Un quacchero contro Isaac Asimov

La nuova serie televisiva di David S. Goyer ha portato sullo schermo il Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov, un classico della fantascienza che si sviluppa attorno a un'intrigante idea centrale: la psicostoria. Sorprendentemente, un'idea anticipata dall'opera del matematico inglese Lewis Fry Richardson (1881-1953), figura tanto geniale quanto ignota fuori dalla ristretta cerchia degli specialisti. Proviamo a rimediare a questa lacuna.

 

Nel “Ciclo delle fondazioni”, l’idea di Asimov è questa: nella capitale di un futuro impero galattico, il matematico Hari Seldon scopre le leggi che governano la storia umana. Come il moto dei pianeti segue la legge di gravità, così la storia umana segue le leggi di Seldon, codificate in una nuova scienza, la psicostoriografia. Le leggi di Seldon hanno valore statistico: non dicono nulla sul comportamento dei singoli ma determinano il comportamento collettivo di miliardi di persone. Questo comportamento è la conseguenza di psicologie individuali, dunque la validità delle previsioni richiede che i soggetti non sappiano di essere osservati e si comportino spontaneamente. La psicostoriografia predice l’imminente crollo dell’Impero, cui seguiranno trentamila anni di barbarie che potrebbero essere ridotti a mille se un gruppo di dotti si isolasse per dedicarsi alla conservazione delle conquiste della civiltà. Questo però è solo un paravento che serve a coprire il vero piano di Seldon: un manipolo di psicostoriografi (la “Seconda Fondazione”) entra in clandestinità e trasmette di generazione in generazione il proprio sapere. Forte della propria esclusiva padronanza della psicostoriografia, la Seconda Fondazione manipola la storia della restante stragrande maggioranza del genere umano. Similmente in un’altra opera di Asimov, l’antologia Io, Robot, sono sviluppatissime intelligenze artificiali a guidare l’inconsapevole umanità.

L’idea di Asimov è collaudata: gli psicostoriografi svolgono collettivamente – in un mondo dove pure la religione è trattata come una menzogna – lo stesso ruolo esercitato dalla Provvidenza nella De Civitate Dei di Sant’Agostino. Persino le guerre si comprendono come parte dell’opera divina di salvezza, come a Gerico e la Chiesa cattolica parla di guerra giusta, mentre l’Islam di guerra santa. La guerra è uno dei cavalieri dell’Apocalisse. Nell’Iliade la guerra è uno spettacolo in cui gli Dèi, che non ne sono responsabili (come dice Zeus ad Afrodite), si fanno coinvolgere (le frecce di Apollo). Nella Bhagavadgita l’auriga del re che si fa scrupolo di uccidere i suoi simili in battaglia è il Dio che gli indica, nell’adempimento del ruolo di condottiero, la strada verso la perfezione. Ne Il mattino dei maghi, Luis Pauwels e Jacques Berger suggeriscono di sostituire qualche oscuro potere psichico alla Provvidenza. Al vedere per la prima volta il filmato delle Torri Gemelle, ho sentito una bambina piccola dire che era il compleanno del diavolo, facendo felice Maurizio Blondet.

In modo più laico, Karl Marx fornisce un modello della storia umana e indica che farne: i filosofi hanno descritto il mondo, ora si tratta di trasformarlo. La conoscenza della dialettica delle lotte di classe consente a un proletariato autocosciente di liberarsi dallo sfruttamento mediante la rivoluzione, proprio come la conoscenza delle leggi della termodinamica consente all’ingegnere di liberare l’umanità dalla fatica del lavoro manuale progettando una macchina a vapore. Engels ricorda che l’alternativa alla rivoluzione è la barbarie – come in Asimov. Nel leninismo, una avanguardia di rivoluzionari di professione è cosciente delle leggi della storia e opera su di essa scatenando la rivoluzione contro il capitalismo che produce guerre. La Provvidenza qui sono giocano il proletariato o una avanguardia: che di preciso, lo si può decidere come a Kronstadt.

