Tommaso Giagni è uno scrittore che sa utilizzare le categorie di spazio e di tempo con disinvoltura e franchezza, non tanto per costruire l’ossatura di fatti di cronaca, quanto piuttosto per definire le coordinate di una fotografia emotiva, personale, sociale e politica. Giagni è nato a Roma. Da qualche anno si è trasferito a Trento per seguire la compagna da cui ha avuto una figlia. Facilmente è riuscito a piegare a suo favore questa novità nella propria vita in una opportunità. Ha proseguito a scrivere per “l’Espresso” e, soprattutto, non ha abbandonato la scrittura letteraria. Proprio in questi giorni è uscito il suo libro più interessante e più maturo, La fabbrica e i ciliegi che è, in qualche modo, anche il frutto del suo soggiorno tridentino.
Tra tempo passato, scandito dal titolo di quattro capitoli (2005, 2011, 2013, 2016), molto presente e definito da un inequivocabile “oggi”, viviamo la storia di Cesare, cinquantenne romano, “animale da archivio”, trasferitosi nella capitale dalla sua Trento fin da piccolissimo. Orfano di padre, Cesare, quando perde anche la madre, sente il bisogno di tornare nel paese natale dei suoi genitori per provare a ricostruire, per quanto possibile, la loro vita e in definitiva, le proprie origini. Attraverso i pochi documenti che riesce a reperire si trova subito a confronto con la storia dell’incendio della fabbrica SLOI, un grande edificio costruito sotto il fascismo per produrre piombo tetraetile per il carburante che doveva servire ad alimentare i mezzi da guerra dell’Asse. In altre parole: sodio, quell’elemento chimico morbido che per la sua conservazione doveva essere riposto sotto uno strato di petrolio in bidoni sigillati. Perché, se fosse entrato in contatto con l’acqua, sarebbe diventato soda caustica, quindi si sarebbe infiammato e avrebbe dato fuoco all’intero edificio. Proprio questo accade nel 1978 quando in occasione di un forte temporale, l’acqua penetra in un bidone chiuso male e provoca l’incendio della fabbrica. In quell’occasione, fu evitata una strage dei lavoratori, degli abitanti del quartiere limitrofo e forse dell’intera città nonché la distruzione di un intero ecosistema come quello dei ciliegi nel quartiere di Campotrentino che già nel passato avevano dato cenni di allarme per la situazione venefica in cui si trovavano.
Il disastro più grave fu evitato solo per merito dell’intervento intelligente dei vigili del fuoco che, per spegnere l’incendio, usarono il cemento e non altra acqua. La SLOI dopo poco chiuse, ma la nocività della sua presenza naturalmente non era limitata all’incidente di quell’anno, ma riguardava anni e anni di lavorazione dei materiali che si producevano all’interno. Pertanto, i lavoratori morti a causa della SLOI furono anche coloro che dall’incendio si salvarono e chi, prima di loro, fu afflitto da saturnismo. Tra questi, il padre di Cesare, anche lui operaio di quella fabbrica.
Il tempo trascorso da quei momenti consegna a noi e a Cesare alcune terribili domande: “perché la madre di Cesare ha sempre detto a suo figlio che il padre era morto di Leucemia?” Morire a causa del lavoro era forse una vergogna? E poi: “perché sui documenti che attestano la morte del padre – e che Cesare trova in archivio – c’è scritto ‘morto per etilismo’”? Qui la risposta è facile. Il “sistema”, il “potere” di allora voleva semplicemente nascondere responsabilità gravissime e decennali. La malattia dei proletari tridentini ha poi un epilogo logico per l’epoca, poco prima della grande riforma Basaglia: l’arrivo nel manicomio Pergine dove il padre di Cesare effettivamente morirà. Poi, grazie a imponenti battaglie civili certe fabbriche nocive chiuderanno e i manicomi pure, ma quello che era accaduto rimase sostanzialmente impunito.
Il viaggio avanti e indietro nel tempo, dal 2003 fino ad oggi, i continui salti temporali e spaziali, sono un esercizio utile per il lettore che, se non è giovanissimo può iniziare a ricordarsi di date e di luoghi che hanno fatto la storia tragica del nostro Paese: Seveso, Porto Marghera, le acciaierie di Taranto, la Terra del Fuoco, il fiume Sacco in Ciociaria e molto altro. Stragi ignorate, più che dimenticate, che hanno costretto intere generazioni a vivere senza padri (altro che facili sociologismi sui conflitti generazionali degli anni Settanta) e che sono state sanguinarie come le strategie della tensione con cui le destre eversive hanno insanguinato l’Italia.
Nel libro c’è molto di più. Oltre alla presenza di due trentenni, Loris e Marilù che si fanno seguire con molto interesse, il racconto è animato da personaggi che Cesare conosce e frequenta, che lo aiutano non solo a trovare la strada per scoprire la verità che lo riguarda direttamente ma che lo aiutano anche a vedere il mondo per quello che è in termini di disorientamento, speranza, individualismo. Oggi.