Mi ricordo ancora di quando è uscito Ci rivediamo lassù. Nel 2013 aveva vinto il premio Goncourt e rivelato uno scrittore che fino a quel momento era stato, in Francia ma anche altrove, un autore di polar, thriller, noir. C’erano anche state svariate polemiche sulla scrittura alta e bassa, letteraria o di genere, e sugli scrittori che stavano da una parte o dall’altra, o magicamente da tutte e due. Chi l’avrebbe mai detto che da quel romanzo sarebbe nata una sorta di saga, un’epopea capace di seguire il protagonista attraverso la storia della Francia dai primi del Novecento alla fine del secolo, e di tenere insieme le vicende personali di una famiglia e quelle di un paese intero.
Anche Il sol dell’avvenire conserva questa straordinaria capacità. Siamo alla sesta puntata (dopo una trilogia dedicata al periodo tra le due guerre e i primi due volumi della quadrilogia dedicata al secondo dopoguerra), e uso il termine “puntata” deliberatamente, perché a un primo e immediato livello i romanzi di Lemaitre si leggono come si guardano le serie TV: non vedendo l’ora di scoprire come va a finire, trascinati da un accadimento all’altro in una trama tanto complessa e articolata quanto impeccabilmente costruita, senza una sbavatura. Piena di colpi di scena e cambi di direzione.
I personaggi sono gli stessi che abbiamo incontrato nei romanzi precedenti. Non ci sono eroi e non ci sono eroine. Il successo e il denaro sono arrivati nonostante la pochezza e lo squallore dei caratteri, sono frutto di fortuna e caso piuttosto che di abilità, tenacia, convinzione. E per quasi tutti la mancanza di un codice morale, di un’etica personale, sono un ulteriore aggravante. Se ci affezioniamo a qualcuna di queste tristi figure, lo facciamo perché ne riconosciamo l’umanità: un’umanità che non ci piace e che non vorremmo vedere ma che sappiamo esserci e che chiede la nostra comprensione. Prevalgono tuttavia l’antipatia, l’avversione, il fastidio. Che non ci impediscono naturalmente di aver voglia di leggere, anzi. Trovo che sia una straordinaria qualità, di cui è difficile trovare l’eguale, questa di Lemaitre: costruire personaggi al limite dell’insopportabile di cui però non puoi fare a meno di voler sapere tutto.
Ne Il sol dell’avvenire siamo nel 1959 e la famiglia Pelletier è ora tutta in Francia. I figli erano già arrivati a Parigi per conto loro, seguendo ciascuno le proprie inclinazioni (o la loro assenza). François è un giornalista di successo, lavora per un grande quotidiano nazionale e conduce una delle prime trasmissioni televisive di news. Jean, privo di talento e pure di senso degli affari, vittima complice dell’orrenda moglie Geneviève, ha aperto dei negozi di biancheria, ha avuto successo ed è diventato ricco. Hélène lavora alla radio, si sta inventando una trasmissione che funziona alla grande. Sono tutti sposati e hanno dei figli. I vecchi genitori, Louis e Angèle, hanno deciso di lasciare Beirut e prendere una casa di campagna appena fuori da Parigi. La guerra è finita da tempo, la ricostruzione è in corso, il benessere sembra finalmente conquistato e tutti potrebbero vivere felici e tranquilli. Ma la felicità è noiosa da raccontare e non dura mai più di qualche attimo. La pace degli anni Cinquanta, d’altro canto, è funestata dalla guerra fredda e poi dalle minacce nucleari.
E quando Jean, il businessman improvvisato e sempre in imbarazzo, viene invitato a far parte di una delegazione di industriali che andrà in visita a Praga, entra in scena un agente segreto che mette a soqquadro i piani dell’intera famiglia Pelletier. Infatti, quello stesso viaggio sarà utilizzato per far uscire dalla Cecoslovacchia un agente segreto troppo esposto. Di certo Jean non è disinvolto abbastanza, e sarà quindi suo fratello François a partire per Praga: nel piano elaborato dai servizi segreti, François passerà una notte di gozzoviglie tra alcool e squillo d’alto bordo, e al suo posto, la mattina del rientro in Francia, si presenterà la spia in pericolo. François riparerà all’ambasciata francese e rientrerà il giorno successivo.
Lo spirito di avventura e la curiosità lo spingono ad accettare, mentre Jean resta all’oscuro di tutto e pensa che ancora una volta il destino gli sia avverso: non appena c’è un’occasione per mettersi in mostra e farsi valere, succede qualcosa che manda tutto all’aria. E poi naturalmente quella che doveva essere la missione perfetta si trasforma in un caos in cui nessuno ha più il controllo di niente. Rocambolescamente e grazie all’ostinazione della giovane moglie, intelligente e capace nonostante la sordità e l’aspetto timido, François riesce comunque a ritornare a casa, e con tantissimo materiale per i suoi reportage. Il vecchio Louis invece, gravemente malato di cuore, sente avvicinarsi la fine. Che è anche la fine di un’era, perché nessuno dei figli sembra essere in grado di prendere le redini della famiglia, delle tre famiglie che ora compongono il clan Pelletier. Si sta affacciando però la nuova generazione, i figli dei figli, a partire da Colette. Colette è la più grande dei nipoti, è cresciuta con i nonni a Beirut e poi nella casa di campagna vicino a Parigi, e lì un trauma l’ha fatta crescere in fretta. E sì, potrebbe essere proprio lei la protagonista della prossima puntata.
Pierre Lemaitre su “PulpMagazine”