Una storia dei mari interni

John Smolens, Margine di fuoco, tr. Seba Pezzani, Mattioli 1885, pp. 255, euro 16,00 stampa

di ROBERTO STURM

Ci sono libri che lasciano tracce, a volte anche indelebili, nel nostro intimo più profondo. Non c’è un motivo preciso, e del resto ogni lettore possiede un background che lo rende unico: può essere per l’ambientazione o lo stile, o per qualche passaggio che allarga i nostri orizzonti interiori, o magari per la storia. A volte ci sentiamo così vicini ai personaggi che gli viviamo accanto, e le loro reazioni sono talmente simili alle nostre che a volte riescono a commuoverci.

Mattioli 1885 continua la sua opera di scoperta di scrittori statunitensi di qualità, e questa è la volta di John Smolens con Margine di fuoco, un romanzo che rimarrà impresso nella mente di chi lo leggerà. Amico di Andre Dubus, forse la scoperta più importante della casa editrice di Fidenza di questi anni, ne riprende alcuni aspetti narrativi, soprattutto la padronanza stilistica straordinaria e la descrizione degli stati d’animo dei personaggi, allargando l’orizzonte anche all’ambientazione circostante che Dubus lascia volutamente in secondo piano avendo scritto solo racconti, a parte un’eccezione che rimarrà tale per tutta la sua carriera.

Ci troviamo in Michigan, nella zona incontaminata e selvaggia del Lago Superiore, uno dei mari interni degli Stati Uniti. In una piccola cittadina dell’Upper superiore, Whitefish Harbor, vive una comunità in cui si conoscono tutti. Siamo nella provincia degli Stati Uniti più profonda, dove il senso di appartenenza e i valori religiosi sono i tratti distintivi della tradizione conservatrice. Martin torna per rimettere a posto la casa di famiglia e si innamora di Hannah, una ragazza di diciannove anni, più giovane di lui di dieci, e le cose sembrano andar bene fino all’arrivo di Sean Colby, rientrato anticipatamente dal centro di addestramento reclute in cui l’aveva spedito il padre. Sean è l’ex fidanzato di Hannah, e quando lei era rimasta, incinta il padre di lui, Frank, non aveva trovato di meglio che risolvere la cosa pagando alla ragazza l’intervento per interromper la gravidanza. Pearly è un altro personaggio importante – ma forse in questo romanzo lo sono tutti –, un carpentiere che vive ai margini della società e aiuta Martin a ristrutturare la casa. Considerato strano da Frank Colby, che di mestiere fa il poliziotto, spesso e volentieri vive guai giudiziari a causa soprattutto del suo rifiuto di integrarsi. Quando Sean ritorna, il padre lo fa assumere nel corpo di polizia, ma lui si mette in testa di volersi riprendere Hannah, non digerendo il fatto che ora lei stia con un altro. I rapporti tra i protagonisti fanno mano a mano più tesi e più di una volta si sfiora la tragedia: i due Colbysembrano avere un’ossessione per la ragazza e Frank ritiene che le disgrazie del figlio dipendano solamente da lei. In un susseguirsi di scontri che assumono toni tragici e disperati, l’amore tra Martin e Hannah viene messo a dura prova, e dentro la ragazza si fa largo il dubbio che forse avrebbe fatto bene a tenere il figlio. Il rapporto tra i due Colby si deteriora progressivamente e più volte si sfiora la tragedia, fino a che si arriverà a un epilogo in cui la tensione verrà scaricata drammaticamente.

Etichettato thriller per ragioni editoriali, Margine di fuoco fa parte di quel genere di romanzi che non può e non deve essere ghettizzato in un genere: il respiro dei temi che affronta, la cura per i particolari, l’attualità della trama e lo stile scorrevole e omogeneo lo rendono un grande romanzo contemporaneo. L’attenzione con cui Smolens tratteggia la psicologia dei personaggi è magistrale, e le parti ambientate in Italia sono rese realistiche dal fatto che lo scrittore vi ha vissuto sei mesi per tenere un corso a studenti americani all’Università di Macerata. Quando Sean Colby è di stanza ad Ancona, lo scrittore si rifà ad avvenimenti di cronaca realmente accaduti. È un romanzo a cui non manca niente, in cui un lettore potrà trovare tutto quello che fa di un romanzo ottima letteratura. Perché, come diceva Čechov , che l’autore cita in un’intervista, lo scopo dell’arte non è dare risposte ma porre delle domande.