con la piccola Marta, conseguire due ulteriori lauree in giurisprudenza e in psicologia. Come padre è un uomo molto diverso da quello che raccontano i suoi amici di quando era giovane. Con la figlia, Leonardo non parla mai del suo passato. Trascorrono gli anni e Marta ha l’impressione di vivere con una figura misteriosa e impenetrabile., finché Leonardo Barone, nel giugno del 2011, muore per un cancro al fegato. Qualche anno dopo Marta inizia a scrivere.

Nasce così un libro in cui si intrecciano due storie, due linee narrative. Da una parte si tratta di cercare di comprendere le proprie origini, far chiarezza e pacificarsi con la figura difficile, forse non amata, certamente non veramente conosciuta, del proprio padre, morto troppo presto e separato dalla madre. Dall’altra la ricostruzione, documenti alla mano, dell’infuocato clima politico e sociale degli anni Settanta e della repressione dei primi Ottanta in cui proprio quel padre si ritrovò coinvolto.

Città sommersa è un libro difficile, che ha la sua forza e il suo limite in una narrazione che cerca di essere obiettiva, di mantenersi neutra nell’affrontare la scoperta degli anni Settanta e Ottanta, nel ricostruire la figura di un uomo particolare, Leonardo Barone, giovane medico che l’autrice indica solo con le iniziali LB o ”il Barone”, come citato nelle carte processuali.

Il cammino inizia con la scoperta e la lettura della memoria difensiva, ritrovata un giorno a casa della madre, e prosegue nella ricerca di persone che avevano conosciuto LB e che fossero così generose da raccontarlo.

Emergono situazioni di gioia e allegria, si ricostruiscono episodi drammatici, si costruisce la cronaca di anni nei confronti dei quali l’estraneità dell’autrice va sempre più assottigliandosi. Nel complesso, si percorrono situazioni non senza una certa cupezza.

Marta Barone è attenta a modificare i nomi dei protagonisti, ma lascia che il lettore condivida la verità completa dei fatti solo quando fa sapere della sua sorpresa nel riconoscere il padre in un famosissimo filmato di Youtube: Roma, marzo 1968. I fascisti occupano Giurisprudenza e tirano dalla finestra banchi e sedie, ferendo Oreste Scalzone, ma colpendo prima lo studente di medicina Leonardo Barone che era accorso davanti a tutti. Lo si vede per qualche secondo mentre due suoi compagni lo portano via a braccia.

È difficile staccare gli occhi e l’attenzione da questo libro molto ben scritto e rigoroso, ma una domanda rimane ancora in chi ora scrive: durante tutto il percorso, per serietà documentativa, Marta Barone ci presenta una serie di personaggi, ben raccontati e ben collocati.

La seguiamo volentieri e con attenzione, ma alle volte vorremmo volgere lo sguardo verso l’autrice, la figlia-autrice, per cogliere qualche emozione in più, qualche riflessione aggiuntiva. Ma, a volte, questo accesso viene negato. E non ci resta che ritirarci rispettosamente senza aver portato a casa nessun giudizio su quella generazione che quando perdeva era portata a raddoppiare la posta.

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