Ocean Vuong è un giovane scrittore e poeta vietnamita residente negli Stati Uniti, dove si è trasferito all’età di due anni. È uscito quest’anno per Guanda il suo secondo romanzo, L’imperatore della gioia, tradotto da Norman Gobetti, a due anni dalla sua ultima raccolta di poesie Il tempo è una madre (Guanda, 2023). Più che temi ricorrenti, nei lavori di Vuong sembrano esserci dei veri e propri punti cardinali che orientano tutta la sua produzione narrativa e poetica. Il legame con la madre rimane la sua stella polare, attorno alla quale l’America contemporanea in cui Vuong è cresciuto irrompe nel suo cosmo letterario, regalandoci un alto livello di empatia e compassione.
L’imperatore della gioia si svolge in una cittadina immaginaria del Connecticut, chiamata East Gladness, la quale mette in moto un gioco di significati proveniente dal titolo originale inglese, The Emperor of Gladness, dove “gladness” è sia il nome del paese dove vive Hai, sia la “gioia” tradotta in italiano. Hai è un ragazzo di vent’anni con molte speranze e altrettante fragilità. Proviene da una famiglia vietnamita completamente al femminile: cresciuto dalla madre con la nonna, la zia e il cugino autistico Sony, Hai sente un forte legame familiare. La sensibilità che gli permette di vedere e sentire le fragilità del mondo circostante presto lo porta lontano da casa, dopo un accumulo di bugie e mezze verità in cui si sente sepolto.
In procinto di buttarsi da un ponte, Hai conosce un’anziana donna lituana, Grazina, che gli offre un posto dove stare: Hai deve solo assicurarsi che lei prenda le medicine che le servono per ancorarla al mondo presente. Spesso, infatti, Grazina scivola in un passato lontano e in un altro tempo, dove si trova in procinto di lasciare la Lituania per fuggire da Hitler e Stalin. Nei momenti in cui Grazina non trova nessun appiglio in un presente scivoloso e annacquato da una memoria che sta sbiadendo, Hai si inventa il ruolo del sergente Pepper, che sta conducendo la piccola Grazina in salvo verso l’America. Hai diventa, quindi, l’àncora di Grazina nel presente di fine primo decennio del ventunesimo secolo, nello stesso modo in cui anche Grazina riesce ad ancorare un giovane in balìa di sé stesso e di un mondo complesso in cui non capisce che strada sia giusto percorrere.
Una via giusta, però, riesce a trovarla: la via che lo conduce all’HomeMarket, una catena di fast food dove trova lavoro assieme al cugino Sony. L’HomeMarket è, però, anche un luogo di calore, di comprensione e di accoglienza: tutti i dipendenti sono persone che la vita ha, in qualche modo, ferito. C’è Russia, che lavora per mantenere la sorella in un centro di disintossicazione; c’è Maureen, che ha perso il figlio piccolo a causa di una malattia; e c’è Sony, che vive in una casa-famiglia perché la madre è finita in carcere e spera di risparmiare abbastanza per farla uscire. Tra tutti loro si crea un rapporto di fiducia e di solidarietà: tutti hanno perso qualcosa e tutti hanno qualcosa da riscattare, nonostante si senta il peso della recessione economica di quegli anni che non lascerà l’HomeMarket fuori dal suo tocco.
È una gioia fugace, quella che tocca Hai e tutte le vite che entrano nella sua orbita: un breve sorriso con i colleghi, una calda serata con Sony, un pomeriggio passato a impersonarsi un sergente americano in Lituania, una chiamata alla madre, un ricordo felice con la sua famiglia. Ocean Vuong scrive un inno alle piccole cose, orientandosi con i punti cardinali della sua scrittura e seguendo la stella polare dell’amore per la madre: trovare la propria strada; modellarsi per incastrarsi al paese che ci ha accolto, senza dimenticare da dove veniamo; seguire la luce del calore familiare che ci ha creato; perdonarci. Vuong ha una scrittura delicata che non è mai sprezzante né fredda, ma sempre compassionevole ed empatica. Un invito alla sensibilità, perché “la cosa più difficile al mondo è vivere una volta sola”.