Davvero la letteratura francofona (e di quella particolarissima enclave bilingue franco-fiamminga che è il Belgio) offre una miniera di inaspettate scoperte e di bellissime sorprese nel campo del fantastico: la tradizione culturale e figurativa che da Bosch e Bruegel risale fino ai Simbolisti e poi ai Surrealisti è indelebile e potentissima in quei luoghi magici compresi fra la Bretagna, la Normandia e le Fiandre. Agenzia Alcatraz si è proposta di esplorarla a fondo, tradurla e diffonderla in Italia, come sta facendo egregiamente da qualche anno. La sua uscita più recente ne è un fulgido esempio: un libro, La colère végétale, che quando uscì nel lontano 1954 – brillante esordio letterario di una ragazza allora venticinquenne, Monique Watteau – fu definito giustamente da una critica letteraria, l’originale creazione di un nouveau fantastique, e rischiò di vincere il prestigioso Prix des Critiques. Il premio fu assegnato invece a un’altra giovanissima esordiente di talento, Françoise Sagan per Bonjour tristesse, anche perché venne fuori che Monique aveva posato nuda per un servizio fotografico – cosa che allora faceva ancora scandalo, pur nella Francia degli anni di Brigitte Bardot.
In effetti, oltre al suo romanzo, anche l’autrice era ed è ancora, un personaggio assolutamente straordinario. Nata Monique Dubois nel 1929, figlia di Hubert Dubois, poeta e drammaturgo vicino all’ambiente surrealista, dopo aver studiato pittura e teatro a Liegi all’Académie royale des beaux-arts e al Conservatoire royal, aveva lasciato ventenne il Belgio per Parigi, convivendo con Bernard Heuvelmans, di parecchi anni più grande di lei, zoologo e ricercatore famoso come fondatore della pseudoscienza della criptozoologia. Qui aveva lavorato come attrice cinematografica e modella e intrapreso la carriera letteraria sotto lo pseudonimo di Monique Watteau. Al primo romanzo sarebbero seguiti La nuit aux yeux de bête (1956), L’ange à fourrure (1958), e Je suis le ténébreux (1962), testi che consolidarono la sua reputazione fra i principali narratori fantastici di lingua francese (e che speriamo di leggere presto tradotti da Alcatraz). Nel 1961 divorziò da Heuvelmans restando però in ottimi rapporti con lui e continuando a collaborare come artista figurativa ai suoi libri di criptozoologia: si specializzò a tal punto nella materia che il fumettista Hergé, dovendo realizzare l’albo Tintin in Tibet le chiese consulenza sulla ricostruzione grafica di uno yeti.
Nel frattempo, frequentando l’élite intellettuale e mondana parigina – un florilegio di nomi che andavano dall’ormai anziano André Breton a Orson Welles, da Louis Pauwels a Leonor Fini, da Georges Moustaki ad Alain Delon – aveva intrattenuto una lunga relazione sentimentale con il pelatone più sexy di Hollywood, Yul Brynner, che le aveva cambiato nome in Alika, e nel 1968 si era risposata con un altro zoologo ed etologo, Scott Lindbergh, figlio del trasvolatore statunitense Charles Lindbergh, con il quale avviò un grande centro di ricerca in Dordogna specializzato nell’allevamento e nello studio delle scimmie del Sud America. A quel punto però aveva da anni abbandonato la narrativa per dedicarsi, sotto il nuovo nome di Alika Lindbergh, interamente all’attività di pittrice, illustratrice e artista grafica (alcune sue opere arricchiscono questa edizione Alcatraz del romanzo), pubblicando anche un paio di saggi di zoologia – Nous sommes deux dans l’Arche e Quand les singes hurleurs se tairont (tradotto anche in italiano nel 1977 da Longanesi con il titolo di Scimmie come noi) – e nel 2002, la sua autobiografia Le testament d’une fée, oltre che militare dagli anni ’90 ad oggi come attivista in organizzazioni per la difesa dei diritti animali – ad esempio il Cercle national pour la défense de la vie, de la nature, et de l’animal (CNDVNA), a quanto si dice, ahimè, vicina, questa, al Front National di Le Pen.
Ma veniamo al libro. La collera verde è davvero qualcosa di nuovo e profondamente originale nel campo del fantastico: intanto per il potente erotismo e la sensualità travolgente che permea tutto il testo, un eros non edulcorato e rappresentato in termini assai espliciti ma con una prosa talmente lirica e poetica da risultare refrattario a qualunque deriva pornografica; poi per la vivida visionarietà surrealista delle splendide descrizioni – risulta evidente che la scrittrice fosse in parallelo una pittrice di talento – una dimensione figurativa in cui animato e inanimato, flora e fauna, naturale e artificiale si compenetrano e si confondono in grovigli lisergici (il romanzo precede la diffusione degli allucinogeni, ma c’è da sospettare che Monique qualche esperienza diretta in materia psichedelica ce l’avesse…); per l’impianto filosofico della trama, una sorta di rivalsa del regno vegetale contro quello animale, con evidenti richiami al taoismo e soprattutto all’induismo (uno dei comprimari, si lascia intuire, potrebbe essere un’incarnazione di Shiva stesso…); e infine per un orientalismo finalmente tutt’altro che di maniera, con una rappresentazione del tutto credibile – non tanto in termini realistici quanto poetici – dell’isola indonesiana di Bali: avendo avuto la fortuna di visitarla negli anni ’90 (con qualche migliaio di turisti in più rispetto a quella descritta) posso testimoniarlo direttamente.
Un romanzo – ricco di evidenti omaggi alla narrazione fantastica belga: la parte europea della storia si svolge per esempio a Maupertuis, esplicito rimando a Malpertuis, il capolavoro di Jean Ray – con soli quattro personaggi: due protagonisti e due comprimari, uno dei quali è una scimmietta sudamericana (come Boulimie, da Monique posseduta ai tempi della scrittura, e come quelle che, ormai diventata Alika, avrebbe allevato insieme al secondo marito); il protagonista maschile è palesemente un’idealizzazione fantastica dell’allora compagno reale Bernard Heuvelmans (a cui, insieme alla scimmietta Boulimie, è dedicato il libro); la protagonista femminile – una seducente orfana olandese cresciuta a Bali e allevata come una donna del posto – è lei stessa; poi l’Altro, una figura enigmatica e quasi metafisica – forse umana, forse divina – che sovrintende ai fatti senza poterli modificare. Infine la scimmietta, la figlia surrogata della coppia: una triade, spezzata dagli interventi malefici del soprannaturale, che si riunirà solo nella morte, al di là della morte. Perché Amor omnia vincit. E questo è anche, ma forse soprattutto, un romanzo d’amore.