Vito Mancuso, teologo laico e filosofo, si raccoglie intorno a Gesù e Cristo, separa le due figure seguendo in più di 750 pagine il suo pensiero forte e concentrato che si sviluppa con metodo scrupoloso e tono molto adeso alla disciplina scientifica che la conoscenza pretende anche (forse soprattutto) nel campo delle religioni. L’inizio è folgorante nella sua semplicità: «Gesù nacque a Nazaret; Cristo a Betlemme. Gesù aveva un padre terreno; Cristo era il Figlio unigenito del Padre celeste». E la tesi di Mancuso prosegue con l’eloquenza che lo studioso esercita inseguendo fonti, documenti antichi e moderni, e interpretazioni che nel corso dei millenni si sono succedute contrapponendosi con più o meno successo. Gesù aveva fratelli e sorelle, Cristo era figlio unico, per capire il primo bisogna intendersi con Giovanni il Battista, per capire il secondo abbiamo bisogno di Pietro e Paolo. Uno operava denunce, l’altro mondava i peccati del mondo e aveva il destino segnato. Gesù lo catturarono, Cristo “si consegnò”. E ancora: Gesù nacque e morì, Cristo trionfò sulla morte e risorse.
Due personaggi diversi, dunque. Dall’inizio della loro storia terrena al termine (e oltre) Mancuso segue la fondazione del cristianesimo e le sorti di un Gesù che nessuno di noi ha conosciuto e conosce, e di un Cristo di cui si proclama la divinità ogni giorno in ogni angolo di mondo. Questo perché Pietro proclamò la morte in croce un compimento di un disegno, anziché il fallimento che storicamente invece fu. Per duemila anni l’unione Gesù-Cristo esiste nonostante sia “teoreticamente” – secondo lo studioso – impossibile: Gesù è nome ebreo, Cristo è nome greco. Non si tratta solo di una questione di nomi, ma di contenuti in essi radicati. Mancuso sa bene, e lo dice, che in occidente l’identità culturale comune non viene più ammessa, o quasi – e il declino del cristianesimo appare irreversibile. Siamo in una società senza religione, “fenomeno del tutto inedito nella storia mondiale”. Qui emerge il pensiero del filosofo e teologo (da Pascal a Spinoza, Nietzsche e Leopardi), quello che merita da parte nostra uno studio parallelo: «il cristianesimo petrino-paolino non risulta più all’altezza delle esigenze della coscienza contemporanea».
Indagine non facile quella condotta dal teologo, avendo a che fare con quattro vangeli differenti fra loro – i tre sinottici e quello di Giovanni. Storia e fede s’intersecano, vita pubblica e vita “ideale” di colui che trattano. Per Mancuso la chiarezza della forma di quanto da lui scritto è uno dei maggiori compiti da assolvere, allontanando il pericolo che senza precauzioni ognuno possa abbandonare la lettura. Tenendo presente che nessun critico è esente dai punti di vista.
Quest’opera è certamente capitale per coloro che abbiano forte intenzione di rendersi meno eccentrici rispetto alla religione e al desiderio di farsi rivelare qualcosa di meno astratto in relazione alla vita quotidiana e all’interpretazione del mondo, soprattutto in questi ultimi tempi in cui le dimensioni del pensiero e della dialettica sono stracciate da ogni parte. Mancuso chiarisce in molte pagine e soprattutto nel finale: l’amicizia per Gesù porta all’ideale – rappresentato da Cristo – della verità dell’essere. Poiché Gesù per Mancuso non è l’agnello sacrificale ma colui che si è imposto la missione d’insegnare la ricerca del “regno di Dio e la sua giustizia”. La “questione Gesù” si inserisce nella “questione Cristo”, e pochi studi come questo riescono a far andare sempre più avanti la coscienza senza venir tradita, scoprendo cose nuove ancora senza nome.


