Quest’anno si è celebrato il settantesimo anniversario della nascita di Pier Vittorio Tondelli, avvenuta a Correggio il 14 settembre 1955, con la realizzazione di varie iniziative e anche con pubblicazioni di grande richiamo, come ad esempio Super Tondelli (Harper & Collins) di Enrico Brizzi e Codice Tondelli. La pagina è pelle, la parola è desiderio (Transeuropa) di Giulio Milani. È tuttavia dal 16 dicembre 1991, giorno della morte, che si è sempre rinnovato, anno dopo anno, un momento di raccoglimento e riflessione per tutti quelli che hanno conosciuto Tondelli, in vita o attraverso la lettura delle sue pagine. Dal pellegrinaggio sulla tomba, nel cimitero della piccola frazione correggese di Canolo, alle Giornate Tondelliane organizzate dal comune di Correggio (e confluite quest’anno in “Tondelli 70. Correggio Bologna Rimini”), ogni anno ha luogo una sorta di affezionata ritualità per uno dei pochi autori italiani che è riuscito a tracciare nuove coordinate dell’immaginario, includendovi – e al di là di ogni gretto personalismo o egolatrismo – anche la propria immagine di persona e di scrittore.
In questa ritualità è sempre stata presente una persona che ha conosciuto Pier Vittorio Tondelli e, dopo la morte, ne ha fedelmente promosso e divulgato l’opera per almeno tre decenni come Enos Rota, ora curatore di Tondelli Vive. Racconti di chi lo ha letto e amato (La Città degli Dei ed., 2025). Non tanto e non più Biglietti agli amici – opera tondelliana del 1986, composta per frammenti carichi di essoterica passione autobiografica, ma anche di un grande fascino intellettuale, esoterico – ma biglietti degli amici, come vuole il sottotitolo del libro: racconti e testimonianze di chi è entrato, a vario titolo, nel mondo di Tondelli e tuttora ne fa parte.
Nel libro si alternano i contributi di amiche e conoscenti di Tondelli, di scrittrici affermate – tra le altre, Piersandro Pallavicini, Davide Bregola e Silvia Tebaldi –, di attrici e registe, di studiose e lettrici della sua opera. (E il femminile sovraesteso di quest’ultima frase sia letto non solo come evenienza statistica, ma anche come minuscolo rinvio al contagio queer della sua scrittura, puntualmente ribadito nel suo contributo dallo studioso e poeta Piero Toto). Sono tante, soprattutto, le persone che hanno scritto una tesi di laurea o di dottorato su Tondelli e che, per questo motivo, hanno inevitabilmente incrociato i loro percorsi con quello di Enos Rota: presenza, la sua, costantemente visibile nei paratesti e nelle note a margine, ma che si mantiene anche fedele all’assenza, e all’assenza come lutto, nel non fornire, in questo volume, un contributo intero di propria mano.
Sono vari anche i luoghi della geografia tondelliana attraversati da questi scritti (e anche dal piccolo ma prezioso apparato iconografico conclusivo): non soltanto Correggio e Canolo, ma anche via Fondazza, a Bologna, via delle Abbadesse a Milano, Rimini, Firenze, etc. Maurizio Puppo, di stanza a Parigi, evoca persino la stanza di Copi, a Montmartre, e lo fa non tanto e non solo per la comunanza di destino con Tondelli – con la morte per complicanze legate all’AIDS, alla fine degli anni Ottanta – ma anche per ricordare le tante “visite inopportune” (dal titolo di una pièce di Copi) che costellano le opere dei due autori. Visite ribaltate di segno, tra l’altro, nelle potenti righe finali del contributo: «Sono passato attraverso le loro vite come in sogno, e mi sono trovato da solo. Con una vita ancora davanti, troppo lunga per riempire quel vuoto incolmabile. La visita inopportuna, per Copi come per Tondelli, è stata quella della malattia e della morte. Per altri, e per me, è stata forse la vita».
Naturalmente, c’è traccia, in queste righe come in altri interventi, di quel sentimentalismo che Tondelli a tratti incarnava e dal quale al tempo stesso sapeva invece distanziarsi con implacabile lucidità. Esemplare di tale oscillazione patetica tra prossimità e distanza è la citazione, da parte di Piersandro Pallavicini, dell’anemoia – neologismo coniato da John Koenig nel 2012, nel Dizionario delle tristezze senza nome – quale «nostalgia per un luogo, un tempo o una persona mai visitato, vissuto o conosciuta». In effetti, pare che sia proprio l’anemoia a guidare molti dei percorsi tracciati in questo libro; a tale nostalgia – così come a quella storica e generazionale, per gli anni Ottanta del secolo passato – si oppone, invece, il contributo di Silvia Tebaldi, dove gli stilemi tondelliani arrivano a mescidarsi più chiaramente con la sua scrittura: «E ti dico che mai, mai in questi anni di apocalissi e medi evi e terrore antropocenico, gli anni che a forza di essere anni a venire poi alla fine sono venuti, e cazzo se sono venuti, insomma questi anni qui, mai ho provato nostalgia per i tempi di prima, per la mia giovinezza o per quei portici, per l’essere allora di Correggio o Bondeno. Nonostante sia strano da capire, per molti, ma tu sai perché. È per questa tenacia da prozia, che tacca il portico come fosse in paese. È per la desinenza a nella poesia».