Nel suo utilizzo filantropico della psicostoriografia, Asimov si pone dunque sulla scia dei tanti che immaginano una qualche Provvidenza che prima o poi ci libererà dalle guerre o quanto meno dalla loro insensatezza, dando loro un fine e una fine o per forza di scienza o per forza di fede.  La storia la si vuole prevedere per eliminare la guerra. Vediamo cosa dicono al riguardo due storici e militari di professione. Molte loro idee sono state ritrovate da Richardson; vedremo come Richardson anticipa Hari Seldon.

Nel V secolo a. C. Tucidide sostiene che la guerra ha cause umane. Gli Dèi non c’entrano, anzi, fidarsene può essere controproducente (come quando l’eclisse ferma Nicia condannando gli Ateniesi alle latomìe). Bisogna studiare il passato per capire il presente e orientare il futuro. La storia non serve solo come maestra di vita (come diceva Seneca), né nel senso di fornire una galleria di esempi (come ne i Sepolcri di Ugo Foscolo), né in quello di educare a un atteggiamento critico verso i valori della società (come in Nietzsche, che comunque considera la guerra come educatrice). La storia orienta la politica. La natura umana è sempre la stessa, quindi uno studio delle leggi della storia è possibile. Questa invarianza nel tempo la ritroveremo in seguito. Ogni stasi è instabile; una comunità umana che non decade si espande. Due comunità in uno spazio limitato finiscono per combattersi; ogni pace è una tregua. Ogni guerra nasce da una emozione (altro punto che ritroveremo), la paura di una minaccia percepita; ogni guerra è sempre un atto di legittima difesa anche per chi la scatena (oggigiorno non ci sono più Ministri della Guerra, ma Ministri della Difesa). Sparta non attacca Atene perché aggredita, ma perché teme di esserne aggredita una volta che la continua espansione economica ateniese diventasse incontrollabile. Questo scatenarsi di una guerra fra una potenza dominante e una emergente nonostante nessuno la voglia – anzi, precisamente perché non la vogliono – è detto trappola di Tucidide e viene invocata per rappresentare i rapporti fra USA e Cina. La ricchezza è a volte invocata come garanzia di pace (ma chi volete che si imbarchi oggi in una guerra europea? dicevano nella Belle Époque secondo Alessandro Barbero): ma non solo non distoglie dalla guerra, è anzi condizione necessaria per il riarmo (terza cosa da tenere a mente). Benché il caso sia decisivo (la morte di Pericle) e renda imprevedibile il futuro in dettaglio, la guerra è attività razionale, come illustrato dai discorsi di strateghi e diplomatici.

Ventidue secoli più tardi, Von Clausewitz dice che la guerra è un triedro le cui facce sono il caso, le emozioni e la ragione. Il caso (il fango nelle ruote, la nebbia della battaglia) è decisivo, basti pensare alla pioggia a Waterloo. Quanto all’emozione, i vincitori francesi a Valmy erano molto più motivati dei loro nemici, e Napoleone eccelleva come trascinatore di soldati osannanti. Infine, la ragione: non la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (frase che Von Clausewitz sembra non avere mai scritto) ma la guerra è la grammatica, la politica è il linguaggio. Se la politica è sbagliata, la guerra è perduta: non si parla della NATO in Afghanistan, ma dell’errore di Napoleone che attacca la Russia illudendosi che i contadini russi coglieranno l’occasione per ribellarsi allo zar. Se la manovra delle truppe e le comunicazioni di informazioni e ordini di battaglia sono veloci grosso modo allo stesso modo nei vari contendenti, allora la guerra può al più mirare alla disarticolazione delle difese dell’avversario, in modo da forzarlo a comportarsi come vogliamo noi. L’aggressore è il più sincero amante della pace perché vuole infatti ottenere il proprio scopo col minimo sforzo (così i tedeschi nella Grande Guerra inizialmente volevano solo attraversarlo, il Belgio, senza colpo ferire, per attaccare la Francia). È l’aggredito che gli fa pagare cara l’aggressione (come la guerriglia spagnola contro Napoleone). Se si è molto più veloce del nemico si può proseguire fino al suo sterminio totale. Gengis Khan non faceva prigionieri perché da nomade non aveva dove metterli; analogamente Napoleone davanti a San Giovanni d’Acri uccide quattromila prigionieri Ottomani; ma vengono anche in mente i genocidi moderni.

