Norman Douglas / L’inglese nel suo dominio

Norman Douglas, Capri. Annotazioni antiquarie, a cura di Giuseppe Balducci, La nave di Teseo, pp. 155, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Norman Douglas andava in giro per trattorie, aveva un metodo raffinato e rigoroso, Arbasino ci ricorda quanta poca simpatia avesse per i critici d’arte e gli sciamani della cultura. Nella luce mediterranea più decisa lascia perdere la folla labirintica dei personaggi che nella sua epoca affollavano Capri. Siamo lontani dal pagano Fersen e dalla villa Malaparte quando Godard girò Le Mépris, (Il disprezzo), tratto dal romanzo di Moravia, dove la Bardot, nuda, impera e tritura gli sguardi hollywoodiani. Lo sguardo antiquario di Douglas, in questo aureo libretto estratto da scritti del primo Novecento in cui la sagacia esplorativa spiega i suoi metodi, scopre e rivela falsità mitologiche in favore dei reperti antichi. Mostra come l’isola possa essere interpellata scovando i frammenti rimasti dai cambiamenti geologici e, soprattutto, le frane causate dal dissodare e sradicare da parte dell’uomo. I profili di tutta l’area sono mutati considerando, altresì, gli spazi vulcanici del golfo di Napoli.

L’eredità dell’isola trova nel viaggiatore Douglas la precisione grazie alla quale i vari culti vengono scoperchiati nella loro quasi certa componente storica. L’isola è troppo varia e frammentata per lasciare che filosofi e poeti si abbeverino soltanto agli “imbrogli dei capresi”. E poi c’è Tiberio, nel suo dominio privato fatto di ville e grotte riarredate, a cui l’inquilino Norman dedica gran parte del suo tempo. Soggiorni che hanno il sapore di una vita intera. Le storie favolose, qui, vengono sconvolte da frane, terremoti, uomini che dissotterrano e ricoprono per intenti usuali, sicché creature come le Sirene e pietre sorte da colorifici naturali si frantumano in mille rivoli. Fra questi reperti scorrazza il nostro antiquario, dimostrando come la seduzione sia cattiva parente della storia archeologica. Si perdono le tracce di opere e idee di valore, Douglas ne è certo, sa che in giro per il mondo ci sono marmi brutti e certamente piccoli frammenti di mosaico. Ma la poderosa e elementare bellezza di Capri ha tempi più lunghi delle leggende moderne. In fondo, dalla Grecia alla romanità è tutta questione di passaggio.

Giovanni Balducci, “praziano” (copyright Manganelli) meticoloso quale è, oltre al felice lavoro di traduzione, ci guida alla somma delle antichità capresi su cui Douglas argomenta mettendo in risalto le svariate caleidoscopie che l’isola presentava in quei decenni, e che oggi risulta difficoltoso rintracciare. Ma non è detto, potrebbe essere necessario attrezzarsi al viaggio fendendo le masse turistiche. Compito arduo, più che modellare i propri interessi sulle sviolinate coloristiche delle grotte. Praz riconosceva in Douglas “uno scrittore di vaglia” per le finezze stilistiche e umoristiche: la sete di conoscenza l’avrà inviso a qualcuno, fra gli abitanti del territorio, ma la storia è storia, il Grand Tour sarà finito ma Balducci anche qui invita a non sentire peregrina l’idea di avventurarsi nelle labirintiche scoperte riunite in queste “annotazioni antiquarie”. Tali sono, copia conforme di ciò che l’isola offriva allo studioso – un inventario di policrome dimensioni.