Roberto Arlt: viaggio in Galizia e oltre

Roberto Arlt, Acqueforti spagnole, tr. Marino Magliani, Del Vecchio Editore, pp. 151, euro 18,00 stampa

C’è un processo che accomuna gli scrittori di particolare talento. L’invenzione del genere. È una questione che non appartiene tanto alla lingua o allo stile, ma a qualcosa di più simile al genio. E quando la letteratura non riesce a ispirarli, essi allora attingono alle altre arti. Roberto Arlt, argentino, inizia a scrivere le Acqueforti quando prende posto come editorialista per il quotidiano El Mundo. Le prime acqueforti sono quelle di Buenos Aires, raccolte tra il 1928 e il 1933, cui seguiranno, sull’onda del successo, quelle spagnole e quelle africane. Ma più propriamente, cos’è un’acquaforte? L’acquaforte è una tecnica, un lavoro al contrario. Incisione, inchiostratura, pulitura, rifinitura. Il segno che noi vediamo è il ricalco di un negativo. Esemplare è il titolo del saggio di Henri Focillon, storico dell’arte, in cui sono proprio le acqueforti a prendere la scena. Parliamo di Estetica dei visionari, ripubblicato nel 2018 da Abscondita. Focillon ci mostra le immagini di una Roma bizzarra e pittoresca, a tratti fantasmagorica, attraverso le opere di Piranesi. Giochi che possono permettersi solo il bianco e il nero.

Arlt, similmente, non percorre Buenos Aires, la Spagna, Tangeri, Ceuta, Tétouan, per ritrarre cartoline, bensì una realtà nuda, attraverso la quale egli indaga gli intimi ed essenziali vincoli tra ambiente, individuo, carattere, società, arte e cultura. Le loro interrelazioni diventano così la base per la comprensione del reale. Solo allora, una volta passate in esame, Arlt le incide, riempiendole con la propria poesia e ricavandone un quadro denso e concreto, illuminante e familiare.

Acqueforti spagnole, nell’edizione di Del Vecchio, riguarda gli articoli apparsi su El Mundo sulla sua esperienza di viaggio in Galizia, tra il settembre e il novembre del 1935.

La condizione di Arlt è singolare. Egli parla una lingua comune a due paesi, dei quali uno è figlio dell’altro. Tra Oviedo e Buenos Aires, Buenos Aires e Vigo, o che egli descriva persone o paesaggi, possiamo scorgere continue similitudini e differenze, ricordi e sorprese, gioie e malinconie. Il viaggio in Spagna, per Arlt, rappresenta la tacita ricerca della propria identità perduta di uomo del Nuovo Mondo, le ragioni e il senso del suo essere argentino. E allora capiamo che il vero dramma della cultura e dell’individuo d’Oltreoceano è l’inconscio desiderio di una storia e di una patria, ovvero il legame intimo, ideale e autentico con il proprio spazio, il proprio tempo e le proprie azioni.

Dall’angolazione di Arlt possiamo così scorgere anche le ragioni del rigurgito della cultura contemporanea, sempre di matrice oceanica, nei confronti della storia e dei suoi protagonisti: l’esasperazione di un identitarismo frustrato, di una cultura che essendo orfana di terra, ha confuso patria e nazione, storia e diritto, odiando così, in maniera perversa e grossolana, tutto ciò che ne è apparentemente contiguo. La sua istituzione è storicamente centrata verso questo negazionismo.

Arlt è al di fuori di simili scenari. Il suo viaggio percorre le diverse Galizie: Vigo, Pontevedra, Santiago di Compostela, Betanzos, La Coruña. Ognuna diversa dall’altra, ognuna con il suo spirito, le sue vicende, la sua nascita, e forse, il suo destino. Vigo, attiva e lavoratrice. Santiago, la taciturna, misteriosa e secolare. Betanzos, festiva, marina e contadina, La Coruña, gioviale e cosmopolita.

Questi articoli sono a tutti gli effetti delle cronache antropiche, nelle quali non passa inosservato il gusto per le bellezze artistiche della Galizia e per l’inconsueto, per la ritrattistica di figure umane reali. Attraverso i paesaggi, soprattutto, sono disvelate le relazioni e le analogie con le altre realtà spagnole. Arl, acuto osservatore, traccia i profili tipici degli spagnoli del tempo. L’immobilismo innaturale del paese, dato dalla mancanza di una comunicazione con il mondo esterno, ci mostra una Spagna sospesa tra uno scontroso immobilismo e la violenza seminata dal progresso. Lo vediamo soprattutto alla fine del viaggio, quando lo scrittore giunge nelle Asturie, e visitando le miniere di Oviedo, prende atto della vita assurda e brutale dei minatori, nient’altro che uomini costretti ad accettare il compromesso tra la possibilità di avere un lavoro e la probabilità di morire ogni giorno. Un compromesso che esiste ancora oggi e che non ha trovato ancora nessuno disposto a risolverlo. E in ultimo, nel bel mezzo dell’ultima tappa, verso la Cantabria, dopo aver attraversato le grandi e piccole città, le loro bellezze, le arretratezze, le miserie e le ricchezze, dopo aver visto così tanta vita, una verità fissa la chiusura di questa esperienza umana: “il resto è l’ombra di un fantasma alla parete”.

Finisce così, Acqueforti spagnole. Un prontuario per imparare a guardare e capire le cose, ma soprattutto, vedere oltre, attraversando i volti, le idee, le vicende, i luoghi, fino al senso onnipresente di questo viaggio: siamo figli della terra. Una verità così banalmente risaputa, così banalmente ignorata.