Arriva la Grande Guerra. Richardson è un obiettore di coscienza che si rifiuta di portare armi per motivi religiosi e presta servizio al fronte come barelliere disarmato. È un giovane ma affermato luminare della dinamica dei fluidi, membro della Royal Society nonché delle congregazioni quacchere. Giuntagli la notizia dell’affondamento del Titanic, Richardson propone un primo modello di sonar per l’individuazione degli iceberg. Prima della guerra ha già scoperto una caratteristica fondamentale dei fluidi turbolenti. La loro velocità si scompone in tanti vortici, tutti di grandezza diversa, che si uniscono e si disintegrano continuamente. Richardson ha mostrato che se si escludono i vortici più piccoli, cambiando scala di misura (dal decimetro al piede, al metro ecc.) il rapporto fra il numero di vortici di dimensione data e quello dei vortici di dimensione dieci volte maggiore non cambia. Questa proprietà (invarianza di scala) è sufficiente a dare molte informazioni utili sul fluido; il matematico sovietico Andreij Kolmogorov la formalizzerà nel 1941.

Lewis Fry Richardson (1881-1953)

Al fronte Richardson comincia a pensare alla possibilità di rendere calcolabile qualcosa che all’epoca era puramente descrittivo: la previsione del tempo. Mentre prestava servizio all’interno di un’autombulanza, trascorre un intero giorno nell’elaborazione manuale a posteriori delle previsioni del giorno 20 maggio 1910 basandosi sui dati misurati sei ore avanti con metodi matematici di sua invenzione; commette un solo errore, facilmente corretto coi mezzi a disposizione oggi. Quando capisce che i suoi calcoli possono servire a rendere più letale il bombardamento col gas, Richardson li distrugge. Tornato in patria, abbandona il servizio meteorologico del Ministero dell’Aria, in contatto coi militari e il suo pacifismo gli costa la carriera accademica. In una situazione simile e negli stessi anni, Bertrand Russell scriverà se fossi dovuto dipendere solo dal mio lavoro di accademico, sarei morto di fame. Ma Russell era ricchissimo di suo, Richardson no… Nel 1922 Richardson propone l’istituzione di un servizio meteo nazionale da realizzarsi il giorno che macchine calcolatrici abbastanza potenti sarebbero diventate disponibili. Oggi l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia ha intitolato Medaglia Richardson la sua onorificenza.

Fallito il progetto del meteo, troppo in anticipo sui tempi, Richardson si dedica all’altro problema, quello di Asimov: la teoria matematica se non della storia almeno della barbarie, e si dedica alla guerra. È quacchero,

si fida della Bibbia. Isaia profetizza che le persone fonderanno le spade per fare aratri, e non impareranno più l’arte della guerra. E poi c’è il precedente della Corrente del Golfo, scoperta quasi due secoli prima in accordo con la Scrittura che parla di correnti nel mare. Richardson si procura dati relativi a tutte le guerre su cui riesce a mettere le mani, compila a mano tabelle e grafici, calcola, interpola. Negli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale Richardson pubblica i suoi risultati.