Quella di Tebaldi non è tuttavia una voce dissonante, se non nel senso di una dissonanza che si aggiunge a un’armonizzazione complessa, stratificandola. Allo stesso modo, rispetto ai tanti contributi che vedono nel Tondelli scrittore, non conosciuto in vita, un potenziale “amico” – a partire dal titolo, già ricordato, del suo libro del 1986, ma anche in funzione della sua presenza televisiva, ricorrente in molti ricordi – Davide Bregola appunta, proprio riflettendo sulle immagini di Tondelli: «C’è una foto di Tondelli solo sulla spiaggia. Ha un cappotto nero e alle sue spalle c’è il mare. Tondelli è sempre solo. Stop». Con ogni probabilità, Bregola non allude soltanto alla moltitudine, in fondo anche atomizzata e solitaria, dei fan che ritengono di avere una forma privilegiata di comunicazione con questo o quell’autore, ma alla frequentazione della solitudine da parte dell’autore, che poi arriverà alle splendide pagine di Camere separate, che iniziano con il noto “La solitudine è questa”, divenuto poi il titolo di un recente film di Andrea Adriatico su Tondelli: «Vorrebbe spiegare che sì, Thomas gli manca e di questo sta soffrendo. Ma che non avverte la propria solitudine come una disperazione. Si sta concentrando su di sé, si sta racchiudendo nelle proprie fantasie e nei propri ricordi. Sta cercando di abbracciare la parte più vera di se stesso recuperandola attraverso il ricordo, la riflessione, il silenzio».
Solitudine che diventa ancora più forte, saltando di qualche livello, se si pensa al perdurante pregiudizio accademico nei confronti dell’autore, ricordato da Piero Toto, sulla scorta di un precedente articolo di Luca Naponiello: Tondelli è stato frequentemente letto da prospettive culturaliste e per analisi identitarie, venendo invece trascurato da altri lettori e altri approcci, potenzialmente più canonizzanti (pur essendoci state, naturalmente, luminose eccezioni, a partire forse dall’Atlante delle derive di Giulio Iacoli, Diabasis, 2002).
In questo senso, hanno sinora avuto un notevole rilievo le Giornate Tondelliane, organizzate anno dopo anno dal Centro di Documentazione Pier Vittorio Tondelli, allo scopo di promuovere una lettura critica dell’opera di Tondelli che si potesse rinnovare negli anni, con sempre nuove articolazioni e approfondimenti. Sono numerose le tracce di queste Giornate, nel libro, anche se pochi contributi riescono a condensare esattamente lo spirito di questo peculiare approccio all’opera tondelliana; tra gli altri accade, con Gianni Cimador e il suo tentativo di delineare una biografia interiore di Tondelli – uno scritto all’interno della quale si legge, ad esempio, un notevolissimo passaggio come questo: «Di fronte all’impossibilità di prescindere dal lato oscuro dal quale si vuole fuggire per vedersi oltre sé stessi, liberi da una storia con cui è faticoso fare i conti, perché si vorrebbe essere altro rispetto a quello che si è, la scrittura è una forma di salvezza, sublima conflitti e desideri che, altrimenti, sarebbero distruttivi: Tondelli si riconosce in Peter Handke quando scrive che “solo nella tristezza, per una mancanza o una colpa, quando gli occhi spaziando si fanno magnetici, la mia vita sconfina nell’epico”, ed è persuaso anche dai versi di Rilke nelle Elegie duinesi, in cui il poeta rivendica che “noi che pensiamo la felicità / come un’ascesa, ne avremo l’emozione / quasi sconcertati / di questa cosa ch’è felice, cade”».
Molti altri sono i contributi, talvolta meno intellettualizzati ma egualmente appassionati, in omaggio a quella logica della fandom – del resto massimamente postmoderna, come anche il Weekend di Tondelli – che negli anni Ottanta iniziava ad insinuarsi e a contaminare, non necessariamente in modo negativo, le dinamiche controculturali provenienti dai decenni precedenti. Ne è un chiaro esempio, oltre a fornire un aneddoto esemplare del lungo lavoro compiuto sino a oggi dal curatore Enos Rota, il ricordo di Claudia Romagnoli: «Nell’estate del 2000, curiosando tra i libri esposti fuori alla libreria Pickwick della Galleria 2 Agosto, di fronte alla stazione di Bologna, trovo il volumetto Caro Pier di Enos, che acquisto immediatamente e leggo subito. Questa raccolta mi ha aperto un mondo: quante ragazze e ragazzi hanno scritto a Enos nel corso degli anni, persone che come me sentono Pier coì vicino, così fraterno. La raccolta di Pier è l’unico libro di letteratura italiana che ho portato con me durante i due anni trascorsi all’estero, di cui però non ho potuto parlare con nessuno, perché in quel paese non vi era ancora terreno fertile per certe tematiche, ed è stato lì che Pier mi ha ricondotta verso le mie radici. Passati alcuni anni, con l’avvento di Facebook, ho cercato tra i nominativi Enos, che ho trovato, e al quale ho chiesto immediatamente l’amicizia. “L’amico di Tondelli!” mi sono detta tra me e me. Wow. Un tuffo al cuore. Pier vive, rivive ancora!».
Un grido sommesso che risuona ancora, ogni anno, specie nel mese di dicembre, a contrastare il grigiore e il freddo delle giornate bassopadane nei pressi dell’anniversario della morte di Tondelli: l’epoca dei suoi libri è forse chiusa per sempre (anche nelle diramazioni di cui Tondelli è stato promotore, come i tre volumi del Progetto Under 25, in cui Tondelli si è fatto curatore delle scritture di autori e autrici più giovani di lui), ma la sua lettura, grazie anche all’incontro con Enos, è ancora fonte di quella possibilità di un incontro sconvolgente e destabilizzante per il quale, in genere, vale la pena aprire un libro.


