In un periodo storico e sociale buio come il nostro, in cui le destre e la restaurazione si stanno impossessando del potere in Europa e in tutto il resto del mondo, la letteratura dovrebbe avere il compito di denunciare le ingiustizie e gli abusi. Le prevaricazioni ci sono sempre state, è la storia che ce lo insegna, e si sono trasformate nel tempo con l’evolversi della tecnologia e con i cambiamenti sociali. Tillie Olsen, figlia di ebrei russi socialisti emigrati negli States agli inizi del Novecento, ci porta a cavallo degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, in un’America in crisi durante la Grande Depressione, dove le possibilità date alla classe operai e ai proletari erano il lavoro precario e l’immigrazione che bastavano a malapena per sopravvivere.
La storia degli Holbrook, una famiglia costretta a vivere in condizioni disperate, comincia nel Wyoming, dove il capofamiglia lavora in una miniera di carbone funestata da gravi incidenti sul lavoro quotidiani: decidono quindi di spostarsi in Nebraska e prendere in affitto una fattoria che però dovranno abbandonare per le richieste sempre più esose delle banche, per finire nei mattatoi di una grande città. Le voci narranti sono di due donne, il cui ruolo nella società era di mere esecutrici degli ordini dei mariti e destinate ai lavori domestici. La piccola Marzie e la madre Anna subiscono più degli altri il peso della povertà e della mancanza di prospettiva e aspettative, in una società che le relega a figure si secondo ordine. Olsen a vent’anni faceva parte della Lega dei giovani comunisti, diventa una giovane madre abbandonata dal padre della figlia che chiama Karla in onore di Karl Marx, e tra lavori umili e malpagati partecipa al movimento sindacale che nasce a San Francisco.
Pubblicato nel 1974 ma cominciato decenni prima, Yonnondio è uno sguardo impietoso verso il mondo del lavoro, la condizione delle donne e una società maschilista e arretrata. Uno sguardo fortemente politico verso condizioni che sembrano reiterarsi nel tempo facendo presagire un avvenire pieno di battaglie da combattere. Lo stile è essenziale e cristallino, con un punto di vista autorevole e di parte che apre a riflessioni e conseguenti azioni che non dovrebbero più essere rimandate. Il titolo, Yonnondio, è una parola che nella lingua delle tribù irochesi significa “lamento per una perdita”, ed è la vita stessa che sembrano aver perduto i personaggi del romanzo. Completa il libro un lungo estratto di un interessante saggio di Cinzia Biagiotti sulla vita e le opere della scrittrice. Da sottolineare la traduzione di Giovanna Scocchera che con la sua professionalità e competenza rende la lettura scorrevole e piacevole.