Fra due contendenti il riarmo si può innescare quando uno dei due contendenti comincia a temere quello che potrebbe accadere se l’altro riarmasse. La ricchezza facilita il riarmo di ciascuno e dunque i timori dell’altro.  Il riarmo, è una condotta razionale che parte da un’emozione, in accordo con Tucidide e Von Clausewitz. Ma Richardson va oltre: scrive due equazioni che danno la spesa militare di due contendenti in funzione del tempo. I punti di equilibrio sono quelli in cui le spese militari dei due contendenti sono costanti; ma se un punto stabile diventa instabile, il riarmo esplode al minimo incidente. Se i contendenti sono più di due il modello si applica di volta in volta a coppie di contendenti. La guerra a più contendenti è vista cioè come l’insieme di tanti conflitti a due contendenti, un po’ come la Guerra dei Trent’Anni. Il mancato riarmo a coppie è condizione necessaria ma non sufficiente del mancato riarmo a più di due contendenti: anche se due sono in pace non è detto che lo restino in presenza di un terzo.

A stretto rigore, il modello di Richardson è lineare; vale cioè solo per un riarmo limitato. Previsioni affidabili richiedono che i coefficienti che compaiono nelle equazioni vengano definiti precisamente. Richardson ipotizza che più è lungo il confine fra due Stati maggiori le probabilità di conflitto. Si passa da ciò che è determinato con precisione a ciò che è probabile; un passaggio questo già familiare a Richardson perché comune nello studio dei fluidi turbolenti, ed è quello che fa Hari Seldon nel Ciclo della Fondazione. Richardson si pone il problema di misurare la lunghezza di un confine. Per controllare i suoi calcoli, li applica alla determinazione della lunghezza che suppone nota, delle coste dell’Inghilterra. Scopre che al variare della scala utilizzata, la lunghezza della costa inglese cambia (usando mappe 1:25.000 è più lunga che in mappe 1:100.000); se si escludono i dettagli più piccoli (i singoli sassi, i granelli di sabbia) il rapporto del numero dei tratti di costa (scogliere, insenature…) di una certa dimensione e il numero di tratti simili dieci volte più grandi non dipende dalla scala: la costa inglese – e per estensione, un confine fra Stati – è un invariante di scala. (È il primo esempio conosciuto di frattale). Ciò suggerisce che lo sia anche la probabilità di un conflitto fra Stati. E qui arrivano tre risultati fondamentali, e il confronto con Asimov:

  1. Il caso, come in Tucidide e in Von Clausewitz: la probabilità che in un dato periodo di tempo scoppi un certo numero di guerre diminuisce col numero di guerre allo stesso modo con cui diminuisce nel tempo il numero di nuclei radioattivi in una provetta. Siccome il decadimento radioattivo è un noto esempio di processo casuale, questo significa che l’insorgere di una guerra è esso stesso un fenomeno casuale.
  2. L’invarianza nel tempo, come in Tucidide: in ogni periodo di tempo abbastanza lungo il numero di guerre che scoppia è uguale al numero di guerre che si concludono.
  3. L’invarianza di scala (legge di Richardson): guardando a tutte le guerre insieme, a prescindere dal periodo storico, dalla collocazione geografica, da lingua, religione ecc. ed escludendo le guerre con un numero di vittime troppo piccolo, risulta che tanto maggiore è il numero di vittime di una guerra tanto più rara la guerra, tanto più lungo il periodo di tempo che intercorre fra una guerra con un dato numero di vittime e la guerra successiva con lo stesso numero di vittime. Al cambiare della scala (dal decennio al secolo al millennio…) il rapporto fra il numero di guerre con un certo numero di vittime e quello delle guerre con un numero di vittime dieci volte maggiore non cambia.

La legge di Richardson condivide l’invarianza di scala e l’invarianza nel tempo con un’altra nota legge, il principio di Pareto (secondo il quale in tutte le epoche e sotto tutte le latitudini, in tutte le civiltà ecc. l’80% della popolazione ha a disposizione il 20% della ricchezza). Anche in Pareto, infatti, il rapporto fra il numero di persone che dispone di una certa ricchezza e quello delle persone dieci volte più ricche non dipende dalla scala usata per misurare la ricchezza. Un terzo punto in comune fra Richardson e Pareto è il fatto di soddisfare quello che Jacques Monod chiama postulato di obiettività: non c’è alcun progetto dietro l’ordine che descrivono, non si invocano cause finali, non c’è alcuna Provvidenza. Secondo Monod il postulato di obiettività è una delle due caratteristiche fondamentali di una legge scientifica; l’altra è l’invarianza nel tempo (che ne rende appunto possibile lo studio in tutte le epoche).

La legge di Richardson e il principio di Pareto sono risultati confermati da molte osservazioni e che hanno una forma statistica; se una psicostoriografia esiste li deve necessariamente includere. Una conferma della compatibilità fra una eventuale psicostoriografia, la legge di Richardson e il principio di Pareto è che preservano tutti la libertà sulla scala del singolo individuo. Infatti il caso impedisce che i comportamenti individuali possano essere predeterminati meccanicamente. Questa libertà non esclude, ma implica la necessità su scala collettiva.  Lo spiega bene Robert A. Heinlein nel suo racconto “L’anno del diagramma”: l’ultimo neutrone di una bomba atomica è perfettamente libero di andare dove vuole, ma la bomba scoppia lo stesso. È precisamente perché il singolo neutrone è libero che la bomba deve scoppiare; è precisamente perché ogni singola molecola d’aria è libera che l’atmosfera esercita una pressione sui nostri barometri.

Il problema nasce col postulato di obiettività. Se non c’è una qualche Provvidenza, la Storia è il susseguirsi di eventi che riguardano individui di una specie, Homo sapiens, soggetti alle leggi della biologia e dunque in ultima analisi della fisica. È l’approccio riduzionista, che deriva l’esistenza di leggi della storia dall’esistenza delle leggi fisiche. In quanto scientifiche queste leggi soddisfano il postulato di obiettività. Non c’è l’ingegnere della macchina a vapore, perché noi stessi siamo il vapore. Gli psicostoriografi sono anch’essi soggetti alla psicostoriografia, non sono deus ex machina esterni alla storia ma ne sono coinvolti, non guidano il flusso ma ne fanno parte. L’idea della Seconda Fondazione è tanto antiscientifica quanto l’idea che il vapore si auto organizzi per costruire una macchina a vapore. Se il riduzionismo ha ragione, allora una psicostoriografia esiste; se esiste, deve necessariamente includere fatti empirici come la legge di Richardson e il principio di Pareto, il che esclude alla radice precisamente il finalismo del progetto di Hari Seldon.

E non basta. Le leggi di Seldon si considerano valide in un arco di migliaia di anni proprio come la legge di Richardson e il principio di Pareto, e soddisfano dunque l’invarianza nel tempo. Ma questa esclude che la storia abbia una fine, mentre la scoperta della psicostoriografia e/o l’invenzione delle intelligenze artificiali (la singolarità tecnologica) sono una sorte di fine della storia, un intervento di un qualche deus ex machina estraneo alla storia stessa.

Richardson, che pure era un credente così sincero da buttare alle ortiche la carriera accademica e la fama cui aveva diritto per il pacifismo dettato dalla sua fede al punto che oggi lo ricordiamo in pochissimi, si è ritrovato così – condotto dai suoi stessi Big Data, raccolti faticosamente a mano uno per uno da solo nel corso di una vita – a concordare con il Tolstoj di Guerra e Pace: come noi sulla Terra crediamo di essere fermi ma ci dobbiamo liberare da questa illusione di quiete per comprendere le leggi della natura, così nella storia crediamo di essere liberi ma ci dobbiamo liberare da questa illusione di libertà per comprendere le leggi della storia. Difficile immaginare una conclusione più malinconica per il barelliere delle trincee.

Isaac Asimov, Ciclo delle Fondazioni

Carl Von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, 2017

A. Rapoport, “Lewis F. Richardson’s mathematical theory of war”, Conflict Resolution, vol. 1, n. 3, pp. 249-299 (1957)

Jacques Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, 2017

Tucidide, La guerra del Peloponneso, Garzanti, 1985